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Da Nerone a Ortega: la persecuzione della Chiesa continua in Nicaragua

Settimana scorsa l’On. Carlo Fidanza ha denunciato di fronte al Parlamento europeo la repressione sistematica della Chiesa Cattolica in Nicaragua a opera del regime sandinista guidato dal Presidente Daniel Ortega.


Ma come si è arrivati a questa situazione? Da cosa nasce questa persecuzione in un paese che vanta una popolazione del 58,8% professante la fede cattolica?


Iniziamo dal protagonista di questa vicenda, dall’ormai padre-padrone dello Stato centroamericano José Daniel Ortega Saavedra, o semplicemente Daniel Ortega. Formatosi come rivoluzionario all’interno del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (Movimento rivoluzionario di ispirazione marxista) tra gli anni sessanta e settanta, addestrato dai cubani in tecniche di guerriglia, è protagonista della lotta comunista contro il governo della famiglia Samoza che dominava il paese dal 1937.


Nel 1979, con la vittoria della Giunta di Ricostruzione Nazionale, Ortega sarebbe diventato il capo de facto del piccolo Nicaragua; il suo primo regno, tuttavia, finisce nel 1990 con la sconfitta alle prime elezioni libere che vede la vittoria dei movimenti conservatori e filo-americani. Spacciandosi poi come marxista diventato socialdemocratico e come ateo diventato cattolico, Ortega riprende il potere del 2007 tenendolo ininterrottamente fino a oggi.


In questi anni Ortega si è avvicinato alla Cina comunista, al Venezuela di Chavez e alla Cuba di Castro, ha cambiato la Costituzione per poter concorrere per un terzo mandato consecutivo nel 2016, vinto poi con il 76% dei voti, sebbene le elezioni siano state ritenute illegittime da gran parte della comunità internazionale.


Ma ritorniamo alla persecuzione della Chiesa Cattolica. La Chiesa ormai da anni si è posta come mediatrice tra i gruppi anti-regime e il Governo, ma questa attitudine al dialogo è stata interpretata fin da subito da Ortega come “atteggiamento cospirativo anti-governativo”.


A guidare l’assedio alla Chiesa però non è stato direttamente Ortega, ma la cosiddetta “papessa”, come qualcuno la chiama laggiù, ossia Rosario Murillo, vicepresidente nonché moglie del Presidente. Murillo è sempre stata desiderosa di trasformare la Chiesa Cattolica «in una sorta di chiesa patriottica di regime, al fine di costruire un Nicaragua cristiano, socialista e solidale».


Le misure di repressione portate avanti dalla coppia Ortega-Murillo sono state le più disparate: dall’annullamento della personalità giuridica della Caritas alla confisca delle due università cattoliche principali del paese, la Universidad Juan Pablo II e l’Universidad Cristiana Autonoma de Nicaragua, a cui è stato chiesto di consegnare al Consiglio nazionale delle università ogni informazione rintracciabile sugli studenti frequentanti, le iscrizioni e i registri accademici; dalla proibizione di celebrare le processioni per le feste dei santi, al divieto di omelie pubbliche, fino al blocco dei conti delle diocesi, per poi proseguire con “squadroni della morte” che agiscono attorno alle chiese, arrestando e massacrando in modo indiscriminato numerosi sacerdoti (quasi 300 incarcerati) e attivisti cattolici.


In Nicaragua si è creato oramai un clima da “caccia all’uomo, anzi al sacerdote”, come se si fosse ricreata la situazione del Messico degli anni ‘30, sotto il Presidente Plutarco Elias Calles, in cui bastava aver un abito da prelato per esser arrestato; un periodo in cui la repressione della Chiesa fu tale che rimasero nel 1935 solo 334 sacerdoti in tutto il Messico (ben 17 stati messicani ne erano totalmente privi).


Il Nicaragua è l’esempio più eclatante del fatto che le persecuzioni dei cristiani non sono solo qualcosa da relegare alla storia dei primi secoli dopo cristo, se possiamo definire Ortega come un Nerone, certamente possiamo definire i nicaraguensi perseguitati come nuovi martiri delle fede, che allungano la lista di coloro che da Santo Stefano in poi hanno dato la vita per la giustizia e la libertà nella fede.


Si auspica che l’Unione Europea agisca sanzionando o quanto meno condannando pubblicamente è ufficialmente questa persecuzione moderna che ricorda tanto le repressioni degli imperatori romani.


Alessandro Borganti

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