Nonostante la storia, la politica e i costumi nazionali mi interessino fin da quando sono piccolo, solo ieri ho scoperto dell’esistenza, diffusa e radicata nel Paese, della “pastasciutta antifascista”. Sgomento, mi sono confrontato con un amico ed egli ha confermato la mia mancanza.
Per chi, come me fino a ieri, non conoscesse il fenomeno, il “mito fondativo” della “pastasciutta antifascista” risale al 25 luglio (e ai giorni ad esso immediatamente successivi) di 81 anni fa: Benito Mussolini (come di recente una bella serie tv ha raccontato maldestramente) era stato deposto da Capo del governo, a seguito dello sforzo coordinato del gerarca Dino Grandi e del re Vittorio Emanuele III; il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, eroe della disfatta di caporetto (chiamato a servire in tarda notte e presentatosi in vestaglia), aveva assunto le funzioni del duce e l’Italia proseguiva ancora la guerra al fianco dell’alleato tedesco.
Nonostante quest’ultimo dettaglio difficilmente trascurabile, nel Paese, diffusasi la notizia della deposizione, scoppiarono, racconta la storia e non è difficile crederci, numerosissimi moti, sommosse ma anche, e soprattutto, feste spontanee.
Tra i festanti, quelli che più ci interessano in questa occasione sono i fratelli Cervi (Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio e Ettore), fucilati dalle milizie della Repubblica Sociale Italiana alle 06:30 del 28 dicembre 1943, al Poligono di Tiro di Reggio Emilia, perché appartenenti alla Resistenza reggiana (dall’8 settembre in poi) e, successivamente, decorati di Medaglia d'argento al Valor Militare “alla memoria”.
Nei dintorni del 25 luglio, appresa la notizia con un po’ di ritardo, i sette fratelli, di ritorno dal lavoro nella campagna, decisero di festeggiare la fine di 21 anni di regime con una bella pastasciutta: «si procurarono la farina, presero a credito burro e formaggio dal caseificio e prepararono chili e chili di pasta. Una volta che questa fu pronta, caricarono il carro e la portarono in piazza a Campegine pronti a distribuirla alla gente del paese. Fu una festa in piena regola, un giorno di gioia in mezzo alle preoccupazioni per la guerra ancora in corso: anche un ragazzo con indosso una camicia nera (forse era l’ultima rimasta?) fu invitato da Aldo a unirsi e a mangiare il suo piatto di pasta».
Così racconta il sito ufficiale dell’Istituto Cervi che – immagino – sarebbe pensato per rendere onore alla memoria dei 7.
E così, per 81 anni, dal 1934 al 2024, il fuoco della Resistenza si è diffuso, ogni 25 luglio, tra i fornelli di chi vuole ricordare e festeggiare la deposizione di Benito Mussolini da Capo del Governo con la sua bella pastasciutta.
Ho sempre pensato che recarsi a Predappio nel compleanno, nell’anniversario della marcia o in quello della morte di Mussolini fosse piuttosto ridicolo e, in generale, che il fenomeno fosse una delle celebrazioni più stupide che il Paese abbia mai conosciuto. Ne sono ancora convinto, ma da ieri so che il primo posto, in quanto a stupidità e ridicolezza, spetta decisamente ad altri.
Di Matteo Respinti