Cosa direbbe nonno Agostino delle posizioni di Elly sulla separazione delle carriere?
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Elly Schlein e il suo partito ribadiscono fermamente la propria contrarietà rispetto alla “separazione delle carriere”, la posizione è ampiamente condivisa anche all'interno della magistratura stessa, come testimonia esplicitamente quanto accaduto al 36° congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati. In quell'occasione, il Governo è stato accusato di essere «insofferente verso l’attuale assetto istituzionale, soprattutto per quanto riguarda il riequilibrio tra poteri» e la riforma del Ministro Nordio è stata definita «l’anticamera della sottomissione dei PM al potere esecutivo».
Fatto curioso, nel mezzo dell’ultima convention di Più Europa, quando il leader Emma Bonino "convocò" Schlein nella speranza di una lista comune per sopravvivere alle elezioni europee, il Segretario del PD che, come noto, declinò poi la proposta, affermò, probabilmente nel tentativo di ingentilire il proprio rifiuto, di voler proseguire le battaglie che furono del nonno, il Senatore Agostino Viviani.
Nipote dalla memoria corta, Schlein deve sicuramente essersi dimenticata quali fossero queste battaglie del nonno, che lei intenderebbe portare avanti.
Agostino Viviani: il nonno di Elly Schlein era a favore della separazione delle carriere
Agostino Viviani (Siena, 1911 - Milano 2009), laureato in Giurisprudenza all'Università di Siena, si distinse fin da giovane per il suo antifascismo, aderendo al Partito d'Azione nel 1937 e alla Resistenza. Dopo la guerra, Viviani partecipò alla Consulta Nazionale e divenne un influente avvocato, impegnandosi nella difesa dei diritti dei lavoratori e dei mezzadri.
Eletto senatore nel 1972, nelle liste del PSI, si distinse per il suo impegno nelle riforme del diritto di famiglia, dell'ordinamento penitenziario e dei diritti civili. Fu presidente della Commissione Giustizia e membro della Commissione consultiva per la riforma del codice di procedura penale del Senato e fervente sostenitore della separazione delle carriere dei magistrati.
In particolare, il Senatore, lo ricordiamo, nonno di Elly Schlein, fu primo firmatario di un Ddl sulla responsabilità civile dei magistrati, frutto di riflessioni compiute durante la sua corposa esperienza forense, e ciò gli costò l’ira, l'odio e gli attacchi dell’Associazione Nazionale Magistrati. Dopo essersi dimesso dal PSI nel 1981, continuò a impegnarsi in temi giuridici e sociali.
Dal 1994 al 1998 fece parte del Consiglio Superiore della Magistratura, come membro laico in quota Forza Italia. In questo periodo l’aspro conflitto con l’Associazione magistrati si acuì, tanto che fu accusato di ledere l’indipendenza del “terzo potere”, relativamente alle sue ferme prese di posizione contro gli abusi dei Pubblici Ministeri e in favore della separazione delle funzioni giudicante e requirente.
Durante una intervista del 1996, ora rinvenibile nell’archivio di Radio Radicale, ritroviamo argomentazioni importanti per l’affermazione di un moderno Stato di diritto e speranze, per il futuro, che ricordano molto gli obbiettivi del Ministro Nordio, contro cui la nipote di Viviani oggi si scaglia:
«Nonostante la forza notevolissima della corporazione dei magistrati, io credo che si arriverà alla separazione; si arriverà magari attraverso un passaggio, ‘separazione delle funzioni’ ma tutti rimangono nell’Ordine giudiziario; o anche separazione più profonda; si arriverà a questo per una ragione semplicissima: perché gli abusi che stanno facendo alcuni Pubblici Ministeri che ormai si considerano intoccabili, sono tali, dunque, che non è possibile concepire che poi quel magistrato vada a fare il giudice».
Nordio, riforma della giustizia: separazione delle carriere è "madre di tutte le riforme"
Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha definito “la madre di tutti le Riforme” quella relativa alla separazione delle carriere dei magistrati e, soprattutto, concernente il rinnovamento del Csm e la creazione di un’Alta Corte disciplinare.
La riforma in questione si compone di 8 articoli, analizziamone i 4 fondamentali:
L’art.1 insiste sui poteri del Presidente della Repubblica (anche presidente del Consiglio Superiore della Magistratura), che gli permetteranno di presidiare sia il Csm dei “magistrati giudicanti” che quello dei “magistrati requirenti”.
L’art.2 interviene sull’art.102 c.1 C. («La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario».), prevedendo «distinte carriere dei magistrati requirenti e giudicanti».
L’art.3 modifica, invece, l’art 104 C: «[…] Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. […] I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. […]». Introducendo un sorteggio volto a temperare la composizione dei due Csm.
L’art.4 specifica i compiti dei Csm, lasciando invariate le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità, ma cedendo le competenze sulle decisioni disciplinari all’Alta Corte, che sarà formata da 15 giudici; tre nominati dal Presidente della Repubblica, 6 magistrati giudicanti, 3 magistrati requirenti e 3 estratti a sorte da un elenco precostituito dal Parlamento.
Il Guardasigilli Nordio si è pronunciato spiegando che tale riforma permetterà di arginare le negatività create dall’organo di autogoverno della magistratura che «non ha dato buona prova di sé e scandali come quelli di Palamara o di altri hanno eccitato le varie proteste», e per questo si rende necessario, mediante il sorteggio, recidere completamente il legame che ha portato a gravi anomalie.
La Dichiarazione di Bordeaux e il dibattito europeo sulla separazione delle carriere in magistratura
Ma se le convinzioni di Agostino Viviani e di Carlo Nordio non fossero sufficienti, per rimarcare l’importanza della distinta separazione delle carriere, ci rimettiamo all’autorevole Dichiarazione di Bordeaux: Giudici e magistrati del Pubblico Ministero in una società democratica.
Si tratta di un documento redatto, in seduta comune, dai Gruppi di lavoro del Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCJE) e dal Consiglio Consultivo dei Pubblici Ministeri Europei (CCPE), e poi adottata ufficialmente dal CCJE e dal CCPE, a Brdo (Slovenia), il 18 novembre 2009, al cui art.3 si afferma esplicitamente che:
«L’adeguato assolvimento dei ruoli distinti ma complementari dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero è una garanzia necessaria per una giustizia equa, imparziale ed efficace. I giudici ed i magistrati del pubblico ministero debbono essere entrambi indipendenti nell’esercizio delle loro funzioni, e debbono altresì essere ed apparire indipendenti gli uni nei confronti degli altri».
Fatte tutte queste considerazioni, asseriamo, riprendendo un pensiero di Giovanni Falcone, che ci troviamo difronte a all' ormai consolidata consapevolezza di dover regolamentare differentemente le due carriere, essendo ben diverse le funzioni, le attitudini e l’habitus mentale necessario. L'Italia deve abbandonare alle proprie spalle la paura irrazionale di sottomettere il Pubblico Ministero al Potere Esecutivo, che, lungi dal comportare un rischio concreto, non altro che una "confutazione ideologica" sventolata a fini politici.
A cura di Riccardo Sartoretto
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