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Considerazioni sulla Terza Via

Su quello che la destra ha dimenticato e sulla vera alternativa


Il 10 febbraio del 1977, nell’anniversario dei Trattati di Parigi, Alain Escoffier, militante ventisettenne del Parti des forces nouvelles, si immolava dandosi fuoco al grido di «Communistes assassins!», davanti alla sede parigina della compagnia aerea sovietica, in segno di protesta contro la visita ufficiale del presidente sovietico Leoníd Il'íč Bréžnev e con l’intenzione di riportare lo sguardo vigliacco dell’Europa e dell’Occidente su di coloro che erano vittime del comunismo.


Ho ricordato Alain, ma a destra siamo soliti onorare tra i tanti anche Jean, i giovani d’Ungheria e quelli di Piazza Tienanmen, perché il 5 aprile il presidente della sua nazione, Emmanuel Macron, si è recato in Cina in visita ufficiale e tanta destra italiana, anche vicina al Partito, di quella che spesso vanta la fedeltà alle posizioni, di quella che ha cantato almeno una volta il brano con cui la Compagnia consacrò Escoffier martire europeo della lotta contro il comunismo, ha salutato con fervore la visita, le dichiarazioni e l’incontro con il dittatore comunista Xi Jinping.


Dal ’77 a oggi ci è successo qualcosa – qualcosa di grave – e parlarne senza infastidire chi ormai ha “sacrificato” tutto il resto all’altare dell’anti-atlantismo sarà praticamente impossibile. Mentre da un lato, quel lato che forse potremmo chiamare liberale, grazie alla recente caduta dell’Urss, con l’esperienza Berlusconi l’anticomunismo poté diventare sempre più materiale da barzelletta; dall’altro lato, che indicheremo genericamente come destra militante, il ricollocamento – o ricoloramento in chiave bluette – repentino della destra politica nazionale e delle istituzioni europee, che inaspettatamente passavano dal tentativo di battere la Terza Via all’abbracciare quel modello culturale – più liberal che statunitense – e quella sfera di influenza che aveva – fortunatamente – vinto la guerra fredda, generò per contrasto una amnesia radicale.


Tutto d’un tratto, come per incantesimo del Nemico, la destra militante, che fino ad allora si era spesa per la Terza Via ovvero per l’autodeterminazione italiana ed europea assoluta – slegata dai vincoli ideologici e mossa dalla sola giustizia e dal solo interesse nazionale – nel contesto internazionale e, nel contesto economico, per quel tentativo che andava dal corporativismo al distributivismo e che oggi ritorna, ogni tanto e timidamente, sotto la dicitura di economia sociale di mercato, dimenticò il volto sinistro della medaglia materialista.


Potremmo dire che la destra militante, ormai priva di guide e riferimenti di spessore sulla, terza, via si ritrovò presto a battere una discesa ripida e impervia sulla quale si sentì parlare soltanto di anti-atlantismo, antiamericanismo e anticapitalismo e dove ben presto si trovò piena di compagni, una volta i Preve l’altra i Fusaro, che passo dopo passo, approfittando dell’amnesia e del fatto che il volto occidentale della medaglia materialista scintillava ancora sull’Europa, le raccontavano che la Terza Via non era stata quella degli europei; bensì, prima, quella dei non allineati durante la Guerra Fredda, pedine al soldo di Mosca tra i quali ricordiamo anche la Jugoslavia del maresciallo Tito, e oggi quella dei resistenti all’imperialismo americano che, guarda caso, fanno quadrato attorno all’imperialismo cinese e al goffo batter di pugni della Russia di Putin.


