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BCE, perché funzioni così male?

La Banca Centrale Europea è uno degli organi più importanti per la stabilità dell’Unione Europea. Tuttavia, dalla discussa politica sui tassi alle critiche alle misure degli stati membri, esso è un organo, soprattutto nell’ultimo periodo, molto criticato. Ma cosa fa una banca centrale? E la BCE lo sta facendo bene? Queste sono le domande a cui proveremo a rispondere in questo articolo.

Cosa fa una banca centrale?


Un qualsiasi docente di economia, alla domanda proposta sopra, risponderebbe che una banca centrale ha il compito di scegliere l’offerta di moneta. Tradotto in un linguaggio più semplice, essa ha il compito di scegliere i tassi di interesse da applicare sui mercati, così da aumentare o ridurre la moneta in circolo.


Con tassi bassi gli individui avranno convenienza ad aprire mutui, ci sarà molta moneta in circolo perché non conviene investire a causa della scarsa remunerazione delle obbligazioni e i cittadini spenderanno di più, rinforzando l’economia ma aumentando l’inflazione. Viceversa, con tassi alti, come oggi, circola meno moneta, si spende di meno, si investe di più in obbligazioni e l’economia si contrare facendo calare l’inflazione.


Una banca centrale ha poi tre possibili obiettivi quando modifica i tassi: la stabilità dei cambi con altre valute, la scelta di una politica monetaria indipendente e la ricerca di una libera mobilità dei capitali.

Senza entrare nei dettagli, si sappia che, per alcune leggi economiche[1], possono essere raggiunti solo due obiettivi su tre nello stesso momento e che quasi tutte le banche centrali al mondo, compresa la BCE, perseguono gli ultimi due, lasciando il cambio libero di variare.


Inoltre, è importante notare che le banche centrali non hanno nessun potere di imporre o togliere imposte: la politica fiscale è pienamente in mano ai governi nazionali. La BCE, infine, ha come compito aggiuntivo quello di sovrintendere le leggi di bilancio dei Paesi membri e di esprimere pareri e raccomandazioni in merito alle politiche economiche dei vari Stati.


Cosa funziona e non funziona nella BCE


La BCE, dunque, ha compiti molto diversi. Il più semplice tra essi è quello di garantire una libera mobilità dei capitali, ovvero astenersi dall’imporre limitazioni all’entrata o uscita di capitali dagli Stati UE, elemento fondamentale nell’ottica di una globalizzazione finanziaria ormai inarrestabile.


Il vero problema sta nella gestione della politica monetaria, ovvero nella scelta dei tassi. La BCE, infatti, nella scelta del livello dei tassi di interesse deve trovare delle soglie che possano aiutare 27 Paesi membri, facendo coincidere esigenze che possono essere molto distanti. In UE, ad onore del vero, il grado di integrazione delle economie è ottimo, fatto che facilita questo compito, tuttavia poniamo un esempio scomodo. Ipotizziamo che in Germania si abbia un periodo di stagnazione economica con un’inflazione bassa intorno all’1%, mentre in Francia l’economia è in una fase di boom e l’inflazione è schizzata al 6%, troppo alta rispetto al target del 2%. Cosa dovrebbe fare la BCE? Alzare i tassi così da far rallentare l’economia francese e stabilizzarne l’inflazione o abbassarli per aiutare la Germania ad uscire dalla crisi? Non esiste una risposta corretta, e questo perché situazioni di tale contrasto non possono essere risolte se non tramite il vecchio sistema in cui ogni Stato aveva la sua banca centrale.


In realtà una via d’uscita ci sarebbe: dare la politica fiscale in mano alla BCE. Infatti, se la BCE avesse la possibilità di decidere quali imposte inserire in un Paese potrebbe risolvere entrambi i problemi in modi diversi. Potrebbe ad esempio abbassare i tassi per stimolare l’economia tedesca e parallelamente alzare le imposte sui redditi in Francia così da ridurre i consumi e stabilizzare l’inflazione.


Mario Draghi, in una recente intervista al The Economist, ha affermato che l’unione fiscale europea è l’unica via per uniformare davvero le economie dell’UE. Dobbiamo però chiederci: questa soluzione è praticabile?


Ebbene, un’unione economica e monetaria senza unione fiscale, come l’UE, è pericolosa e rischia addirittura di portare nel lungo periodo a gravi problemi ai Paesi membri, tuttavia, a oggi, nessun governo ha intenzione di cedere il potere di imporre o modificare le imposte all’UE. Non vi è la volontà politica di farlo e inoltre vi sono delle motivate e ragionevoli paure su come la BCE potrebbe gestire la politica fiscale in autonomia.


