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Difendere Taiwan, perché l'Ue non fa nulla?

Meno di 250, ma almeno 130, questi i chilometri fondamentali dello stretto che separa le due nazioni (la Repubblica Popolare Cinese e lo Stato Democratico di Taiwan) che, nell'eventualità in cui scendessero in guerra, porterebbero con se, per Thomas Friedman, la distruzione assicurata dell’economia globale. [1]



Se ormai ben conosciamo la scarsa razionalità cinese, la Repubblica si è già detta infatti pronta alla guerra nel caso Taipei dichiarasse l’indipendenza, poiché riconosce Taiwan come una minaccia alla sovranità e alla sopravvivenza del proprio Stato; [2] unita all’inesistente fiducia di Pechino nelle libertà individuali e nei diritti umani, come evidenziato da Eva Pils nei suoi libri [3-4] e come raccontato parlando di Hong Kong, non possiamo dire lo stesso dell’Europa, solo all’apparenza sicura della propria presa di posizione. Cosa intendo dire? Prima di tutto, una breve introduzione sulla nascita di Taiwan e sul governo attuale, per poi arrivare ai giorni nostri con il mio commento.


Se la nascita della Repubblica di Taiwan risale al 1949, quando il governo legittimo della Repubblica Cinese decise di rifugiarsi sull’isola, in seguito alla vittoria comunista della guerra civile, è solo negli anni '80, dopo anni di legge marziale, che, con la liberalizzazione del regime, con la possibilità di formare nuovi partiti e, conseguentemente, con le libere elezioni, nasce lo Stato come lo conosciamo oggi. [14]


Si tratta di una repubblica a democrazia rappresentativa, con due partiti politici principali: il Kuomintang, ossia il Partito Nazionalista Cinese che nel ’49 fuggì dalla Cina continentale, meglio noto come KMT, e il Democratic Progressive Party, vincitore delle ultime elezioni del 2024 con il 40% dei voti, seguito dal KMT con il 33.5%.

 

Tornando al punto dell’introduzione, ho raggiunto, per il nostro editoriale, Peter Stano, portavoce della Commissione Europea, domandando un chiarimento sulla posizione dell’UE in merito alle tensioni:

«The European Union closely follows cross-Strait developments and has consistently encouraged dialogue and constructive engagement. For instance, we raised these concerns with China during the last round of consultations on security and defence on 11 March. [5]

Peace and stability across the Taiwan Strait are key to regional and global security and prosperity. A significant part of international trade passes through the Taiwan Strait; instability risks major economic fallout, impacting not only the region but also the global economy.

The EU remains concerned about growing tensions in the Taiwan Strait. As stated in the European Council Conclusions of 30 June 2023, the EU opposes any unilateral attempt to change the status quo, by force or coercion.

We encourage a peaceful resolution of cross-strait issues. Tensions should be resolved through dialogue. Appropriate channels of communication should be maintained to reduce risks of miscalculation.

It is key to exercise restraint and avoid any actions that may further escalate cross-Strait tensions.»

«L'Unione Europea segue attentamente gli sviluppi nello Stretto di Taiwan e ha costantemente incoraggiato il dialogo e il coinvolgimento costruttivo. Ad esempio, abbiamo sollevato tali preoccupazioni con la Cina durante l'ultima serie di consultazioni sulla sicurezza e la difesa dell'11 marzo. [5]

La pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan sono fondamentali per la sicurezza e la prosperità regionali e globali. Una parte significativa del commercio internazionale passa attraverso lo Stretto di Taiwan; l'instabilità rischia di provocare gravi conseguenze economiche, influenzando non solo la regione ma anche l'economia globale.

L'UE rimane preoccupata per le crescenti tensioni nello Stretto di Taiwan. Come dichiarato nelle Conclusioni del Consiglio Europeo del 30 giugno 2023, l'UE si oppone a qualsiasi tentativo unilaterale di modificare lo status quo, con la forza o la coercizione.

Incoraggiamo una risoluzione pacifica delle questioni trans-stretto. Le tensioni dovrebbero essere risolte attraverso il dialogo. Dovrebbero essere mantenuti canali di comunicazione appropriati per ridurre i rischi di calcoli errati.

È fondamentale esercitare moderazione e evitare qualsiasi azione che possa ulteriormente escalare le tensioni nello Stretto di Taiwan.»

Nel resoconto delle ultime consultazioni annuali tra UE e Repubblica Popolare Cinese in merito a sicurezza e difesa si attesta una differenza di vedute su temi di varia natura ma continua a permanere l’assenza di una presa di posizione netta su Taiwan: «in spite of diverging views and different assessments on strategic and security issues, they both valued the candid exchanges that took place». [5]


Continua, infatti, il sostegno implicito dell’UE alla One China policy ossia, il principio secondo il quale solo una Cina sia realmente sovrana, la Repubblica Popolare Cinese, e che solo con lei si debbano rapporti formali; [6] non riconoscendo, quindi, Taiwan come Stato indipendente e intrattenendo con esso rapporti esclusivamente informali attraverso uffici di rappresentanza.

