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Elon Musk è un conservatore? E altre considerazioni su USA e tycoon

È il 14 giugno, Piazza del Duomo è gremita, dall’altare della basilica Mario Delpini, l’arcivescovo di Milano, celebra i funerali di Silvio Berlusconi: nomina l’imprenditore, il personaggio pubblico, il politico e, celebrando il «Mistero del compimento», scandalizza sinistri e liberali ricordando l’uomo. Quell’uomo che fu desiderio di vita e ora incontra Dio.

È il 15 giugno e, con gran sorpresa di giornalisti e opinione pubblica, alle 11.30, Elon Musk, che per ora possiamo limitarci a identificare come l’uomo più ricco del mondo e il proprietario di Tesla, raggiunge Palazzo Chigi per un colloquio di un’ora con Antonio Tajani, Vicepresidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e guida ad interim di Forza Italia. Alle 17:00 l’imprenditore riappare a Palazzo e incontra il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.


Alla domanda: «Silvio Berlusconi era un conservatore?», dobbiamo, senza dubbio, rispondere: «No»; eppure, come sappiamo bene, non per questo la sua figura perde di interesse e rilevanza per la storia della destra italiana. Così – raggiunta la conclusione sarà cristallino – bisogna rispondere anche per Musk, che pure in passato si è detto «metà democratico, metà repubblicano» e che oggi, però, combatte agguerritamente, quasi come lo fece Berlusconi in Italia, la battaglia culturale che negli Stati Uniti d’America vede contrapposti da un lato il mondo liberal e la sua progenie woke e dall’altro il movimento conservatore e uno sparuto gruppo di old fashioned liberals. Se, come tutti sappiamo, la destra conservatrice e militante, che pur è altra cosa, dichiara debiti profondi nei confronti del non-conservatore Berlusconi, sarà bene interrogarsi e analizzare la figura del non-conservatore Musk per capire quel che ha fatto e sta facendo per il conservatorismo statunitense.


Elon Musk nasce nel 1971 a Pretoria, capitale amministrativa della Repubblica del Sudafrica, e, dopo gli studi superiori, ottiene, grazie alla madre, la cittadinanza canadese conseguendo prima il baccellierato in economia e successivamente in fisica. Nel ’95, trasferitosi in California per iniziare il dottorato in fisica, abbandona gli studi e dà avvio alla fortunata carriera imprenditoriale che lo condurrà, con un patrimonio stimato di 192 miliardi di dollari, a essere l’uomo più ricco del mondo. In quell’anno, con il fratello Kimbal, fonda l’azienda di software web Zip2, nel ’99 la vende, ricavandone 22 milioni, e fonda X.com, destinata a diventare la nota Paypal.


Nel 2002, venduta Paypal per 1,5 miliardi di dollari e acquisita la cittadinanza statunitense, fonda Space X, non credo l’azienda necessiti presentazioni, in caso contrario basti sapere che al momento questa compagnia privata – lo sottolineo: privata – rifornisce la stazione spaziale internazionale per conto della Nasa e dichiara come mission imprenditoriale la creazione di infrastrutture, completamente riutilizzabili, per il trasporto interplanetario di massa. Senza berci il pitch fantascientifico per quello che a tutti gli effetti sembra essere la via di mezzo tra uno stargate e un cacciatorpediniere stellare, c’è da dire che l’azienda è già oggi in grado di spedire in orbita e organizzare tour spaziali per privati facoltosi e che si occupa “quotidianamente” di offrire un servizio da nulla come il lancio di satelliti.


Come se non bastasse, prima, nel 2004, a soli due anni dalla nascita della compagnia aerospaziale, Musk diviene azionista di maggioranza di Tesla e poi, dal 2008, assume la carica di amministratore delegato dell’azienda. A oggi Tesla è l’attività principale dell’imprenditore statunitense, l’azienda ha rivoluzionato il mercato automobilistico efficientando la produzione dei veicoli e popolarizzando l’auto-elettrica. La Tesla è passata velocemente dall’essere uno status simbol di ricchezza e volontà di innovazione, il primo modello commercializzato nel 2008 – alla modica cifra di 100.000 dollari – era la sportiva Tesla Roadster, all’essere un veicolo tranquillamente abbordabile per il consumatore medio che con la Model 3, l’ultimo prodotto venduto intorno ai 35.000 dollari, si assicura una vettura competitiva, efficiente e sostenibile.