Nessun governo in fondo si fida della BCE per imporre nuove tasse: sarebbe difficile dare la garanzia che non ci possano essere giochi di potere o favoritismi tali da causare un utilizzo scorretto di questo potere. Inoltre, la politica fiscale è uno strumento straordinario in campo elettorale, riuscireste a immaginare una campagna politica senza nessun partito che promette riforme fiscali o tagli alle tasse? Insomma, per quanto problematico possa essere il mantenimento di un’unione solo monetaria e non fiscale, questa alternativa è destinata a restare un’utopia ancora per moltissimi anni.


I Presidenti: una storia di incompetenza


La BCE, fondata nel 1998, prevede che ogni Presidente, nominato dal Consiglio europeo, resti in carica 8 anni con mandato non rinnovabile. I Presidenti dal ‘98 a oggi sono dunque stati quattro: l’olandese Duisenberg, il francese Trichet, l’italiano Draghi e la francese Lagarde, attualmente in carica.


Duisenberg fu un presidente senza infamia né lode, con limitato talento nel parlare ai mercati e che si dimise dopo solo quattro anni di mandato. Jean-Claude Trichet, invece, fu il primo a fare realmente dei danni: quando negli Usa scoppiò la crisi del 2007-2008 egli fu completamente miope ai problemi che essa poteva portare anche in Europa, agendo tardivamente e senza successo. Sotto il suo mandato iniziò la crisi dei debiti sovrani ed egli non fu in grado di rassicurare i mercati sulla stabilità dei debiti pubblici di Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda.


Arriviamo ora a Mario Draghi, un personaggio per cui si può provare o odio o amore. Alcuni lo osannano come fosse un dio, altri lo ritengono uno schiavo dei potenti e delle banche. Una cosa va riconosciuta però a Draghi da parte di tutti, una cosa di cui noi italiani dovremmo essere orgogliosi: egli è l’uomo che ha evitato il collasso dell’Unione Europea. Nonostante i danni lasciati da Trichet, Draghi fu in grado di rilanciare la politica del quantitative easing[2], fondamentale per stabilizzare i mercati e salvare gli Stati ad alto debito. Come persona o come politico Draghi può piacere o non piacere, ma tra i quattro che hanno diretto la BCE egli è certamente stato l’unico degno di quel ruolo, l’unico realmente in grado di fare il proprio dovere e per questo alla BCE una personalità come quella di Draghi manca enormemente.


A far sentire la sua mancanza è proprio Christine Lagarde. Non mi soffermerò sugli ultimi errori della Lagarde nella gestione dell’inflazione in Europa, ma voglio concentrarmi su un evento passato in particolare. A marzo 2020, in pieno lockdown per il Covid-19, la Lagarde fece la seguente dichiarazione: «Non spetta a noi ridurre gli spread», lasciando intendere un cambio radicale nella politica di aiuto ai debiti pubblici più elevati. Il giorno seguente a questa gaffe, Piazza Affari chiuse con un -16,9%, Francoforte e Parigi con -12%, Londra con un -10%. La BCE corresse in breve tempo il tiro con nuove dichiarazioni che rassicurarono i mercati, ma in un solo giorno l’incapacità della Lagarde di esprimersi con i mercati ha provocato uno dei peggiori crolli di borsa della storia europea.


Un orizzonte con molte nubi


Nella speranza di essere stato sufficientemente comprensibile nello spiegare temi economici di grande complessità, mi trovo ora in difficoltà a parlare delle prospettive di un’istituzione sovranazionale così problematica.


Spesso si sente parlare a destra di una necessità di porre fine alla BCE, di un ritorno alle singole banche centrali, di uno smantellamento dell’eurozona, ma tali vie sono a oggi poco praticabili ed estremamente pericolose. Il grosso problema, come detto prima, è che creare un’unione monetaria senza unione fiscale è come costruire un grattacielo senza fondamenta: ci si può vivere, ma quanto a lungo può resistere prima di crollare? E se questo grattacielo ha anche un amministratore inadatto al ruolo quanto può essere facile viverci?


Forse ciò che più servirebbe alla BCE a oggi è qualcuno che la sappia guidare con serietà e senza pressioni. Una persona scelta solo per la propria competenza e non per cercare di accontentare i Paesi UE più forti con nomine politiche. Anche in questo caso, la partita si giocherà in un certo senso alle europee, così da poter eleggere un Parlamento UE che abbia la capacità di dare nuove fondamenta a un’Unione in crisi. Proprio dalle fondamenta bisogna ripartire, oppure questo grattacielo costruito in settant’anni è destinato a crollare rovinosamente.


Matteo De Guidi

[1] Parliamo nello specifico del Trilemma macroeconomico di Mundell-Fleming. [2] Politica monetaria non convenzionale che consiste nell’acquisto del debito pubblico degli Stati membri, rifinanziandolo con l’emissione di nuovi titoli con tassi di interesse inferiori, così da ridurre il costo del debito in termini di intereressi.

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