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Brics, un’alternativa al Washington Consensus?

Una delle novità che sta sconvolgendo lo scenario internazionale negli ultimi anni è rappresentata la graduale affermazione del BRICS, agglomerato economico formato dal Brasile, dalla Russia, dall'India, dalla Cina e dal Sudafrica, paesi accumunati da: un’economia in via di sviluppo (Anche se è sempre più difficile inquadrare la Cina in questa categoria), una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali e da una forte crescita del PIL.

I paesi del BRICS allo stato attuale comprendono oltre il 42% della popolazione mondiale, il 25% della totale estensione della Terra, il 31,7% del PIL mondiale (superando quindi perfino il gruppo del G7), e circa il 16% del commercio internazionale. Il blocco, nato

come alternativo alle istituzioni economiche fondate sul Washington Consensus (l’insieme di politiche economiche promosse dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti volte a ricreare all’interno delle economie meno industrializzate le condizioni favorevoli per ottenere nel breve termine stabilità e crescita economica) sta diventando un organismo sempre più attrattivo per molti paesi.


L’espansione del gruppo è in cima all’agenda del vertice che si terrà dal 22 al 24 agosto a Johannesburg, con già 22 paesi che vi hanno chiesto formalmente di aderire, benchè sarebbero circa una quarantina i paesi che anche informalmente hanno manifestato l’intenzione di unirsi. Tra i paesi che cercano di aderire ai BRICS vi sono Argentina, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.


Tuttavia, le modalità formali di ingresso di questi Paesi non sono ancora chiare; sarà necessario puntualizzare chiaramente i criteri di accesso dei candidati e l’eventuale potere di veto da parte dei vecchi membri. Inoltre, bisognerà normare come l’adesione ai BRICS si relazioni alla sua banca, la Nuova Banca di Sviluppo, che nel 2021 si era già aperta all’ingresso di Egitto, Uruguay, Bangladesh e Emirati Arabi Uniti. Un possibile modello potrebbe essere quello dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) che condivide con i BRICS tre membri – Russia, Cina e India, anche se richiede tempi lunghi (l’India ci ha messo 12 anni ad entrarvi a pieno titolo) e status intermedi.


Sull’allargamento si sta giocando una guerra fredda tra due grandi potenze asiatiche. Da una parte troviamo la Cina, che attraverso la creazione della Nuova Banca per lo Sviluppo a Shanghai, domina ormai la politica finanziaria BRICS, e si appresta a voler sfidare il predominio del dollaro nei mercati globali (senza nascondere troppo il desiderio di una valuta BRICS o similari).

A rafforzare la posizione cinese troviamo anche il Ministro degli esteri russo Lavrov che insiste per uno spostamento del vertice dei Brics da Johannesburg come programmato, alla Cina per via del mandato di cattura contro Putin emesso dalla Corte penale internazionale il 17 marzo scorso. Lo spostamento in Cina trasformarmerebbe in una specie di forum anti G7, anti Nato, perfino anti-Fmi, dove Pechino sarà al centro di questo “Assalto all’Occidente”.

Dall’altra parte troviamo un inaspettato alleato, l’India, che potrebbe avanzare delle riserve in caso di allargamento troppo rapido e in caso di eccessiva adesione del gruppo alle posizioni cinesi di critica all’ordine globale liberale. Lo Stato subcontinentale infatti, pur vantando una lunga esperienza di guida del mondo in via di sviluppo e condividendo con la Russia uno stretto rapporto (anche dopo i fatti ucraini), non ha rapporti altrettanto buoni con il vicino cinese.


Anzi, il premier Narendra Modi si è impegnato sempre di più a rafforzare il piano strategico dell’Indo-Pacifico che, su proposta giapponese e supporto statunitense, prevede il coinvolgimento indiano nel contenimento della crescita cinese. L’India inoltre ha aderito all’Indo-Pacific economic framework proposto da Biden in Giappone a margine del summit del Quadrilateral Security Dialogue (QUAD) di cui l’India è parte attiva.

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