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Caino e Abele, ovvero Occidente e Oriente

Agens e patiens.


Ogni giorno si fa più nitido il confine di fuoco che corre da Kiev a Tel Aviv, è  il palcoscenico perfetto per il conflitto archetipico fra Oriente e Occidente: ciò che conta davvero non è tanto la contesa materiale, quanto la sfida tra due modelli di civiltà che faticano a riconoscersi e che tuttavia devono molto l’uno all’altro.



Caino è il ritratto dell’Occidente: egli, ripudiato da Dio, è assalito dall’istinto prevaricatore che sfocia nell’uccisione del fratello Abele: da quel momento è condannato alla peregrinazione storica, è l’uomo che non trova mai pace e che vive di verità supposte. Al contrario Abele, pur morendo, esce dalla storia, entra nella dimensione sovratemporale, che contraddistingue le verità orientali, viene vinto materialmente dal fratello ma in via teorica conserva la grazia del Creatore; la voce del suo sangue Gli grida dalla terra.


Oriente e Occidente sono fratelli, benché in eterna lotta, costretti a convivere nello spirito di ogni uomo e di ogni epoca.


Gli ultimi bombardamenti angloamericani ai danni delle basi yemenite confermano le norme di un pattern storico che si ripete da millenni, è lo scontro tra tecnica e religione, nòmos e autonòmos.


Per rendere un'idea della differenza sostanziale che sussiste tra Oriente e Occidente, e soprattutto razionalizzarne il conflitto, sarà bene analizzare la dimensione politica in cui essi si muovono: null'altro al pari dell'amministrazione pubblica può considerarsi come la summa applicativa più rigorosa delle nozioni filosofico-religiose di un popolo. Ciò che divide alla radice Oriente e Occidente è l'approccio al problema della libertà individuale in lato sensu; interrogativo che ha mosso precocemente la sensibilità occidentale ma che non ha sortito lo stesso effetto nella cultura orientale.


“In ogni scontro tra Oriente e Occidente la concezione della libertà sembra costituire l’elemento distintivo più importante […] Libertà e dispotismo vanno di pari passo. Sono fin da principio due possibilità che dominano la vita dell’uomo e dei popoli” , scrive Junger.


Ancora oggi, sebbene il mondo europeo si sia speso per secoli nell'opera “civilizzatrice”, l'imposizione del sistema democratico non sembra avere avuto il successo sperato; Russia, Iran, Cina e India, considerate le maggiori potenze del Levante (eccettuato il Giappone che ha subito la violenta opera colonizzatrice statunitense), hanno reputazione di pseudo democrazie: è infatti improponibile sovrapporre ad una cultura totalitaria il diktat democratico.  In tal senso notevole è la constatazione che il mito della libertà  democratica non è applicabile se non sulla base di una tradizione, e che dunque non può ritenersi il fine universalmente accettato dell’arte politica.


Come già intuito da Nietzsche, tutte le dottrine che si servono di fini umanitaristici (la dottrina liberaldemocratica è una di queste) non sono che insidiose seduzioni: “Che esse piacciano - a chi le possiede, e a chi gode dei loro frutti, anche al semplice spettatore, - non apporta ancora alcun argomento a loro favore, semmai richiama appunto alla circospezione. Si sia dunque circospetti!”


Veniamo poi ad una netta differenza, apparentemente insuperabile.


L’Occidente è la patria della dialettica, l’Oriente quella di ogni rivelazione: noi aborriamo la dittatura liberticida, essi non riconoscono sistema politico che non si raccolga intorno alla figura di un singolo che impersoni le sorti dell’Impero.


“(Il re orientale) è insostituibile come lo è il re in una partita a scacchi. Se cade, deve comparire subito in campo un nuovo re, affinché gli altri pezzi riacquistino la loro importanza”. 


Se si eccettuano alcune eccezioni, la dittatura in Occidente ha sempre avuto vita difficile; tra i romani essa era una magistratura che si accordava soltanto in casi straordinari e in quanto tale non ha mai costituito la norma.


Per Machiavelli, la rappresaglia di Cesare, orientata all’accentramento del potere è stata il principio della decadenza romana, dal momento che veniva a mancare il fondamento dialettico  del potere, garantito dall’opposizione tra Senato e Tribunato della Plebe. In Occidente la legittimità di un potere si fonda sulla dialettica e Cesare aveva contravvenuto a questa legge immortale; non poteva scampare alla rovina.


Al contrario in Oriente anche le utopie socialiste si sono risolte in una brutale condensazione del potere, tanto nella Russia stalinista, quanto nella Cina maoista. I califfati islamici, da parte loro, non tollerano la pluralità occidentale e i loro sogni sono gremiti dell’improbabile affermazione di un califfato mondiale. Il loro è un mondo sempre e solo a trazione monopolare e teocentrica.


In India, anche dopo secoli di dominazione britannica, la situazione non è poi tanto diversa: le loro concezione religiose e politiche rimangono immutate, e sebbene si inserisca in un processo di modernizzazione, la società risente ancora fortemente del sistema delle caste, ufficialmente abolito nel 1947.


Può darsi che sia poco avveduto da parte nostra declassare le manifestazioni politiche di realtà tanto estranee alla nostra a semplice barbarie, probabilmente sono prassi politiche che si procacciano l’armonia sociale in maniera diversa dalla nostra.


Ammettere che anche l’Oriente abbia una sua propria dignità apre a un grattacapo minaccioso: la tutela della libertà è davvero un’aspirazione necessaria o fruttifera per l'agire politico dell’uomo?


Non ci è dato ancora saperlo.


Ciò che è certo è che i rapporti di forza tra Occidente e Oriente stanno cambiando in fretta e noi non possiamo rimanere a guardare.


Gabriele Pannofino

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