top of page

Bombardano Milano: il drammatico bilancio cittadino

Per approfondire: Breda M.A., Calini A., Padovan G., Bombardano Milano. Rifugio Antiaereo N° 87, Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano, Milano 2020.


Bombardo, quindi cancello:


Un tempo, in particolari frangenti, conquistata una città fortificata la si radeva al suolo. Il tristemente noto Temujin, alias Genghiz khan (XII-XIII secolo), quando dalla Mongolia spostò gli interessi predatori verso sud-ovest, all’incirca nel territorio afgano, trovò una tenace resistenza negli abitanti di alcune città.


Una volta espugnate, tanto per non sbagliare, non solo le rase al suolo, ma fece decapitare ogni abitante, bimbi compresi. Per inciso, si sa quante persone vi fossero in ogni città perché le teste venivano diligentemente e precisamente impilate in piramidi e il conto dei morti altrettanto diligentemente scritto nei documenti militari.


Ancora oggi la popolazione civile è fastidiosamente ingombrante, ma ancora più dannosi sono gli elementi identitari a cui, sovente, i civili si aggrappano vedendovi un punto di riferimento culturale, sociale e nazionale.


A conti fatti è più facile eliminare il patrimonio materiale inamovibile, appunto perché quando lo bombardi sta sempre al suo posto, che una torma di civili i quali hanno la pessima inclinazione a scappare per ogni dove nel tentativo di salvarsi.


Ora vorrei proprio capire chi ha il coraggio, virtuale s’intende, di negare che soprattutto la Seconda Guerra Mondiale ha mirato a cancellare quanti più patrimoni possibili della civiltà e della cultura dell’Europa. Ma non affrettiamo le conclusioni e vediamo qualche “straccio” di avvenimento storico meneghino, dopo taluni fastidiosi “dettagli”.

 

Fastidiosi dettagli:


Nel XIX secolo lo sviluppo delle armi e la loro applicazione sui campi di battaglia provoca sempre più reazioni contrarie alla guerra, anche e soprattutto nel continente europeo il quale è costantemente percorso da eserciti.


Vi è la consapevolezza che il progresso tecnologico può condurre ogni popolazione a un regime di vita sociale e culturale elevati, a patto che tale “progresso” sia controllato e volto al solo bene della popolazione civile. Non posto, invece, al servizio delle banche private e di taluni industriali.


Ma questo non avviene.


Su iniziativa dello Zar Nicola di Russia, nel 1899 si riunisce all’Aia, in Olanda, la prima Conferenza Internazionale sulle leggi di guerra, apportando importanti modifiche alla Convenzione di Ginevra del 1864. La Seconda Conferenza dell’Aia, promossa dal presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosvelt, avviene nel 1907 e vede la partecipazione di quarantaquattro nazioni, con la sottoscrizione di tredici Convenzioni e una Dichiarazione. In particolare, per quanto concerne il coinvolgimento dei civili inermi nelle vicissitudini belliche, si sancisce quanto segue:

 

  • «Art. 23. Oltre alle proibizioni stabilite dalle Convenzioni speciali, è segnatamente vietato:

    a) di usare veleni o armi avvelenate [ovvero l’uso di aggressivi chimici, i tristemente noti “gas di guerra”. N.d.A.] b) di uccidere o di ferire a tradimento individui appartenenti alla nazione o all’esercito nemici».

  • «Art. 25. È vietato di attaccare o di bombardare, con qualsiasi mezzo, città, villaggi, abitazioni o edifizi che non siano difesi».

  • «Art. 27. Negli assedi e bombardamenti devono essere presi tutti i provvedimenti necessari per risparmiare, quanto è possibile, gli edifici consacrati al culto, alle arti, alle scienze, alla beneficenza, i monumenti storici, gli ospedali ed i luoghi dove trovansi riuniti gli ammalati e i feriti, a condizione che essi non siano adoperati in pari tempo a scopo militare. Il dovere degli assediati è di designare questi edifici o luoghi con segni visibili speciali che devono essere preventivamente notificati all’assediante».

  • «Art. 28. È vietato di abbandonare al saccheggio una città o una località anche se presa d’assalto».