Su quella strada sinistra che scendeva verso il baratro – continuando a parlar per metafora e promettendo in futuro o a chi lo chieda qualcosa di un po’ più documentato – al giunger del tramonto, quando il cielo s’era fatto ormai rossobruno, e in Europa la sinistra da operaia e militante era divenuta fucsia, a quel che rimaneva della destra che aveva camminato la Terza Via si accosto chi, con fare sapiente, coltivò sulla mistificazione dei compagni, usando parole e autori europei, qualcosa che sapeva nuovamente di alternativa e che prometteva tradizione e salvezza a chi impotente vedeva l’Europa vinta dal progressismo. Al prezzo, però, di ricalibrare su Mosca – non più su Roma – il centro della storia, inutile dire che furono in tanti a seguirono il moscovita, accecati dalla critica dell’Occidente che i compagni di viaggio avevano regalato loro, in pochi ebbero l’ardire di vagliare anche solo il nome con cui si andava definendo questa nuova dottrina: Quarta teoria politica. Sarebbe stato sufficiente accorgersi che, come la Terza era tale rispetto alla prima faccia, comunista, e alla seconda, liberal-capitalista – sul termine conto di tornare in seguito – della medaglia, così la Quarta non poteva che essere, per natura, alternativa e nemica della Terza.


Che in aprile si sia potuto scrivere «Terza Via alla francese» significa che la metafora che ho protratto faticosamente per due paragrafi non è soltanto un prodotto della fantasia del sottoscritto e che la destra, quella militante, al di là delle azioni di quella di governo, non ha ancora ritrovato la strada di casa; siamo ancora orfani di guide contemporanee che ci indichino ragioni e modi di destra per opporci al liberal-capitalismo, e ci sono perché “capitalismo” è un conio di Sombart e non di Marx, che non siano la lagna egualitaria o la retorica terzomondista che, per altro, furono le armi della classe borghese contro l’Ordine aristocratico.


Che la destra, quella seria, della metafisica contro il materialismo, dell’onore contro l’oro, quella del dovere e del sacrificio estremo si riduca alla realpolitik e alla geopolitica è male ed è un male ancora più grande che codardia e rassegnazione vengano mascherate dietro l’idea nobile della Terza Via, quando si elogia l’astuzia di Macron che si sottrae dal prendere posizione nella «guerra già in atto a Taiwan» si diventa utili idioti della stessa ideologia comunista che massacrò i giovani ungheresi e dell’astuzia liberal che «sull’orlo della […] fossa è rimasta seduta». E si è anche miopi – tremendamente miopi – perché nel nome dell’antiamericanismo si foraggia una potenza straniera che oltre a massacrare il proprio popolo, si pensi soltanto ai campi di concentramento per l’etnia uigura, estende già i suoi tentacoli viscidi in tutta l’Africa e nei principali porti del continente europeo nella speranza che la violenza del comunismo asiatico, per altro rafforzato dal capitalismo di stato, si dimostri clemente nei confronti dell’Europa.


Che la destra, quella seria, della metafisica contro il materialismo, dell’onore contro l’oro, quella del dovere e del sacrificio estremo si riduca, stretta tra la corruzione morale e sociale dell’Occidente liberal e della Russia di Putin, a parteggiare per il secondo difendendo a spada tratta ogni suo crimine di guerra perché è incapace di una critica radicale e europea è male ed è un male ancora più grande che codardia e rassegnazione vengano mascherate dietro l’idea nobile della Terza Via.


Aprire le porte a Zhukov nella speranza che combatta gli angloamericani non è neppure realpolitik, è ignoranza o malafede e quand’anche funzionasse è male perché è la vittoria di un materialismo sull’altro, non è la Terza Via e non deve essere la strada degli europei.


È vero – bisogna riconoscerlo – al momento – da tanto tempo in realtà – una alternativa che non sia la resa a una delle due medaglie non si dà, ma, al di là della politica internazionale che lasciamo volentieri alla destra di governo, non è questo il compito culturale della destra militante? Quando mai la Terza Via è stata materia da programma dei politici di professione? A spaventarci – o spronarci – non deve essere il vuoto politico, bensì quello culturale: andiamo dietro ai liberal che usurpano il conservatorismo, professiamo l’eurasismo quando siamo europei, ci riduciamo alla tifoseria filo o antiamericana… Altro che «via francese», altro che Quarta teoria politica, l’Europa merita una Terza Via e per iniziare a percorrerla è sufficiente il coraggio di rifiutare la mistificazione dei compagni, l’illusione del moscovita e la menzogna del liberalismo macroniano.


Matteo Respinti

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