Le avventure imprenditoriali di Musk non si concludono con Tesla, nel 2006 nasce SolarCity, azienda leader nei servizi legati al fotovoltaico, nel 2005 Open AI, no-profit dedita allo sviluppo di un’intelligenza artificiale sicura e opensource con l’idea di controbilanciare quelle private dedite all’utile e potenziali IA statali, nel 2016 prima Neuralink, che si è data l’obiettivo – dal sapore leggermente distopico – di sviluppare neurotecnologie per il collegamento tra cervello umano e IA, e poi The Boring Company che si propone la creazione di infrastrutture, tunnel sotterranei, per la riduzione del traffico.


Nonostante quello che questa lunga lista possa indurre a pensare, Elon non è il classico “uomo grigio” a cui il “capitalismo mainstream” ci ha abituato, Elon non è un Agnelli, un Benetton, un Bezos, uno Zuckerberg e neppure uno Zio Paperone che si gongola nel caveau. Al fatto che il suo contributo reale, da ingegnere e manager, ai progetti di cui è proprietario sia risaputo e trasparente e ai chiari fini pubblici della sua iniziativa privata, bisogna aggiungere tutta una serie di piccole azioni che gli hanno assicurato, oltre al patrimonio, un posto di rilievo nell’immaginario di tanti cittadini americani e di tante persone sparse per il globo.


Per citare solo tre di queste “imprese” inusuali per un imprenditore del suo calibro, accenniamo velocemente a quella volta in cui, era il 2017, con la sua The Boring Company, commercializzò e vendette al suo pubblico 20.000 unità di “non-lanciafiamme”, letteralmente not-a-flamethrower, dei lanciafiamme a tutti gli effetti che per portata, capienza e assemblaggio non erano considerati tali dalle leggi statunitensi e europee. A quando, nel 2018, fu ospite per la prima volta al Joe Rogan Expirience, il podcast americano generalista dagli 11 milioni di ascoltatori e dal valore di 200.000 dollari, dove discusse i temi più disparati, dalla fede al futuro delle IA, e durante il quale, invitato dal conduttore, fu ripreso fumare un misto – si dice – di tabacco e marijuana. E, infine, a quando, è successo spesso, con qualche tweet influenzò drasticamente l’andamento di una criptovaluta, e già questo lo aliena del resto dei suoi peer generalmente scettici rispetto a questi asset, il Dogecoin, tecnicamente uno shitcoin, una cripto inutile priva di un servizio o di un progetto che ne sostenga il valore.


Lo so, è disorientante. L’uomo più ricco del mondo, la moltitudine di aziende, il “non-lanciafiamme”, il podcast, la marijuana, la non-speculazione con il Dogecoin e io che nel titolo parlo di conservatorismo e fin dai primi paragrafi alludo a un parallelismo con quel mostro sacro di Silvio Berlusconi. Ma, fidatevi, le ragioni ci sono, ormai non susciterà più neanche stupore, Elon Musk è ancora qualcosa di più rispetto a quel che vi ho raccontato finora.


Come Donald Trump, il magnate che – figura personalmente disgustosa – passò dal sostenere e votare democratico a essere, da repubblicano, il 45° presidente degli Stati Uniti e – consigliato dalle migliori figure del movimento – probabilmente addirittura il più conservatore tra i presidenti, così anche Musk ha una storia politica che inizia a sinistra e finisce con il virare a destra. Nel 2016 sostenne la terribile Hillary Clinton alle presidenziali contro il già nominato magnate newyorkese, nel 2020, alle primarie del Partito Democratico, diede il suo appoggio a Andrew Jang, il liberal possibilmente più serio in quella marmaglia di socialisti – sic – e progressisti d’assalto, e alle presidenziali del 2020 espresse pubblicamente l’intenzione di votare Joe Biden.