Le vicissitudini politiche e belliche degli anni compresi tra il 1914 e il 1945 (e - perché negarlo - fino ad oggi) dimostrano, purtroppo, che gli articoli summenzionati sono stati tutti ignorati.

 

Cancellare il patrimonio identitario di Milano:


Ancora oggi in molti si domandano quali danni materiali abbia subito la Città di Milano per poter essere liberata. Tralasciamo il computo dei morti e dei feriti, mai fatto con esattezza o, se fatto (ne dubito seriamente), mai divulgato e quindi ancora oggi “secretato”.


Consideriamo, invece, quanto sia costata a Milano la “ventata liberatoria”, in termini di patrimonio architettonico e monumentale, tanto danneggiato quanto cancellato.


A fine guerra i danni subiti dalla città sono stati fatti calcolare dall’Amministrazione Comunale, in modo abbastanza circostanziato, e per ogni isolato è stata compilata un’apposita scheda che riportasse quello che si era salvato, quanto era recuperabile, quanto invece perduto.


Si può affermare che quasi un terzo delle strutture è stato raso al suolo o danneggiato gravemente, senza contare gli edifici lesionati in modo non grave.


Nel libro del Comune Milano 1945-1955 sono riportate alcune cifre parziali (sottostimando i danni rispetto a quanto scriverà De Finetti): «edilizia. Locali d’abitazione esistenti in Milano al 31.12.1939: 958.437. [...] Locali distrutti o gravemente danneggiati durante la guerra: 135.000. Locali danneggiati leggermente durante la guerra: 110.000. [...] Aule ricostruite o riparate dal 1945 al 1955: 2.361» (Civica Amministrazione di Milano, Milano 1945-1955, Comune di Milano, Milano 1956, pp. 337-338).


Non si parla dei monumenti storici, quali ad esempio il Duomo e il Castello, che furono colpiti. Nemmeno si accenna alle chiese, alle biblioteche, ai musei, alle strade, alle superfici occupate da installazioni varie quali le ferroviarie, ecc.


L’autorevole Giuseppe De Finetti, nel suo libro Milano. Costruzione di una città, così informa: «Ed ecco la guerra, ecco i bombardamenti del 1942, poi del febbraio e dell’agosto del 1943, ecco i crolli e gli incendi. In poche notti la città vede crollare tante case da denudare circa l’area medesima -3 milioni di mq.- che essa copriva nell’anno 1800» (De Finetti G., Milano. Costruzione di una città, Cislaghi G., De Benedetti M., Marabelli P. -a cura di-, Etas Kompass, Milano 1969, p. 432).


Ma i bombardamenti s’intensificano nel 1943.


Così prosegue De Finetti, fornendo anche tre tavole con indicati gli stabili distrutti e quelli gravemente danneggiati: «Nel 1940 la città noverava 969.354 locali di abitazione, oltre ai locali adibiti ad altri usi, dagli uffici pubblici agli ospedali, dalle chiese alle scuole, ai musei.


L’indice di affollamento medio della popolazione era assai elevato: 1,28 abitanti per locale (dedotti da uno studio di Franco Budriesi Gli alloggi di Milano in pace e in guerra, La Città, marzo-aprile 1946). È questa la città sovraffollata che la guerra colpì col suo maglio, col suo inesorabile soffio di morte.


Al dicembre del 1945 i locali di abitazione colpiti o distrutti risultavano circa 250.000. Tenuto conto di ulteriori 50.000 locali distrutti in edifici adibiti ad altri usi ed assunto mediamente in mq. 10 il rapporto tra locale e suolo urbano costruito, si giunge a quel dato sommario di 3 milioni di mq. spogliati da edifici che sopra dicemmo.


Arsero il Palazzo di Corte e il Palazzo Marino, opera dell’Alessi e sede del Comune; arse l’Ospedale Maggiore, fondato quasi cinque secoli orsono, il più nobile documento di architettura civile della città; andò distrutto il portico di Bramante in Sant’Ambrogio ed il chiostro delle Grazie; furono gravemente colpiti il Palazzo di Brera e il Castello.


