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24 maggio 1915, la leggenda del Piave nella Grande Guerra

Spesso nelle celebrazioni di Stato, specialmente durante ricorrenze storiche che riguardano le nostre Forze Armate, si sente una curiosa quanto suggestiva canzone patriottica: La leggenda del Piave.


Scritta nel giugno del 1918 da Ermete Giovanni Gaeta, la canzone ripercorre le tappe fondamentali della grande guerra dal punto di vista degli italiani. Il brano inizia con l'entrata in guerra dell'Italia, il ventiquattro maggio 1915, ricorrenza che voglio celebrare con questo articolo.


La strofa iniziale, forse la più famosa, è la seguente: «Il Piave mormorava/ calmo e placido, al passaggio / dei primi fanti, il ventiquattro maggio» e racconta il preludio di quella guerra che avrebbe finalmente portato a termine l'unità nazionale, combattendo i nemici naturali dell'Italia, quali erano l'Austria e la Germania. Altri versi significativi della prima strofa sono «Muti passaron quella notte i fanti/ tacere bisognava, e andare avanti» e descrivono il morale dei soldati che, seppur pensierosi e forse spaventati, sapevano che il loro dovere era servire il Paese. Il verso con cui termina la prima strofa è volutamente il più suggestivo; «Il Piave mormorò: “non passa lo straniero”».


Nell'ottobre del 1917 però gli austriaci, con la complicità dei tedeschi, favoriti dal ritiro della Russia zarista dal conflitto mondiale, organizzarono una potente offensiva nei pressi di Caporetto, sul fronte italiano, che culminò nella terribile disfatta dell'Esercito Italiano. «Ma in una notte triste / si parlò di tradimento / e il Piave udiva l’ira e lo sgomento. / Ahi, quanta gente ha visto / venir giù, lasciare il tetto / per l’onta consumata a Caporetto!».


Interessante sapere che questi versi furono gli originali e che in seguito vennero modificati sostituendo la parola «tradimento» con «fosco evento» e cambiando la parte finale in «poiché il nemico irruppe a Caporetto». Questa censura di stato venne ordinata per non far sfigurare l'alto comando italiano che, nella canzone di Gaeta viene considerato responsabile della disfatta, addebitandogli termini quali tradimento e Onta, dalla Treccani «disonore, vergogna, conseguente ad azione vile».


Il nemico era tornato a dilagare, un richiamo a quando gli austriaci occupavano parte della penisola durante le guerre risorgimentali. «Il Piave mormorò: “ritorna lo straniero”». Ma il soldato italiano era battuto sul campo, non nello spirito, e riuscì a organizzarsi proprio dietro le sponde del fiume Piave, ultima difesa che impediva al nemico di dilagare nel nord Italia. Un'altra sconfitta e il Regno avrebbe dovuto chiedere l'armistizio, ma grazie al valore dei fanti italiani, anche giovanissimi come i ragazzi del '99, l'offensiva austriaca fu fermata. «“no” disse il Piave, “no” dissero i fanti / mai più il nemico faccia un passo avanti». La battaglia del solstizio era vinta, ora toccava agli italiani la prossima mossa: ricacciare l'austriaco via dai confini. «Rosso del sangue del nemico altero / Il Piave comandò: “indietro va’ straniero!”».


Trieste e Trento sono nuovamente libere, ormai la vittoria era a portata di mano, gli italiani erano riusciti ancora una volta a rialzarsi in piedi, a non farsi soggiogare dal nemico. «E indietreggiò il nemico / fino a Trieste, fino a Trento / e la Vittoria sciolse le ali al vento».


4 novembre 1918, la guerra con l'Austria-Ungheria è terminata con l'armistizio di Villa Giusti. L'Aquila austriaca aveva perso le penne, scacciata dalla vittoria italiana. Il Piave poteva ora riposare tranquillo mentre la pace tornava a regnare. Gli italiani dei territori irredenti non erano più né oppressi né stranieri, anzi erano tornati ad abbracciare la loro Patria Italia. «E tacque il Piave: “si placaron l’onde” / Sul patrio suol, vinti i torvi imperi / la Pace non trovò né oppressi, né stranieri».


Diego Como

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