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Amba Alagi: un viceré tra i soldati e l'onore delle armi

«Mi arrendo. Ricordatevelo però, lo faccio solo per voi!», così disse Alberto Sordi in uno dei suoi più iconici film sulla Guerra d'Africa; I due nemici (1962, diretto da Guy Hamilton). La frase però è talmente evocativa che ascoltandola non ho potuto che pensare al Viceré d'Etiopia, il Duca Amedeo d'Aosta, la cui resa sull'Amba Alagi ricade proprio nella giornata del 17 maggio del 1941. L'Amba Alagi già vide eroiche vicende italiane negli anni della prima Campagna d'Abissinia, nel 1895, quando il maggiore Toselli si immolò proprio su quella vetta, ma sarà sicuramente argomento di un altro articolo.


Tornando a noi, le vicende iniziano con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando i domini dell'Impero italiano da difendere si trovavano, oltre che in Libia, anche nel corno d'Africa. In qualità di Viceré d'Etiopia, il Duca Amedeo si trovava proprio in quei territori quando, il 10 maggio 1940, Mussolini dichiara guerra alle «democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente», la Francia e l'Inghilterra. Il Corno d'Africa Italiano era così circondato dalle colonie del nemico, e la chiusura del Canale di Suez, dominio inglese, impediva l'accesso alle navi Italiane volte a portare rifornimenti ai territori d'oltremare.


Nonostante le aspettative, le operazioni militari in AOI (Africa Orientale Italiana) procedevano bene, tanto che tra l'agosto del 1940 e il marzo del 1941, gli italiani riuscirono a conquistare la Somalia Britannica. Le vittorie, però, durarono poco e la mancanza di rifornimenti dalla Madre Patria iniziava a farsi sentire già dall'inverno del '40. A partire dal 1941, L'Impero britannico aveva dato il via a una serie di offensive nell'AOI, sfondando il fronte e obbligando i comandanti italiani a una guerra difensiva nelle roccaforti e nelle Ambe (le alture etiopiche).


Il 5 aprile, gli italiani dovettero ritirarsi da Addis Abeba, la capitale dell'Etiopia, per indietreggiare in posizioni più difendibili. Una di queste roccaforti, la cui difesa era proprio compito di Amedeo d'Aosta, fu l'Amba Alagi. I difensori italiani potevano contare su circa 7'000 soldati, mentre i loro avversari inglesi avevano a disposizione oltre 41'000 fanti (di cui 16'000 abissini) e un folto numero di artiglieria e equipaggiamenti nettamente superiori a quelli degli assediati.


Dal 17 aprile al 17 maggio, gli italiani combatterono con estremo coraggio e sacrificio sull'Amba Alagi, dimostrando al nemico la loro volontà di ferro nel resistere. Particolarmente azzeccata, anche se non direttamente rivolta a questa battaglia, è la strofa «Colonnello, non voglio il cambio, qui nessuno ritorna indietro! Non si cede neppure un metro se la morte non passerà», che in pochi versi descrive il coraggio e il valore del soldato italiano che, messo alle strette, riesce a dare il meglio di se.


Dopo un mese di eroica resistenza, agli italiani sull'Amba Alagi non era rimasto più niente; ne acqua ne viveri, il munizionamento scarseggiava e i soldati erano stremati. Accertata l'impossibilità a continuare la lotta, il Duca Amedeo D'Aosta si concedeva alla resa degli inglesi, i quali a loro volta offrirono, per l'eroica resistenza e per il coraggio dimostrato, l'onore delle armi ai soldati italiani.


La pratica dell'onore delle armi veniva concessa in casi rarissimi, e permetteva alla parte in resa, di sfilare con le proprie armi in fronte alle truppe vincitrici che davano tutti gli onori agli sconfitti. Così facendo, le truppe italiane marciarono, vittoriose forse non nei fatti ma sicuramente nell'animo, in fronte alle truppe inglesi che nel frattempo presentavano loro le armi in segno di rispetto. Le gesta del Duca Amedeo vengono ricordate tutt'oggi, seppur egli morì in prigionia inglese per malaria, poco più di un anno dopo gli avvenimenti dell'Amba Alagi.


Diego Como

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