di Gianluca Padovan (Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano)
«Considerato, adunque, tutte queste cose, io lauderò chi farà le fortezze e chi non le farà, e biasimerò chiunque, fidandosi delle fortezze, stimerà poco essere odiato da’ populi»
Niccolò Machiavelli, Il Principe, XX
Il “Sole Sforzesco” dell’ingegno:
Nell’algido, ma terso, pomeriggio del 26 febbraio 1450, il condottiero Francesco Sforza fa una capatina a Milano. Gli piace l’aria, fors’anche il castagnaccio, ma saranno innanzitutto il matrimonio con Bianca Maria Visconti, le sue milizie e la sua consumata abilità diplomatica, unita alle amicizie intrecciate negli anni a combattere sotto varie bandiere, a farlo tornare definitivamente il mese successivo. Detto e fatto, a fine marzo 1450 allunga i piedi sotto un bel tavolone tutto meneghino e comincia proprio a sentirsi a casa.
Nei mesi seguenti, tra una battaglia campale, un agguato e qualche lettera ben ponderata per fare capire chi ora comandi a Milano e nell’intero Ducato, Francesco Sforza fa restaurare e potenziare il Castrum Portae Jovis, ovvero il Castello di Porta Giovia, che ai nostri giorni è denominato affettuosamente “lo Sforzesco”.
Ciò che in questo contesto interessa è sapere che numerosi architetti e ingegneri militari concorsero ai lavori che poi resero il Castello una macchina bellica inespugnabile, ma uno soltanto, ovvero il Filarete, diede una svolta al futuro corso dell’Architettura Militare mondiale:
«Morto di peste il Giovanni da Milano, Francesco Sforza aveva chiamato da Cassano, dove lavorava alla difesa di quel borgo, Jacopo da Cortona, altro ingegnere che vedremo per molti anni occupato ai lavori del Castello di Porta Giovia; così pure, nel 1452, nella schiera degli architetti del Castello si presenta Magistro Antonio, da Fiorenza, il quale non è altri che il Maestro Antonio di Pietro Averulino, noto altresì col nome di Filarete» (Beltrami Luca, Il Castello di Milano, Milano 2002, p. 107).
Volete più informazioni? Bene, proprio l’impareggiabile libro di Luca Beltrami, Il Castello di Milano, pubblicato da Ulrico Hoepli nel 1894 (o la ristampa del 2002), saprà condurvi con precisione ed entusiasmo nelle vicende del “nostro” Castello medievale.
Intanto, per inciso dichiaro, non senza una punta di vergogna in quanto Italiano, che da circa vent’anni al Politecnico di Milano non si parla di Architettura Militare. Ma non stupiamoci: alzi la mano chi in una qualsiasi Accademia Militare d’Italia ha parlato - sempre in questi ultimi venti anni - per almeno due ore consecutive di Architettura Militare.
L’incredibile Sforzinda:
Ma chi è costui? Chi è questo Antonio Averlino, detto “il Filarete”? Se dovessi riportare presunte notizie, malelingue e “verità da detrattori” avrei già concluso lo spazio disponibile. Pertanto, come si suole dire: “bando alla ciance”.
Nella seconda metà del XV secolo “il Filarete” compila il Trattato di Architettura. Libri I-XIV, dedicandolo in prima stesura proprio a Francesco Sforza. Ma di che cosa “tratta”? Filarete stende il progetto per la città perfetta dal punto di vista urbanistico, architettonico e soprattutto difensivo, denominandola “Sforzinda”.
In questo trattato preconizza una cinta fortificata a pianta stellare formata dall’intersezione di due quadrati ruotati di 45°, racchiudente la città: «Le mura prima ottangulate saranno grosse braccia sei, e alte voglio che siano quattro volte quanto sono grosse. Le porte saranno negli angoli non retti; poi le strade si partiranno dalle porte e andranno tutte al centro» (Averlino Antonio, Trattato di architettura. Libri I-XIV, Finoli A.M., Grassi L. - a cura di -, Edizioni Il Polifilo, Milano 1984, II, 15, p. 63).
Parla anche del materiale da costruzione: «Le calcine che tu hai a far fare per lo provvedimento delle mura della nostra Sforzinda, per farle buone e vantaggiate secondo che ho veduto e provato, vogliono essere pietre di quelle de’ fiumi e massime di quelle del fiume d’Adda; ancora quella petrina del lago d’Angera è buona, ma è migliore in un luogo che in un altro, questa spezie di tevertino [travertino N.d.A.]» (Ibidem, III, 15-20, p. 65).
Concordemente, gli studi di Architettura Militare menzionano il Trattato di Architettura e, nello specifico, la fortezza a pianta stellare con otto punte o salienti, come il principio di quella che verrà denominata nel Mondo: “architettura fortificata all’italiana” e/o “architettura fortificata alla moderna”.