 

Le relazioni internazionali della Cina comunista sono piuttosto subdole: i troviamo in una situazione nella quale la Cina il Paese asiatico, da un lato, fornisce il 90% delle importazioni russe di micro-controllori, immagini satellitari e dati rilevati dai propri satelliti, dall’altro, cerca, allo stesso tempo, di intrattenere buone relazioni con l’Occidente, Unione Europea in particolare, a fini commerciali. Come mette in guardia la Nato, non dobbiamo correre il rischio, per alcun motivo, di diventare dipendenti dalla Cina, come ci è già capitato in passato con la Russia per l’olio e il gas. [11]

 

Ciò che è successo ieri con l’Ucraina potrebbe succedere domani con Taiwan, o persino nel Mar Cinese Meridionale. Sebbene già la Nato segua una posizione precisa, è fondamentale che anche l’Unione Europea adotti abbia una presa di posizione in sostegno di Taiwan, senza lasciare spazio di manovra alla Cina comunista nel nome degli interessi economici e della cooperazione e chiudendo un occhio, ma spesso anche due, davanti a situazioni critiche rispetto ai diritti umani.


Ad anticipare l’incontro, in Cina, del Segretario di Stato americano Blinken con Xi Jinping, riguardo il supporto della Repubblica all’esercito russo, Joe Biden decide di firmare un accordo di 8 miliardi per contrastare l’esercito e la difesa cinese, con altri miliardi dedicati alla difesa di Taiwan, ricevendo in risposta una, permettetemi di dire, frecciatina, nel non immischiarsi nelle politiche riguardanti la sicurezza, lo sviluppo ma soprattutto la sovranità; tutto ciò nonostante le uniche relazioni con Taiwan, sebbene non ufficiali, avvengono secondo il Taiwan Relations Act del 1979. [13]


Frecciatine, rispetto a potenziali sanzioni, che precedentemente sono state pensate da parte di Biden riguardo il comportamento aggressivo cinese nel Mar Meridionale verso equipaggi di altre nazioni vicine e per il sostegno alla Russia nel conflitto con l’Ucraina. Parafrasando la risposta del diplomatico cinese Wang Yi, considerare una relazione non ufficiale come un forte e crescente ostacolo alla cooperazione, sia un qualcosa di totalmente inaccettabile da parte di uno stato che, sebbene comunista, si consideri al passo dei tempi.

 

Inoltre, non è assolutamente concepibile lasciare agli Stati Uniti il compito di calmare da soli le tensioni regionali, basti vedere l’ultimo caso a seguito dell’ultimo summit tra Stati Uniti e Cina in tema di difesa: gli USA, durante il passaggio dei propri P-8A Poseidon, aerei di ricognizione e pattugliamento marittimo, nello spazio aereo internazionale, si vedono raggiungere dalla “risposta cinese” ossia dei caccia intercettori decollati in scramble per “monitorare il passaggio”. [10, 15]


Seguendo l’onda dei comportamenti coercitivi, e solo in alcuni casi ai limiti della stessa, troviamo la modifica unilaterale delle rotte aeree,[9] sebbene la linea mediana sia de facto la linea di confine prima di entrare nella ADIZ, la Air Defense Identification Zone, ossia lo spazio aereo all’interno del quale, ai fini della sicurezza nazionale, tutti gli aerei, come dice il nome stesso, devono identificarsi. Comportamenti coercitivi secondo il nostro punto di vista, (sebbene a livello politico, essendo Taiwan riconosciuta come parte della Cina comunista, solo al limite della coercizione) attraverso tattiche irregolari pur di, passatemi il termine, stancare, le difese di Taiwan. [16]

 

Nell'eventualità che gli Stati Uniti cessassero le esportazioni di armi verso Taiwan, cosa accadrebbe? Un calo nello sforzo difensivo congiunto condurrebbe alla riappacificazione delle tensioni nell’area? Difficile dirsi, ma, verosimilmente, la Cina comunista ne approfitterebbe per qualcosa di grosso e ne subiremmo tutti le conseguenze. Sarà forse una presa di posizione Europea, non solo a parole, ma anche attraverso i fatti, a calmare le ambizioni e i comportamenti al limite della coercizione messi in campo dalla Repubblica Popolare Cinese? Probabilmente no ma, in ogni caso, si tratterebbe di un passo nella giusta direzione.


Phipil Arena


1 T. Friedman, The Lexus and the Olive Tree: Understanding Globalization (New York: Farrar, Straus and Giroux, 1999).

2 J.J. Mearsheimer, S. Rosato, How States Think: The Rationality of Foreign Policy (Yale University Press, 2023).

3 E. Pils, Human Rights in China (Polity Books, 2018).

4 E. Pils, China’s Human Rights Lawyers (Routledge - Taylor and Francis, 2015.

14 J. Clements, Rebel Island: The Incredible History of Taiwan (Scribe, 2024).

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