La Cassazione si è espressa: il saluto romano non è reato. O almeno, non lo è nella sua espressione commemorativa.
In un post precedente, a partire fatti di Acca Larenzia, avevamo già affrontato l’argomento. Fino a ieri le scuole di pensiero erano diverse, e spesso in contrasto tra loro. Chi si rifaceva alla Legge Scelba, chi si rifaceva alla Legge Mancino, e alla fine della fiera, come spesso accade, la verità stava nel mezzo. Ma andiamo con ordine.
Ieri mattina si è espresso in primis l’avvocato generale della Cassazione Pietro Gaeta, che nel suo intervento nell’udienza davanti alle Sezioni Unite, ha asserito che «il saluto fascista rientra nel perimetro punitivo della Legge Mancino quando realizza un pericolo concreto per l’ordine pubblico […]. Acca Larenzia con cinquemila persone, è una cosa diversa da quattro nostalgici che si vedono davanti a una lapide di un cimitero e uno di loro alza il braccio. Bisogna distinguere la finalità commemorativa con il potenziale pericolo di ordine pubblico, la nostra democrazia è forte e sa distinguere».
L’avvocato ha infine concluso dicendo che «non possiamo avere sentenze a macchia di leopardo in cui lo stesso gruppo viene condannato da un tribunale e assolto da un altro.»
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sono state chiamate ieri ad esprimersi su un episodio che si verificò a Milano nell’aprile del 2016, quando delle persone fecero il saluto romano durante una commemorazione celebrativa per Sergio Ramelli, diciannovenne milanese militante del Fronte della Gioventù ucciso da alcuni esponenti di estrema sinistra.
Gli imputati – otto militanti di Casa Pound – sono stati assolti in primo grado nel 2020, dove è stata contestata la violazione della Legge Scelba, che punisce la ricostituzione del partito fascista, mentre sono stati condannati in Appello nel 2022 sulla base della Legge Mancino, che punisce i crimini d’odio.
A questo punto i supremi giudici della prima sezione penale hanno ritenuto opportuno chiedere l’intervento delle Sezioni Unite sulla questione, e questa ha annullato con rinvio la condanna emessa dalla Corte d’Appello di Milano nei confronti degli imputati.
Nella motivazione provvisoria della sentenza si legge che «la ‘chiamata del presente’ o ‘saluto romano’ è un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall’articolo 5 della Legge Scelba, ove sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista». Inoltre i giudici ritengono che «a determinate condizioni può configurarsi» anche la violazione della Legge Mancino che vieta «manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. I due delitti possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge».
La questione da anni era rimasta fumosa, ma ieri finalmente si è fatta chiarezza.
L’avvocato Di Tullio, difensore di due degli otto imputati, ha dichiarato: «la decisione della Cassazione sancisce che il saluto romano non è reato a meno che ci sia il pericolo di ricostituzione del partito fascista così come previsto dall’articolo 5 della Legge Scelba, oppure ci siano programmi concreti e attuali di discriminazione razziale o violenza razziale così come previsto dalla Legge Mancino».
In sintesi: affinché il saluto romano costituisca reato per la Legge Scelba deve sussistere un pericolo concreto di riorganizzazione del disciolto partito fascista e, a determinate condizioni, questo può integrare anche la Legge Mancino.
Alessandro Scimè