In tutto il XVI secolo l’ingegneria militare europea è di fatto sviluppata da personaggi famosi e quasi tutti italiani, tra i quali voglio ricordare Francesco di Giorgio Martini, Giuliano da Sangallo, Leonardo da Vinci, Niccolò Macchiavelli, Michelangelo Buonarroti, Antonio da Sangallo il Giovane, Giulio Savorgnano, Nicolò Tartaglia, Francesco de’ Marchi, Francesco Paciotto. Tra questi compare anche l’ingegno di Albrecht Dürer, per quanto le sue teorizzazioni possono essere state mutuate dagli studi di Leonardo da Vinci, come, ad esempio, proprio i suoi “rondelloni”.
I progetti italiani di fortificazioni a pianta stellare sono basati sull’applicazione di teorie matematiche, tenendo conto della gittata dei cannoni e della necessità di eliminare gli “angoli morti”, ovvero i punti dove i proiettili non arrivano. Ma uno dei sistemi portanti della difesa di una piazzaforte è anche l’impianto sotterraneo di contromina, su cui si potrebbero scrive interi tomi.
Il Sistema Italiano:
Amelio Fara, nello straordinario libro Il Sistema e la Città, così esordisce, senza mezzi termini, e lasciando probabilmente perplesso chiunque sia digiuno di materie belliche e, ovviamente, di Architettura Militare:
«Nello scontro che l’Europa, identificata con l’Occidente, da sempre intraprende con l’Oriente, l’architettura fortificata alla moderna trova una sua ragion d’essere. Gl’ingegneri sono sorretti, nell’escogitare fortificazioni, da istanze difensive nei confronti del Turco. Il pericolo d’una barbarie antimoderna prospettata a Oriente, vede il difensore occidentale disposto sui bastioni della Cristianità, dove i particolarismi per lo più si acquietano. La difesa sugli spalti dei bastioni è un atto sacro condotto contro un nemico comune, e in quei luoghi l’Occidente è ricondotto alla sua unità, per la libertà e contro l’arbitrio.
Lo scontro avviene anche sui mari, ma luoghi deputati sono quelli dove sorge una nuova architettura, dove avvengono sperimentazioni guerresche che presiedono a profonde innovazioni architettoniche. Le difese contro il Turco presuppongono nuove concezioni spaziali della città fortificata e una sua adeguata rappresentazione cartografica.
In vari Stati dell’Europa si diffonde, allora, un sapere specifico ed esclusivo, che perde la sua esclusività mano a mano che ne progredisce la diffusione. L’affinità che intercorre fra un italiano, un francese, un tedesco, un olandese, uno spagnolo è in parte dovuta alla cultura d’architettura fortificata che si trasmette in Europa, nella libera circolazione di un sapere che fa esportare la tecnica dell’architettura bastionata (ma non lo stile, che rimane pertinente all’individualità di ciascun ingegnere e architetto) persino nel Nuovo Mondo. Quella cultura ha fatto superare separazioni fra lingue diverse, per loro intima costituzione più o meno predisposte alla precisione, o al ragionamento filosofico.
L’architettura fortificata alla moderna si fonda sulla concezione difensiva occidentale della organizzazione dello spazio e della creazione di argini, e si contrappone alla concezione difensiva orientale della dilatazione e del vuoto o della strategia della terra bruciata. L’avanzata dei barbari orientali si ferma contro l’ordinamento razionale dell’architettura europea delle fortificazioni, mentre le avventurose progressioni occidentali verso Oriente s’inoltreranno nei grandi spazi che i difensori orientali tenderanno ad allargare ulteriormente» (Fara Amelio, Il sistema e la città. Architettura fortificata dell’Europa moderna dai trattati alle realizzazioni 1464 - 1794, Sagep Editrice, Genova 1989, p. 13).
Cultura e difesa del territorio, ovvero dello Stato:
Il sistema difensivo richiede al pari d’ogni arte la versatilità e l’innovazione, l’ingegno e l’adattabilità, nella consapevolezza che il fallimento del risultato non è un’architettura male riuscita, ma la sconfitta e la morte di chi la difende. Di per sé sono questi dei concetti ovvi, che si possono tranquillamente dare per acquisiti anche in un momento storico in cui si finge che la guerra non esista e i conflitti armati del passato siano semplicemente frutto di umani errori.
Non si pensa, inoltre, che il muro, a memoria d’essere umano, è sempre stato l’argine di pochi contro molti. Questo, fatta la debita eccezione traducibile anche in questi termini: tanti imbelli che si difendono contro pochi bellicosi, o anche pochi valorosi che si difendono contro la moltitudine apolide e coatta dilagante. Ma nella sostanza il concetto non muta. Giambattista Vico ci ricorderebbe che tutto torna, ogni aspetto del quotidiano tende a riproporsi seppure in mutate “sembianze”, ma questo che viviamo è un ciclo continuo o di ricorrenza di corsi e di ricorsi.
