«Noi siamo convinti ci sia spazio per una alternativa da destra a questa Unione Europea».
L’On. Carlo Fidanza, parlamentare europeo di FdI, ha chiacchierato con noi di Unione Europea, diritti, progressismo, giustizia e militanza.
Nella giornata di martedì 21 febbraio il Premier Meloni si è recato nella capitale ucraina dove ha incontrato il Presidente Zelensky e ha dichiarato: «l'Italia è con Kiev e non tentenneremo. Gli interessi ucraini coincidono con quelli dell’Europa», successivamente si è recato nei luoghi dell'eccidio di Bucha porgendo omaggio alle vittime.
Onorevole Fidanza, commentando la visita del Premier lei ha scritto: «Serve un'Europa gigante politico per evitare altre guerre fratricide e altri massacri nel cuore di questo continente.». Come si trasforma l’Unione in un gigante politico? Oggi ci troviamo cittadini di una realtà sovranazionale che, da un lato, fin troppo spesso sembra perdersi nelle opposizioni ideologiche al diritto nazionale degli stati membri, un esempio l’atteggiamento pre-guerra nei confronti della Polonia, e, dall’altro, affronta con celerità e clamore temi la cui importanza ci appare secondaria, l’esempio più recente è la farina di grillo. Come cambierebbe l’Unione se guidata dai Conservatori?
«Noi siamo convinti ci sia spazio per una alternativa da destra a questa Unione Europea. I fatti di questa epoca ci stanno dando ragione. Serve un’Europa forte e concentrata su alcune priorità strategiche, anziché impegnata a iper-regolamentare ogni aspetto della nostra esistenza. Energia, materie prime, produzioni strategiche, tecnologia, sicurezza e difesa, immigrazione… sono queste le materie dove una più forte e coordinata risposta europea non è più rinviabile. Il nuovo asse che vogliamo costruire, con i Conservatori a fare da perno tra i Popolari e il gruppo ID, può cambiare l’impostazione valoriale dell’Ue su alcuni temi. Famiglia e maternità contro il gender fluid, patriottismo ambientale contro ecologismo ideologico e anti-sviluppo, difesa dei confini e nuovi modelli di cooperazione non predatori contro l’immigrazione irregolare di massa. Sono tutti temi su cui dal 2024 potremo costruire un’Europa nuova e migliore.»
Rimanendo in Europa, il 16 febbraio il Congresso spagnolo ha approvato la cosiddetta “Ley Trans” che sdogana la pratica del cambio di sesso all’anagrafe per i giovani a partire dai 16 anni, mentre a partire dai 12in caso di disaccordo con i genitori sarà sufficiente ottenere il consenso attraverso un “mediatore giudiziario”, e, contestualmente, il Congresso ha stabilito che le ragazze tra i 16 e i 17 anni potranno abortire anche senza il consenso e che, invece, per le più giovani, in caso di mancato consenso dovrà intervenire un giudice.
Onorevole, le potrà sembrare strano ma temi come questi sono al centro del dibattito studentesco e universitario: non passa giorno senza che una sigla universitaria o un collettivo liceale ci ricordi la necessità di liberalizzare la transizione di genere, anche per i minori, o la necessità di difendere il diritto all’aborto dal governo Meloni.
Al di là delle implicazioni strettamente politiche, lei come risponderebbe ai coetanei che ci incalzano quotidianamente su questi temi?
«La banalizzazione dell’identità sessuale è un fattore molto negativo, perché ragazze e ragazzi in piena adolescenza non hanno la piena consapevolezza della propria percezione e delle conseguenze delle proprie scelte. Le leggi che in alcuni stati europei consentono il cambio di sesso a 14 o 15 anni, sulla scia di quanto avviene ormai da tempo negli Stati Uniti dove la propaganda trans ha ormai soppiantato le più soft teorie gender, sono un pericolo per la società e per questi ragazzi. Queste scelte - che ricordiamolo sono irreversibili - devono essere compiute in piena consapevolezza dai ragazzi, con il supporto dei genitori e delle strutture socio-assistenziali preposte. Allo stesso modo, banalizzare il dramma dell’aborto non aiuterà la condizione femminile. Fin dalla campagna elettorale siamo stati aggrediti strumentalmente da chi sosteneva che avremmo ristretto il diritto all’aborto in Italia nonostante i chiari impegni assunti. Non ci saranno passi indietro su questo mentre vogliamo fare grandi passi avanti nel sostegno alle giovani madri che prendono in considerazione l’aborto per mancanza di alternative. Spetta alle istituzioni dire loro con chiarezza che l’alternativa esiste e che lo Stato le sosterrà.»