Distrutte le antiche case dei Borromeo nella omonima piazza, sconquassato il Palazzo Silvestri in corso Venezia ed un palazzo di via Bigli che risaliva agli anni di Leonardo, che fu Taverna e poi Ponti, colpito a morte il Palazzo Stampa-Soncino in via Torino, che ospitò Carlo V.


Né fu risparmiata la Milano di San Carlo: colpita la chiesa di San Fedele che lo Stendhal diceva la fabbrica più ellenica di Milano, distrutti i due chiostri del Collegio elvetico, che dal tempo del Primo Regno d’Italia era detto Palazzo del Senato.


Ed arse tutta la contrada del Borgonuovo dove erano tracce di architettura di Cesare Cesariano, del Vanvitelli, del Piermarini. E dell’opera di questo che fu l’ultimo architetto grande di Milano non resta intatta nel Palazzo Belgioioso che la fronte, mentre bruciò il suo teatro della Scala.


E fu massacrata l’ultima architettura neoclassica milanese: il colonnato della chiesa di San Carlo ed andarono perduti palazzi e giardini che si affacciavano un tempo lungo la fossa interna: il Palazzo Visconti di Modrone, il palazzo che un Trivulzio aveva legato come ospizio dei vecchi, il Palazzo Sormani. Tra i ruderi delle case antiche si venne palesando più crudamente la sproporzione delle fabbriche moderne in cemento armato, che resistettero al fuoco. Il volto della città si deformò per sempre» (Ibidem, p. 433-436).

  

A grandi linee…


Per quanto riguarda l’apparato monumentale metropolitano le cifre sono così indicate da Auletta Marrucci:


«I bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale hanno colpito oltre il 65% dei monumenti di Milano: su 273 edifici sottoposti a tutela 183 sono stati danneggiati, dei quali 115 di proprietà privata; alcuni edifici sono stati completamente distrutti, altri hanno riportato danni gravissimi, altri sono stati danneggiati in modo più o meno grave» (Auletta Marrucci R., Milano bombardata: la difesa, i danni e la ricostruzione del patrimonio monumentale, in Auletta Marrucci R., Negri M., Rastelli A., Romaniello L. -a cura di-, Bombe sulla città. Milano in guerra 1942-1944, Catalogo della Mostra (Rotonda di via Besana 21 febbraio – 9 maggio 2004), Skira, Ginevra-Milano 2004, p. 169).


Sentiamo anche un’altra voce: «È interessante poter approfondire l’argomento attraverso alcuni documenti di fonte britannica (Air Force Historical ResearchAgency, Maxwell AFB, USA, IRISRef B5660, Reel 7761 “Targets”, frame 515-516), all’epoca segreti, dai quali traspare l’atteggiamento delle forze aeree anglo-americane nei confronti delle incursioni sulla Penisola che lo scorrere della storia e delle civiltà hanno trasformato in un giacimento culturale senza eguali nel mondo».


E, tratto da un documento segreto del 7 luglio 1943: «Memorandum sul bombardamento di taluni obiettivi italiani. È opinione comune che le città e i paesi dell’Italia contengano antichità che, per numero e qualità, sono senza confronti in tutta Europa. Nel caso dell’Italia, più che in ogni altro paese, perciò, c’è la possibilità che le operazioni aeree abbiano come esito la distruzione di monumenti di primaria importanza culturale a fronte di un risultato militare relativamente modesto.


Riconosciamo che non si debba permettere che l’importanza culturale di singole città e monumenti sia di pregiudizio alla condotta delle operazioni militari. Ecc.» (Grilletta G., Bombe e tesori d’arte nel 1943, in Storia Militare, n.128, anno XII, Albertelli Edizioni Speciali, Parma 2004, pp. 47-48).


Se il “Memorandum” citato è comunque solo carta stampata, magari “alla bisogna”, ricordiamo un emblematico episodio per tutti, seppure esulando da Milano: la distruzione dell’Abbazia di Montecassino avvenuta nel 1944. Se la giustificazione era che uno dei più importanti edifici storici e religiosi d’Italia e d’Europa si trovava nel “teatro di guerra”, all’atto pratico la sua totale distruzione facilitò il compito difensivo dell’area impervia.


