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Barbie, il Nulla tinto di rosa

Doveva essere l’evento cinematografico dell’anno, il film che avrebbe coronato Greta Gerwig come la prima regista all’altezza, in termini di successo e fatturato, dei suoi colleghi uomini a Hollywood. Eppure, guardando lo spettacolo con la stessa magica trepidazione della me bambina, sono rimasta profondamente delusa: non un messaggio, non un discorso, non un gesto che mi abbia lasciato uno spunto di riflessione. Solo il Nulla, peraltro tinto di rosa.

Una trama infantile


Tralasciando il commento sulla scena iniziale, priva di alcun senso logico, lo spettatore si vede catapultato nel perfetto mondo di Barbie, un mondo dove ogni giorno «è il giorno più bello di tutti», perfettamente uguale a quello precedente e successivo. Barbie stereotipo, una Margot Robbie tanto bionda quanto bellissima, fa da protagonista in un contesto dove la totale predominanza femminile si traduce in ordine, pulizia ed efficienza.


Un perfetto patriarcato al contrario. Ai Ken sono relegati compiti futili; dal tifo con i pompon alle partite di beach volley al mestiere di Ken co-protagonista (Ryan Gosling), che non è il surf né il bagnino, bensì la spiaggia, nel senso di stare in spiaggia a fare il bello della spiaggia.


La trama ricorda una qualsiasi puntata di un cartone animato per bambini: una mattina Barbie si sveglia e scopre di non essere più perfetta (ha la cellulite, aiuto!), quindi decide di intraprendere il viaggio verso il mondo reale per cercare la bambina che, giocando con lei, le sta trasferendo i propri pensieri negativi. Ken, innamorato, ma snobbato da Barbie, si intrufola nel bagagliaio dell’auto e la accompagna in questa avventura. Arrivati a Venice Beach, si rendono conto che la rivoluzione rosa di Barbie non ha mai reso il mondo umano un posto migliore per le donne.


Tra arresti e fughe, mentre Barbie trova la ragazzina delle sue visioni e capisce che è la sua mamma Gloria ad averle trasmesso sensazioni spiacevoli, Ken scopre il patriarcato e si innamora dell’idea dell’uomo che conta e comanda. Tornato a Barbieland prima delle altre, inizia a diffondere questa nuova visione della società, realizzando un lavaggio del cervello a tutte le Barbie e i Ken. Quando Barbie arriva con le sue amiche umane, trova davanti a sé ciò che non avrebbe mai immaginato possibile: gli uomini bevono birra e giocano a biliardo, mentre le sue simili, da Barbie dottoressa a Barbie Premio Nobel, da Barbie Giudice a Barbie Presidente, servono i Ken in abiti e atteggiamenti che, in altri contesti, definiremmo “da sgualdrine”.


Barbie stereotipo si deprime; Gloria, l’amica umana, si sfoga in un discorso sul difficile equilibrio nell’essere donne, con il quale rianima Barbie e risveglia le Barbie dallo stato di trance. Ripreso il controllo di Barbieland, il film si conclude con un discutibile compromesso sociale tra le Barbie e i Ken: le prime riconoscono che anche i secondi possono essere in grado di fare qualcosa, ma ad un livello pur sempre inferiore, concedendo loro, ad esempio, un rappresentante in qualche Tribunale minore anziché nella Corte Suprema, perché è ancora «troppo presto» per dare loro ruoli di potere.


Obiettivo fallito


È curioso come un film che si pone l’obiettivo di combattere gli stereotipi ne sia, invece, pervaso: peggio del luogo comune sulle donne al volante, le Barbie sono tutte magre e bellissime, modelle dalle taglie improbabili per la maggior parte delle ragazze umane, tranne una, che deve ovviamente rappresentare la quota di body positivity. Svolgono tutte mestieri nobili, eccetto Barbie la Stramba, l’emarginata che gestisce il reparto della nettezza urbana e ne è contenta, perché le figure diverse devono essere felici di ricoprire ruoli marginali. Non v’è traccia dell’amore di Barbie per Ken, quasi a suggerire che l’emancipazione femminile può avvenire alla sola condizione di rifiutare qualsiasi forma di relazione con una figura maschile. Il primo pensiero di Barbie nel mondo umano, anzi, è andare ad una visita ginecologica; una donna è davvero indipendente se ha l’assoluto controllo e la completa libertà sulla propria sessualità?


Essere donne: è davvero impossibile?