Poi però, dal novembre del 2021, ecco il cambiamento, un cambiamento che qualcuno potrebbe dire addirittura radicale. Il primo, piccolo, segnale – in nuce già diceva tutto –, che al conservatore europeo – o «prussiano» – non passò certo inosservato, fu un tweet di poche parole: «Almost finished Jünger’s Storm of Steel. Intense. Great book.»; il magnate libertarian statunitense aveva incontrato l’Anarca prussiano de Il trattato del Ribelle, il conservatore del «Passare al Bosco», il patriota che – lo ricordano in pochi – attentò alla vita di Hitler per amore del Reich. Sono incontri che segnano, e così infatti è stato anche per Musk.


Dicevamo, nel 2020 dichiara pubblicamente l’intenzione di votare Joe Biden. La performance di Sleepy Joe, così lo irridono gli avversari, è pietosa, dal disastroso ritiro in Afghanistan, pianificato si dall’amministrazione Trump ma incoscientemente velocizzato da quella Biden, alla gestione Covid, non certo migliore di quella Trump, giocata sulla menzogna e sull’autoritarismo del Governo centrale contro le amministrazioni statali, durante la quale – bisogna ammetterlo – anche il nostro Musk si è lasciato andare a considerazioni poco scientifiche, lo ha spinto nel 2022 a invitare gli “indipendenti” a votare repubblicano alle elezioni di medio termine. Definiti i democratici «il partito della divisione e dell’odio», sostiene ora il conservatore – lui lo è per davvero – Ron DeSantis che sfida oggi un Trump ormai soltanto l’ombra degli anni di amministrazione e che rischia da un lato di riconsegnare il paese a Biden, o più verosimilmente a un suo sostituto woke, e dall’altro, nell’ipotesi fantascientifica in cui riesca a vincere sia le primarie che le presidenziali, di macchiare indelebilmente il nome di repubblicani e conservatori.


Oltre gli endorsement politici, il vero contributo di Musk è sul fronte culturale che i conservatori statunitensi stanno combattendo. Sono opinionisti meno noti al pubblico, anche di destra, italiano come Ben Shapiro, Andrew Klavan, Michael Knowels, Matt Walsh, contro-influencer come Brett Cooper e Candace Owens e uno studioso come Jordan Peterson, riuniti attorno al progetto editoriale The Daily Wire di Jeremy Boreing, a fare – certo, con delle differenze di opinione anche rilevanti – quella che noi qui chiamiamo «militanza culturale».

E Musk, che certo potrebbe fregarsene e pure sentirsi a posto con la propria coscienza dato quanto già fa per il progresso complessivo dell’umanità, ha scelto di esporsi e difenderli. Rimangono differenze significative, lo abbiamo svelato poco fa, Musk è sostanzialmente un libertarian quindi, inevitabilmente, su tante cose risulterà più progressista dei conservatori statunitensi, figuratevi rispetto a noi europei, ma la sua recente scalata alla proprietà di Twitter, certo mascherata dietro la sua innegabile eccentricità, certo condotta sotto l’universale liberale del «free speech», è stata un assist colossale nella culture war.

L’esempio più recente di tutto questo è stato il tentativo di pubblicazione gratuita su Twitter, a un anno dalla commercializzazione sotto abbonamento, del documentario What is a Woman? del conduttore e opinionista, cattolico tradizionale e conservatore, Matt Walsh. Il documentario, così descritto sul sito dell’editore The Daily Wire: un «viaggio spesso comico, ma profondamente inquietante» che «senza paura mette in discussione la logica alla base dell’ideologia di genere che ha preso di mira donne e bambini.», già record di visioni sotto abbonamento, e a cui il sito di critica cinematografica Rottentomatoes aveva attribuito una percentuale di gradimento dell’86%, era stato censurato da Twitter per misgendering, l’atto di rivolgersi o presentare qualcuno con un genere diverso da quello percepito. Musk, che tutt’ora deve vedersela con l’insubordinazione di dipendenti e dirigenti woke dell’azienda appena acquisita, era intervenuto personalmente rimuovendo la censura e condividendo il documentario.