Machiavelli non si espone, ma non loda chi costruisce le fortificazioni per tenere in soggezione un popolo. Leonardo da Vinci così ammonisce, molto più praticamente: «Per mantener il dono principale di natura, cioè libertà, trovo modo da offendere e difendere, in stando assediati da li ambiziosi tiranni» (Leonardo da Vinci, Ms. B., f. 98 r).
Lorini, paradigmatico, ammonisce parlando dei “baluardi all’italiana” con i fianchi ritirati fatti a regola d’arte e almeno tre pezzi di artiglieria per ogni fianco, i quali possono radere la faccia della cortina bastionata affinché le fortezze risultino affidabili:
«Che la vera difesa sia il petto de gli huomini, questo lo concedo, sempre però che si combatta del pari, e che i difensori non possano mancare, si come non manca a chi offende. Ma se del pari sarà, che di fuori sieno cinquanta, o sessantamila, e più assai, massime essendo gente barbare, come sono li Turchi, & di dentro ve ne sia cinque, ò sei mila, sarà a proporzione buona la difesa del petto de’ difensori, & i fianchi fatti nelle ruine delle batterie» (Lorini Buonaiuto, Le fortificationi, ristampa -con aggiunta Libro VI-, Francesco Rampazzetto, Venezia 1609, p. 75).
“A petto ne tennero dieci volte tanti”:
In passato tanto inchiostro è stato impiegato per dissertare sulle opere bastionate in terra e in muratura e anche, semplicemente, sull’erezione di una “banale” palizzata. E nel XXI secolo si pensa – erroneamente – che i muri difensivi o dissuasivi siano un superato retaggio di un passato “violento”.
Oggi, adesso, la Finlandia ha eretto un muro di cemento armato lungo il confine con la Russia. Con malavoglia taluni ricordano che nel XX secolo è stata già attaccata e più volte [a “dispetto” di quanto si propala sul mefistofelico web], quasi fosse una colpa l’essersi sempre difesa strenuamente e con grande valore.
Il sistema fortificato d’innovativa concezione è italiano, come s’è già detto. Filarete sovrappone due identici quadrati ruotandone uno sull’altro: ecco una figura geometrica che contrappone, all’offesa portata dall’esterno, otto punte su cui l’onda dell’assalto s’infrange, e altrettanti angoli rientranti, dove occorre incunearsi in una sorta di “forca caudina” se s’intende forzare le porte d’accesso alla “Città Perfetta”.
Il resto sono dettagli, che accompagnano l’evoluzione e la decadenza del “Sistema” in attesa che il ciclo si concluda per dare luogo al successivo. Care Ragazze e cari Ragazzi, attenzione: chi ricorda e studia il passato progetta il futuro eliminando gli “angoli morti”.
Testo tratto da: Gianluca Padovan, Architettura Militare Dizionario Storico, SCAMP Editrice, Milano 2023.
Immagini tratte da: Gianluca Padovan, Architettura Militare Atlante Iconografico, SCAMP Editrice, Milano 2023.
DIDASCALIE:
1. Il “sole sforzesco” affrescato da Leonardo da Vinci nella famosa Sala delle Asse del Castello di Milano (foto G.P.).
2. La Sforzinda nel Trattato di architettura di Antonio Averlino, detto Filarete.
3. Fronte bastionato “all’italiana” o “alla moderna” nella seconda metà del XVI secolo (elaborazione da Zastrow de A., Histoire del la fortification, Paris 1866).
4. Catasto di Carlo VI (Teresiano) del 1722: dettaglio delle Fortezza Reale che racchiude il Castello visconteo-sforzesco. Si notino i sei baluardi eretti nella seconda metà del XVI secolo e altrettanti rivellini (o mezzelune) del secolo successivo.
5. Al di sotto dell’area dove sorgeva il Baluardo Don Pietro (a ovest nel Teresiano), facente parte della Fortezza Reale milanese, si è documentato un ramo di contromina (foto G.P.).
6. Pianta indicativa della Città di Palma la Nuova, oggi Palmanova. La costruzione della “città perfetta” per eccellenza ha inizio nell’ottobre del 1593 per volere della Serenissima Repubblica di Venezia. Più volte potenziata nel tempo, presenta le opere dei primi dell’Ottocento in colore rosso-mattone; in parte evidenziato in azzurro abbiamo invece l’impianto di contromina.
7. Pianta del perimetro fortificato a salienti della Sforzinda ottenuta dall’intersezione di due quadrati (Averlino Antonio, Trattato di architettura).
8. Padovan Gianluca, Architettura Militare Dizionario Storico, SCAMP Editrice, Milano 2023.
9. Padovan Gianluca, Architettura Militare Atlante Iconografico, SCAMP Editrice, Milano 2023.