Quanto ai temi di rilievo che potevano dare un significato alla sceneggiatura, il discorso dell’amica umana di Barbie (America Ferrera), per commentarne uno, è scontato e banale: scivola come acqua e dopo un secondo non resta mezza parola nella mente di chi lo ascolta. Rappresenta, per di più, una realtà estremizzata, anacronistica, fuorviante: la società attuale asseconda fin troppo i desideri e i capricci delle persone. Chiunque può essere - e diventare, purtroppo - ciò che vuole, sia nell’ambito personale che lavorativo. Le difficoltà che persistono nella vita di una donna sono altre e ben più serie, ma la regista fa estrema attenzione a non toccare argomenti profondi.


«È letteralmente impossibile essere una donna. […]

Devi essere magra, ma non troppo. E non si può mai dire di voler essere magri. Devi dire che vuoi essere sana, ma allo stesso tempo devi essere magra. Devi avere soldi, ma non puoi chiedere soldi perché è volgare. Devi essere un capo, ma non puoi essere cattiva. Devi comandare, ma non puoi schiacciare le idee degli altri. Devi amare l’essere madre, ma non parlare dei tuoi figli per tutto il dannatissimo tempo. Devi essere una donna in carriera, ma anche preoccuparti sempre degli altri. Devi rispondere del comportamento sbagliato degli uomini, il che è assurdo, ma se lo fai notare, vieni accusata di essere una che si lamenta. Dovresti rimanere bella per gli uomini, ma non così bella da tentarli troppo o da minacciare le altre donne, perché dovresti far parte della sorellanza.

Ma devi sempre distinguerti dagli altri ed essere sempre grata. Senza dimenticare che il sistema è truccato. Quindi, trova un modo per farlo notare, ma essendone sempre grata. Non devi mai invecchiare, mai essere maleducata, mai metterti in mostra, mai essere egoista, mai cadere, mai fallire, mai mostrare paura, mai uscire dalle righe.

È troppo difficile! È troppo contraddittorio e nessuno ti dà una medaglia o ti ringrazia! E poi si scopre che non solo stai sbagliando tutto, ma che è anche colpa tua. Sono così stanca di vedere me stessa e ogni altra donna che si distrugge per piacere alla gente. E se tutto questo vale anche per una bambola che rappresenta le donne, allora non so nemmeno io cosa dire.»


Il consumismo è fascista

Trovo ridicolo, inoltre, che in un film a produzione americana sulla bambola americana che ha fatto la storia dei giocattoli e del consumismo, l’insulto che la ragazzina umana rivolge a Barbie sia «Sei una fascista». Siamo seri? “Sei fascista” è diventato sinonimo mondiale di “Fai schifo”? È questa la meravigliosa influenza che alcuni nostri connazionali, giornalisti e scrittori pure residenti all’estero, hanno sul concetto di Italia nel resto del mondo? Qual è, esattamente, il nesso logico tra fascismo e consumismo? Premesso che uno indica un regime dittatoriale e l’altro un modello economico, tra l’altro successivo in ordine temporale, vorrei ricordare che il consumismo e la mercificazione del corpo della donna sono stati importati - quasi imposti - in Italia proprio dagli Stati Uniti, che ne hanno tratto un vantaggio economico e politico inestimabile a partire dal secondo Dopoguerra e che ancora oggi venerano il Dio Guadagno a discapito di altri valori come l'uguaglianza, il rispetto, l’ambiente e tutti quelli tanto cari alla regista. La risposta di Barbie dimostra ancora meglio quanto spropositato sia l’uso del termine “fascista”: se il regime si fosse fermato al comando delle ferrovie o del flusso del commercio, certo oggi non avremmo di che discutere sulla questione. Non è che mi aspettassi un film con un sottotesto politico differente, ma questo mi pare un imbarazzante errore dettato dall’ignoranza, che non fa onore a chi si erge come paladina delle donne e del femminismo.


«Tu rappresenti tutto ciò che c’è di sbagliato nella nostra cultura. Tu hai distrutto il pianeta con la tua glorificazione del consumismo rampante. Sei una fascista!»

«Io fascista? Io non comando le ferrovie o il flusso del commercio.»


Sostanzialmente Barbie di Greta Gerwig è un film concepito per combattere gli stereotipi di genere e mostrare la forza del femminismo, tanto privo di sostanza e contenuti da non riuscire nemmeno a strappare due risate con le battute dei personaggi; il risultato finale, semmai, è indurre lo spettatore a ritenere che sia meglio togliere il potere alle donne, piuttosto che incrementarlo.


Alessia Antoniazzi


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