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Arsenico e vecchi merletti, cosa succede in Vaticano?

Funerali papali: tra mito e realtà


Con la scomparsa di Papa Francesco, si fa tanto parlare di funerali, cardinali e conclave; tanto – forse troppo – parlare, spesso senza avere la minima idea di quello che si dice o, peggio, con una malafede ipocrita degna del peggior gossip.


La stampa di mezzo mondo sta sciorinando, ogni due per tre, florilegi bergogliani su: sobrietà, umiltà e soprattutto l'andante stantio «a come lui nessuno!». Ma il funerale di una personalità di rilievo, come qualsiasi altro momento della sua vita, segue regole ben precise.


A suo tempo, il sottoscritto aveva avuto l'occasione di riflettere sui molti errori proferiti riguardo ai due "funerali reali" avvenuti in Italia.


Sono anni che si parla dei "riti funerari papali" modificati da Francesco, che, da sobrio cultore dell'austerity avrebbe odiato "l'apparato barocco", in uso fin dal passato. In molti hanno detto che sarebbe stato tolto il "catafalco" e che la salma sarebbe stata esposta solo nella bara.


Beh, le modifiche sì, ci sono state, ma non così eclatanti. Il corpo del pontefice, come abbiamo visto, è stato esposto su un rialzo dentro la cassa: nulla di troppo nuovo, forse solo più distaccato e celato.


Altra grande ipocrisia, che il mainstream propina come oro colato, è la storia della "tomba sobria". Le immagini della dimora eterna di Bergoglio sono pubbliche: una lastra di marmo, in una cappella scelta ad hoc, in una delle più importanti basiliche romane.


E subito tutti ad adorare "la rivoluzionaria tomba semplice", proprio come lui! Altro che le "le tombe fastose dei predecessori"... Ahimè, basterebbe cercare le immagini delle tombe di Pio XII, di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e infine di Benedetto XVI, per vedere una semplicità linerare, con loculi in marmo e scritte essenziali.


Una tradizione oramai consolidata quella della semplicità, nel suo testamento il Beato Pio IX chiese:


«Il mio corpo divenuto cadavere sarà sepolto nella Chiesa di S. Lorenzo fuori le mura, e precisamente sotto il piccolo arco esistente contro la così detta craticola, o sia pietra nella quale si designano anche adesso le macchie prodotte dal martirio dell’illustre Levita».


Ancora più umilmente il Venerabile Pio XII chiese:


«Prego coloro, cui spetta, di non occuparsi né preoccuparsi per erigere qualsiasi monumento alla mia memoria; basta che i miei poveri resti mortali siano deposti semplicemente in luogo sacro, tanto più gradito quanto più oscuro».


Ecco, la "grande umiltà" di Francesco non è nulla di rivoluzionario, anzi, paradossalmente, nel cercare la "sobrietà", il suo riposo eterno sarà collocato in una cappella antica e fastosa, con tanto di gran croce argentata, riproduzione gigante della sua croce pettorale.


I media e il ritorno agli abiti tradizionali


Altra grande ipocrisia mediatica riguarda ora i cardinali e la Curia. I giornali hanno già notato che molti porporati avrebbero ripreso l'abito corale, le croci pettorali ecc. Il sottoscritto ha sempre sostenuto che i peggiori "corvi" in Vaticano, sono proprio i giornalisti.


L'abito è segno del ruolo. Ovviamente, con Francesco regnante, erano di moda le croci di ferro pettorali, per emulare il pontefice, ora sembra tornare la "libertà". Così molti hanno notato, durante la traslazione, che il Cardinale Farrell indossava un piviale antico, rosso e oro, già usato da Benedetto XVI e altri pontefici: Farrell non è un "ultra conservatore", ma ha usato a mio avviso un paramento consono rispetto al momento.


Una delle pratiche giornalistiche di gran lunga più stucchevoli è quella dei paragoni tra "stili" papali. Ben ricordo quando Benedetto XVI indossò il camauro, un copricapo di velluto, in una giornata fredda: apriti cielo! Strali dei media su una simile "manifestazione di pompa"... Peccato che Ratzinger avesse semplicemente scelto di coprirsi dal freddo.


In molti criticavano l'uso dei paramenti antichi: piviali, cotte, dalmatiche e pianete. Lo stesso Papa sembrava, alle volte, sul piede di guerra contro i "terribili indietristi", che osavano indossare "i vecchi merletti". Come se i problemi della Chiesa dipendessero dagli abiti.


In effetti, però, gli abiti possono essere segni di problemi. Se Francesco aveva stigmatizzato queste vestigia del passato, durante le celebrazioni, per ragioni che non serve nenache speigare, puntualmente comparivano paramenti liturgici nuovi e moderni (dal dubbio gusto), realizzati, ovviamente, ex-novo.


I paramentali antichi e de facto gratuiti venivano soppiantati da nuovi, solo per far sbrodolare i giornalisti del Fatto quotidiano, felici di apprezzare il "buon costo" della sobrietà.


Il futuro della Chiesa e il ritorno alla tradizione


Ora, comunque, la Sede è vacante e ben presto i cardinali dovranno, giocoforza, confrontarsi e interrogarsi nel Conclave. La chiesa vuole veramente trasformarsi in un'ente assistenziale, attento ai capricci del mondo e ai pontificali dei giornalisti, come auspicano i suoi storici avversari? Oppure tornerà, ancora una volta, al Vangelo, alla fede e al sacro, come auspicano i suoi figli fedeli?


In questo momento più che mai, dovremmo ricordare le parole del Papa San Pio X scritte nell'Acta Apostolicae Sedis:


«Che questi sacerdoti [consacrati alle opere di azione cattolica] non si lascino allontanare dalla buona strada, nel labirinto delle opinioni contemporanee, dal miraggio di una falsa democrazia. Che non prendano in prestito dalla retorica dei peggiori nemici della Chiesa e del popolo un linguaggio enfatico, pieno di promesse tanto sonore quanto irrealizzabili.


Che siano persuasi che la questione sociale e la scienza sociale non sono nate ieri; che in ogni tempo la Chiesa e lo Stato, in felice accordo, suscitarono a questo scopo organizzazioni feconde; che la Chiesa, che mai tradì la felicità del popolo con alleanze compromettenti, non ha bisogno di liberarsi dal passato, poiché le basta riprendere, con l'ausilio dei veri artefici della restaurazione sociale, gli organismi distrutti dalla Rivoluzione, adattandoli, con lo stesso spirito cristiano che l'ispirò, al nuovo ambiente creato dall'evoluzione materiale della società contemporanea. Infatti i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari né innovatori, ma tradizionalisti».


Alessio Benassi

 
 
 

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