La strategia del soft power per la conquista del mondo
«Nascondi una spada dietro un sorriso» recita l’aforisma di uno dei più antichi trattati di scienza bellica, I trentasei stratagemmi che sintetizza perfettamente, l’intera strategia di seduzione cominciata alla fine degli anni ’90. Partiamo dal presupposto che la concezione orientale si fonda sull’azione indiretta e l’indebolimento progressivo, paziente dell’avversario. La destrutturazione anteposta alla distruzione tipica della logica occidentale. Un approccio pertanto globale, olistico citando il generale Carlo Jean, del quale la dirigenza cinese ne ha fatto perno per la trasformazione radicale del Paese da nano politico a potenza mondiale, affrancandolo dal suo isolamento volontario.
Pioniere di questa ripresa, fu il presidente Deng Xiaoping, il quale dovette ricomporre i cocci di una civiltà in pezzi, a causa soprattutto del periodo noto come “Rivoluzione culturale”, caratterizzato dal caos e dal terrore più assoluti oltre a una totale ribellione contro il passato e la tradizione, considerati un intralcio per il progresso del socialismo. Le basi della rinascita cinese furono dunque costruite partendo dal forte nazionalismo che già era organico nella loro cultura, basti pensare a come definiscono il Paese: Zhongguo (impero di mezzo), per comprendere la percezione sé stessi e della loro civiltà. La rapida crescita economica e il miglioramento della credibilità internazionale, permisero alle autorità cinesi di costruire una narrazione incentrata sulla paura dello straniero, visto come aggressore, a causa anche delle ingerenze, dei possedimenti persi in passato e dell’importanza del loro recupero, 1997 Hong Kong e 1999 Macao.
La stessa ideologia comunista si è evoluta nel tempo diventando promiscua, infatti con la promessa di costruire una società giusta e una nazione potente degna del glorioso passato, il prezzo sarebbe stato una trasformazione radicale ispirata all’Occidente. Oggi, a distanza di più di 30 anni coesiste un’economia iper-capitalista caratterizzata da un liberismo sfrenato, dove il regime a partito unico dispensa ordine e armonia. Nonostante le profonde disparità sociali tra la campagna e le zone costiere oltre all’elevato numero di rivolte, questo equilibrio viene comunque mantenuto poiché la maggioranza dei cinesi preferisce l’autoritarismo all’instabilità. Come indicato ne Il Risveglio della Cina di Chen Yan, se nel 1989 i giovani cinesi a Tienanmen sognavano la democrazia, oggi sono apolitici e concentrati sulla realizzazione individuale, attratti dai comfort e dal benessere materiale. Se prima scappavano all’estero per sfuggire al regime e costruirsi una nuova vita, oggi approfittano di tutte le opportunità che offre loro l’Occidente con il desiderio di tornare e arricchire il proprio Paese.
Questa apertura si riflette soprattutto sulla politica estera. La Cina, dal preoccuparsi solo degli equilibri della regione, forte dell’improvvisa crescita economica, ha iniziato ad allargare la sua prospettiva anche a livello extra continentale. La chiave di volta, per il ribaltamento dei rapporti di forza e per un multipolarismo globale in cui avrebbe molto più margine di crescita rispetto a uno scontro diretto con gli Stati Uniti, è diventata l’ottenimento del consenso internazionale. Ma per detronizzare il suo principale competitor non è sufficiente la superiorità economica. Pertanto, consapevole del suo patrimonio culturale millenario, ha armonizzato la filosofia del confucianesimo che predica la forza morale contro quella fisica e l’arte, definita dal politologo americano Joseph Nye, del soft power. Questa abilità di sedurre e attrarre attraverso la cultura, la storia e l’attrazione porta sovente all’accettazione o all’imitazione si contrappone all’esercizio dell’hard power ovvero l’utilizzo del potere militare ed economico per influenzare le relazioni internazionali. L’obiettivo è mostrare al mondo un volto amichevole e rassicurante facendo passare in secondo piano il governo autoritario, insofferente ai diritti umani.
La Strategia dei 24 caratteri di Deng Xiaoping, oggi costituisce il fondamento della teoria di amministrazione del Paese del Partito Comunista Cinese e nei suoi precetti sono evidenti i richiami all’uso del soft power: osserva con calma, consolida in silenzio le tue posizioni, nascondi le tue capacità, mantieni sempre un basso profilo, dimostra le tue intenzioni pacifiche e cerca la collaborazione anziché lo scontro con gli altri. Il PCC investe buona parte delle risorse nazionali non solo in una gigantesca rete di promozione della cultura, della lingua in tutto il mondo attraverso gli Istituti Confucio (sono oltre 500 e lo studio del cinese cresce ogni anno del 30%) e in opere colossali come lo sono stati i Giochi Olimpici di Pechino e l’EXPO di Shanghai ma anche in operazioni umanitarie e sviluppo di infrastrutture, grazie alle quali attraverso la diplomazia del libretto d’assegni come l’ha definita il prof. Barthelemy Courmont, corrompe e ricatta i governi dei paesi poveri per ottenere voti utili per i suoi interessi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
É tangibile il successo di un civiltà che vuole apparire come un modello a cui ispirarsi, un attore responsabile delle relazioni internazionali che evita i conflitti e propone la pace anziché dispensatore di lezioni, potenza egemonica e colonizzatrice. Al contrario invece degli Stati Uniti che negli ultimi 20 anni stanno vedendosi ridurre gradualmente la loro sfera di influenza. Protagonisti in tutti i principali conflitti e a causa della presunzione di imporre ovunque il loro way of life e la democrazia liberale, hanno vanificato l’azione indiretta di fascino guadagnata negli anni grazie anche a Coca Cola, McDonald’s e Nike, attirandosi l’ostilità soprattutto di molti paesi africani, del Medioriente e dell’America Latina dove sono considerati potenza imperialista.
Tuttavia l’aspetto rassicurante nasconde la vera natura del drago cinese, il quale da anni sta investendo in maniera massiccia ma discreta su armamenti e mezzi militari, con l’obiettivo di raggiungere progressivamente una forza sempre più considerevole, grazie alla quale potersi contrapporre alle grandi potenze e per affrontare le sfide geopolitiche della regione, Taiwan in primis. Aprendosi al mondo tuttavia il regime si è esposto allo stesso tempo alle critiche della comunità internazionale, la quale pretende risposte, senza tuttavia riceverne, riguardo le sue contraddizioni interne, i rapporti con la Corea del Nord, la gestione della recente emergenza sanitaria, le persecuzioni religiose e politiche.
Gli analisti prevedono che entro il 2030 la Cina dovrà importare il 75% dell’energia che consuma, pertanto le attuali iniziative diplomatico-commerciali sono concentrate oggi quasi esclusivamente sui rapporti con l’Africa che trabocca di risorse e a causa della sua instabilità le offre campo libero per depredarla. La vulnerabilità energetica e la reputazione internazionale pertanto sono le leve sulle quali dobbiamo agire come europei per contrastare e contenere l’avanzata silenziosa di un mostro implacabile, famelico che stiamo sottovalutando e del quale in un futuro prossimo ne pagheremo le conseguenze.
Cesare Taddei