Aggiungendo poi il commento: «Every parent should watch this». Un commento più che significativo se si aggiunge un dettaglio doloroso, Xavier, uno dei figli che Musk ha avuto insieme alla prima moglie Justin Wilson, diciannovenne, ha adottato un’identità femminile, il nome Vivian Jenna, il cognome della madre e ha tagliato ogni rapporto con il padre.


In Italia, il 15 giugno, molto probabilmente Musk è venuto per sondare la possibilità di costruire una gigafactory, un impianto di produzione Tesla, su modello del primo realizzato in Europa, quello in Germania, e di quelli già all’attivo a Shangai, Austin, Freemont e in Nevada. Se succederà, probabilmente, qualcuno approfondirà la notizia anche qui su Il Presente, ma, credo lo abbiate capito, non è questo che ci interessa ai fini dell’articolo che si avvia alla conclusione. Molto più interessante, sul piano politico e culturale, quello che Musk ha dichiarato ai microfoni dei telegiornali incalzato sull’Unione Europea: in pieno stile reganomics, un ottimo compromesso tra conservatorismo e libertarianism, ha messo in guardia le istituzioni e i cittadini dall’eccessiva regolamentazione che la liberalissima UE ha articolato negli anni, suggerendo sardonicamente l’istituzione di una commissione per la de-regolamentazione.


Quando nella nostra area politica non siamo vinti dal pregiudizio anticapitalista, che pur può trovare ragioni e argomentazioni solide, suggerisco di interrogarci un po’ sul perché gli “uomini grigi”, i capitalisti liberal alla Bezos e Zuckerberg sono sempre i primi a rilanciare le follie dei socialisti – sic – e degli woke, alla Sanders o Ocasio-Cortez, in tema economico, la regolamentazione eccessive di cui si parlava, che troppo spesso anche alcuni di noi finiscono per supportare temendo l’onta di esser detti liberisti; mentre i Trump, i Berlusconi e i Musk, che pure sono tre figure molto diverse, che pure – tutt’e tre – hanno i loro lati scuri, quelli insomma che il loro ormai lo hanno fatto e che poco hanno da perdere, ci indicano la via della deregolamentazione e della libertà di impresa. Chissà che – la butto lì prima di una piccola riflessione conclusiva – questo capitalismo grigio e ostile, che ci fregiamo di combattere e che le istituzioni europee – liberali – ci ricordano così tanto, non viva proprio della regolamentazione e della tassazione che gli sbaragliano la concorrenza assicurandogli l’utile?


Di Elon Musk un po’ ho parlato, forse un po’ poco, avrei potuto raccontare qualcos’altro, per esempio della sua attenzione alla decrescita della popolazione italiana e mondiale, ma – a questo punto sarà chiaro – la sua faccia e il suo nome erano un po’ una scusa per riflettere e raccontare qualcos’altro.


Un po’ come in questo articolo Musk era una “scusa” per qualcos’altro, così lui stesso, i Trump e i Berlusconi, pur protagonisti indiscussi delle proprie vite di successo, difficilmente sono protagonisti dell’azione conservatrice. Non sono lucidi teoreti o eroi che con il loro sacrificio ci donano consapevolezza e forza per il futuro, sono piuttosto strumenti, strumenti però indispensabili di cui la destra si è servita troppo poco; il loro valore è inestimabile perché con una morale diversa dalla nostra, e qualche volta anche senza, perché venendo da un mondo completamente diverso dal nostro, ci offrono coaguli per raccontare di quell’Ordine che conserviamo.


Se è molto probabile che sarà così per il progresso tecnico e per il "benessere" dell’umanità, senza dubbio la «Rivoluzione delle anime» non sarà opera dei Trump, dei Berlusconi o dei Musk; ma a loro, e agli uomini che come loro verranno in futuro, dovremo riconoscere di essere stati dei grandi alleati e di essersi sobbarcati, in una posizione di sicurezza, privilegio e ricchezza, il peso di «scendere in campo» e difendere e legittimare l’azione dei conservatori.


Matteo Respinti

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