La mia personale opinione è che a qualcheduno non parve vero che proprio un Monumento identitario come l’Abbazia di Montecassino si trovasse “nell’occhio del ciclone” e pertanto l’occasione era ottima per poterlo cancellare dalla faccia e dalla Storia del Mondo.

  

Una proposta d’indagine per i Lettori


Volete condurre una indagine su probabili o presupposti mitragliamenti contro obiettivi culturali e identitari milanesi? E la cui importanza militare era venuta meno già nel Rinascimento! Volete sentirvi degli “investigatori privati” per qualche oretta? Lasciate però da parte la lente d’ingrandimento e munitevi di binocolo, oppure di cannocchiale, ma soprattutto di una macchina fotografica con teleobiettivo o di un altrettanto capace telefonino “faccioditutto”.


Recatevi quindi al Castello di Porta Giovia, lato parco Sempione, e posizionatevi comodamente sulla panchina che guarda la faccia nord-ovest della Torre della Corte Ducale, contenente la Sala delle Asse, quella famosa affrescata da Leonardo da Vinci.


Su che cosa indagare?


Al di sotto di beccatelli e caditoie compaiono tanti buchi abbastanza profondi e dai contorni frastagliati, da non confondersi con le “buche pontaie”, a sezione quadrangolare abbastanza regolare. Di che cosa si tratta?


A mio avviso sono gli “incavi” lasciati nella muratura di mattoni dai colpi di uno o al massimo due aeroplani inglesi o americani che volando a bassa quota, ovvero alla medesima altezza della parte superiore della torre medievale, hanno “mitragliato” con cannoncini da 20 mm o con armi da 12,7 mm.


Attenzione: tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento il Castello di Milano è stato restaurato. Nello specifico, la Torre è stata parzialmente ricostruita dai beccatelli compresi in su. Pertanto, dal momento che dal restauro ad oggi gli unici eventi critici (o disastrosi) per Milano sono stati:


1. Bombardamento del “Rione Porta Romana” il 14 febbraio del 1916;


2. Bombardamenti e mitragliamenti tra 1940 e 1945;


3. Disattenzione nei confronti della popolazione e del suo patrimonio storico, artistico e culturale, da parte di varie “giunte”.


Posso presupporre che i “buchi” siano dovuti proprio ad un mitragliamento avvenuto nel corso della Seconda Guerra Mondiale.


Come procedere? Suggerirei di “recuperare” da web e da archivi vari le foto della “Torre delle Asse” nel periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento al 1939. Poi, confrontatele con le foto da voi scattate.


Felice indagine! Il risultato che otterrete andrà certamente ad aggiungere un altro importante tassello alla Storia di Milano.

 

Gianluca Padovan 

 

DIDASCALIE: 



1. Largo Richini angolo Via Festa del Perdono; a sinistra i resti dell’edificio recano due “scritte di guerra”: la “I” di idrante e la freccia banca in campo nero che indica la direzione da prendere per raggiungere il più vicino rifugio antiaereo (Comune di Milano, Sui cieli di Milano è passata la Raf, supplemento a Milano, marzo, Milano 1943-XXI, p. 10).



2. Recita il testo d’epoca: «All’occhio dell’Ambrosiano di razza – e perché no, anche d’adozione! – questa fotografia non ha bisogno di didascalia. L’Ospedale, il nostro Ospedale Maggiore, la “Ca’ Granda”, ricco di storia e di ricordi, eccolo qui semidistrutto… Il tetto è andato divorato dall’incendio e le mura pericolanti sono cadute dopo qualche giorno» (Comune di Milano, Sui cieli di Milano è passata la Raf, op. cit., p. 41).



3. Via Mario Pagano bombardata: si sgomberano le macerie.



4. Foto d’epoca di un vero obiettivo militare: il Cimitero Monumentale progettato dall’architetto Carlo Maciachini nella seconda metà dell’Ottocento. Oggi è definito “un museo a cielo aperto” (Comune di Milano, Sui cieli di Milano è passata la Raf, op. cit., p. 51).

5, 6, 7. Documentazione datata 2 febbraio 1945: si tratta di un parziale elenco dei danni subiti da edifici in carico alla Provincia di Milano tra il 1942 e il 1944 (Archivio Storico della Provincia di Milano).

bottom of page