Spostandoci ora in Italia, l’altro grande tema di rilevanza nazionale che anima in questi giorni il dibattito universitario, a tal punto da spingere i collettivi ad occupare tra le altre la Sapienza e la Statale di Milano, è la legittimità del regime detentivo speciale 41 bis in relazione allo sciopero della fame dal terrorista anarchico Alfredo Cospito, la cui permanenza in regime di carcere duro è stata recentemente riconfermata dalla Corte di Cassazione. La questione è senza dubbio spinosa, se alla richiesta di scarcerazione della sinistra giovanile si può pensare di rispondere semplicemente con la certezza del diritto e della pena, sono sorti interrogativi e discordanze anche tra i giovani della destra.
In particolare, On. Fidanza, ci si interroga da un lato sulla adeguatezza odierna di un regime speciale pensato per spezzare quella mafia e quel terrorismo che facevano della struttura gerarchica e della fitta rete di relazione il loro punto di forza e dall’altro sul dovere o meno dello Stato di agire per tutelare la salute dell’anarchico Cospito. Lei cosa ne pensa?
«Innanzitutto, per gli elementi che conosciamo, lo Stato sta facendo quanto dovuto per tutelare la salute di Cospito che purtroppo sembra aver scelto di lasciarsi morire, come forma di protesta estrema contro il carcere duro. Cospito è sottoposto a un regime di sorveglianza che prevede controllo e assistenza medica costanti, persino più serrati di quanto previsto per altri detenuti in condizioni cliniche simili, proprio perché non è interesse di nessuno trasformarlo in un martire. Detto questo, un regime severo di isolamento nei confronti di un detenuto per terrorismo che nel frattempo in carcere ha dimostrato di intrattenere rapporti costanti con boss mafiosi ed ex brigatisti non può certo essere considerata una forzatura. È in corso un attacco allo Stato da parte di alcune minoritarie cellule anarchiche, del quale beneficerebbero anche le mafie. Abbiamo il dovere di respingerlo con forza.»
In conclusione, dato che Il Presente è l’editoriale della federazione milanese di Gioventù Nazionale e che la sua storia politica inizia da giovanissimo nelle fila del Fronte della Gioventù, di cui ci piace proclamarci eredi, non possiamo esimerci dal chiederle cosa la spinse alla militanza, se c’è un ricordo particolare degli anni della militanza giovanile che la accompagna nell’impegno politico e istituzionale e, infine, se ritiene legittimo vedere nella vittoria elettorale di Fratelli d’Italia e nel governo del Premier Meloni il primo punto di arrivo dei suoi anni di militanza e dell’impegno costante di chi ci ha preceduto.
«Certamente sì, nella vittoria del 25 settembre e nella nascita del governo Meloni c’è il compimento di uno straordinario percorso di militanza e di impegno di una classe dirigente che, a partire dal nostro Premier e intorno a lei, ha saputo attraversare la stagione di passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, l’evoluzione della Destra di governo, il PdL e la scelta pionieristica di uscirne per fondare FdI rinunciando a poltrone e prebende e senza mai mollare quando i risultati non arridevano. Quanto a me, non sarei stato l’uomo che sono senza le giornate e le nottate di militanza, una palestra di vita prima che di politica. Oggi quel ragazzo di 15 anni è ancora il mio giudice più severo, ogni qual volta la politica di tutti i giorni mi pone di fronte a compromessi o scelte di campo. Continuo a fare politica con lo stesso entusiasmo e la stessa passione di quegli anni, che è quella che ha tenuto vivi tutti quelli della mia generazione e grazie a noi tutti gli altri anche quando pareva perduto. Quando vedo i nostri ragazzi e ragazze fare lo stesso mi auguro che possano vivere il loro impegno di militanza con lo stesso spirito.»
Matteo Respinti