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Epitaffio, un punto di vista dal passato: la storia di Ada Ranzini e il Disastro della Bovisa

Scaglie di vita quotidiana tra le nebbie di una Milano che non esiste più

Galeotta fu l’Antologia di Spoon River, e il fascino discreto di certi cimiteri che riescono a racchiudere in sé quella pietosa follia di amore per la vita tanto cara a Foscolo nei suoi Sepolcri. Probabilmente questa mia philia per cimiteri e storie d’altri altro non è che un riflesso condizionato di un lento ma affascinante viaggio alla scoperta di me stesso. Un viaggio, che vorrei condividere con voi, tra lapidi di personaggi più o meno noti che a modo loro hanno contribuito, con piccoli e grandi gesti, a cambiare il volto di Milano.


Cimitero Monumentale la storia di Ada Ranzini e il disastro della Bovisa:


La storia che vi racconterò ha qualcosa che va ben oltre lo spazio e il tempo in cui si è consumata, una storia che, per i suoi aspetti drammatici, potrebbe avere luogo ai giorni nostri. Morire per lavoro, si sa, è mestiere antico come il dolore di chi rimane e che tramite una tomba dona futura memoria alla persona scomparsa.


La lapide della cara Ada trafigge lo sguardo del passante, complice un viso ipnotico che la ritrae: capelli lunghissimi, una collana con pendente, due rose ad ornare i capelli, vezzi innocenti da ragazza che la moda del momento dettava.


Ma se l’immagine colpisce, è la parola che traccia un solco nella quiete silenziosa del monumentale.


Il suo epitaffio:

«PIÙ VIVO DELLA FIAMMA CHE ARSE IL MIO CORPO È INTORNO A VOI DILETTI IL MIO SPIRITO CUSTODE PREGANDO RASSEGNAZIONE»

Il 10 novembre 1916 per Ada dovrebbe essere un giorno come altri, la ragazza è nel pieno della sua giovinezza, ha diciotto anni, fidanzata e, complice la Guerra, è una donna che lavora. È infatti impiegata presso la sede milanese dell’americana Boston Bleaching Company, ora conosciuta come Bostik, fabbrica specializzata in colla per le calzature.


Lo stabilimento è posizionato su di una vasta area accanto ai binari delle Ferrovie Nord alla Stazione del quartiere della Bovisa, un quartiere periferico assai lontano dal centro e che agli inizi del Novecento vede cambiare gradualmente il suo volto di borgo rurale a causa di una crescita esponenziale di insediamenti e siti industriali. La “Goccia”, come viene anche chiamata per la sua conformazione fisica, verrà scelta poi come sede di grandi aziende quali Breda e Pirelli, vedrà quindi una alta concentrazione della moderna industria chimica divenendo sede di aziende come la Carlo Erba e la Montecatini, che diventerà poi Montedison.


La Boston si presenta come una bassa palazzina che al suo interno ospita la portineria, gli uffici amministrativi e i locali di servizio, troviamo poi un cortile che porta ai capannoni, dove si trovano i macchinari che lavorano a fiamma viva. Le scorte di benzene necessarie ai meccanismi della fabbrica vengono immagazzinate in due serbatoi metallici interrati, che si sviluppano nelle cantine sotto la palazzina e in quasi tutto il cortile.


La mattina del 10 novembre 1916 è una delle tante tranquille mattine che vive il quartiere: in portineria la signora Margherita Mammoli prepara il pranzo con la figlia Maddalena di 12 anni, gli operai sono al lavoro nei laboratori sotto la gestione del capo reparto Angelo Radice. Negli uffici lavorano il Direttore statunitense Mr. A.E. Hopkins, il cassiere Edoardo Torregiani e le tre impiegate: Ada Ranzini, Adele Cambieri e la neoassunta Giulia Slatter, che ha iniziato a lavorare da soli due giorni.


Alle 10 iniziano le operazioni di svaso da un vagone cisterna requisito all’Impero Austro-Ungarico ad inizio ostilità. Il vagone è lì dalla sera precedente, è arrivato da Savona e contiene 15.000 litri di benzene-xilolo che ora scorrono verso le cisterne sotterranee della Boston Blaching. Lo svaso è seguito con curiosità dal figlio della portinaia, la signora Margherita, il piccolo ha 9 anni e non può far altro che osservare i tubi in caucciù che passano dal cortile, al momento della tragedia si salverà scappando.


Per evitare perdite e ridurre il rischio di un incendio, sono state messe delle bacinelle sotto la cisterna, così da raccogliere il Benzene o Xilolo che inevitabilmente filtra. Tutto sembra proseguire normalmente fino alle 11.30, quando i serbatoi sotto le cantine esplodono.


Chi si trova nella palazzina viene coinvolto nella violenta deflagrazione, il benzene prende fuoco, tutto brucia.


Angelo Radice evita che la tragedia assuma proporzioni maggiori: si precipita eroicamente nel sotterraneo a chiudere le valvole del secondo serbatoio, isolandolo, rimarrà seriamente ferito. Una quarta impiegata si salverà perché al momento dello scoppio, per pura fortuna, si trovava nei bagni esterni dell’azienda.


Gli sforzi dei soccorritori tra cui le ferrovieri delle Ferrovie Nord, i soldati della Caserma Villata e infine i pompieri sono purtroppo inutili. Spento l’incendio i pompieri recuperano solo i dispersi, Hopkins verrà riconosciuto grazie a un anello, Torregiani dalle chiavi della cassaforte appese alla cintura. Il terzo corpo a essere recuperato è quello di Ada Ranzini.


Nella tragedia moriranno tutti coloro che erano nella palazzina, i cadaveri delle vittime sono trasportati al Cimitero Monumentale dove, tuttora, è visibile la sola tomba di Ada Ranzini.


Riccardo Mariani

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