Ogni anno si ripresenta, diversa nella forma ma immutata nella sostanza, la polemica sul Natale.
È una festa cristiana, non è abbastanza inclusiva. Non si adatta al nuovo mondo multietnico e multiculturale.
Molto meglio celebrare una qualsiasi Festa d’Inverno, o dell’Uguaglianza Etnica.
La decisione dell’Istituto Universitario Europeo di Fiesole non rappresenta nulla di nuovo, nulla che non abbiamo già visto o sentito.
Anche l’indignazione a seguire è cosa nota, un film già visto a cui con l’andare del tempo diverremo insensibili.
Eppure, la questione è drammatica, e non si risolve postando sui propri profili social frasi come «Viva il Santo Natale», non si risolve additando l’Unione Europea come un novello Grinch, che odiando il Natale vorrebbe cancellarlo.
C’è, di fondo, un enorme problema culturale.
Da una parte, ci sono coloro che ritengono necessario spogliarsi di ogni indumento che ci definisce europei, occidentali, italiani, ripulirsi di ogni cosa che possa essere indice di quello che siamo stati, della storia della terra di cui siamo figli. Rinnegare secoli di storia nostra per poter accogliere la storia di qualcun altro, rinnegare il mondo a cui apparteniamo.
Coloro che vorrebbero cancellare con un colpo di spugna i colori e le forme di questo mondo, eradicare i suoi abitanti, e con essi le manifestazioni intellettuali che hanno prodotto, siano pensieri o opere artistiche, non sono che l’ennesima prova che siamo un continente destinato alla fine.
Così l’Europa, di fatti, diverrebbe, e in parte già sta diventando, terra di nessuno.
Terra di nessuno, senza tradizioni, senza storia, senza consapevolezza dei propri valori.
Mi chiedo come le istituzioni europee ancora possano avere l’ardire di ambire, anche solo a parole, ad essere un punto di riferimento e guida per altri paesi. Mi chiedo come si possano pensare di poter ancora giocare un ruolo importante in ambito economico e geopolitico, forse un po’ per ingenuità e un po’ per arroganza, certamente per miopia.
Farebbe quasi sorridere, se non fosse, per noi, una situazione drammatica.
Dall’altra, ci sono coloro (a cui certamente mi sento più vicina) che levano gli scudi per difendere le tradizioni ma che non comprendono che non basta scrivere post indignati su Facebook o Instagram, che non basta ribadire in prima serata in televisione l’importanza del Natale, delle radici cristiane dell’Europa. Senza rendersi conto che stanno tentando di svuotare il mare con un cucchiaino.
Nessuno degli appartenenti alle due categorie si rende conto di quello che è il vero dramma, il vero vulnus che colpisce il cuore d’Europa.
Il problema che fa sì che ogni anno si ritorni a discutere se sia opportuno o meno cambiare nome al Natale è che in fondo alla maggior parte degli europei la questione non interessa poi così tanto.
Alla maggior parte di noi cambierebbe probabilmente ben poco se da un giorno all’altro il 25 di dicembre diventasse la Festa d’Inverno.
Certo, provocherebbe un fastidio iniziale dovuto a cambiare quella che è un’abitudine consolidata, il fastidio che si prova quando qualcosa che rappresentava per noi una sicurezza, un punto di riferimento viene mutato di posto.
Poi, col tempo, ci abitueremmo anche a questo. In fondo, non ci costerebbe nulla.
Che cos’è per noi il Natale? Possiamo ancora dire che per noi europei il Natale è la nascita di Cristo, l’incarnazione del Verbo, la venuta del Salvatore?
Non credo.
Possiamo dire forse che è la festa in cui le famiglie si riuniscono, si scambiano i regali, la festa dei buoni sentimenti, forse. È l’unica cosa che ci resta del Natale, e tra qualche anno, data la crisi che il concetto stesso di famiglia sta affrontando in Occidente, non sarà nemmeno questo.
Ecco la vera tragedia.
Perché nel momento in cui nulla ha importanza, si può fare a meno di tutto, e allora non resta niente da salvare, niente da difendere.
Ogni volta che sentiamo di vicende come quella di Fiesole, ogni volta che in nome dell’inclusività ci viene chiesto di rinunciare a qualcosa che ci definisce, che fa parte di noi, e ci viene domandato che cosa ci costa, noi dobbiamo chiedercelo realmente e forse scopriremo che il prezzo è solo quello che corrisponde al cambiamento di un’abitudine, nulla più.
L’indifferenza verso ciò che siamo e siamo stati, di cui Istituto Universitario Europeo non è che la più recente manifestazione, è indice di una mancanza di sensibilità spirituale che colpisce il mondo occidentale. Un vuoto di valori che viene scambiato per libertà, ed è proprio questo che ci rende terra di nessuno.
E arriverà qualcuno che nel vuoto vedrà un’occasione di rivalsa, che vorrà conquistare questa terra di nessuno, imporre le proprie leggi, le proprie tradizioni, la propria cultura e anche il proprio credo.
Da terra di nessuno, diventeremo terra di conquista e infine terra d’altri, di qualcuno che non ritiene giusto annullare se stesso in nome dell’uguaglianza.
Non si creda che sia un problema di chi ha fede, dei cristiani, l’ombra che si stende sull’Occidente riguarderà tutti, e ciascuno di noi ci farà i conti.
Sta arrivando qualcuno che non ha paura di occupare gli spazi lasciati vuoti.
Oggi salvare l’unico modo per salvare il Natale non è gridare contro la perfida Unione Europea, ma riscoprire le radici cristiane della nostra cultura, studiarle e conoscerle cercando di renderle cosa viva. Tornare a considerare i bisogni dello spirito quanto quelli della materia.
Le civiltà muoiono per noia, non per altro. Da un giorno all’altro sono troppo stanche per difendersi, da troppo tempo inerti per reagire.
Si lasciano scivolare in avanti, si trascinano in un moto perpetuo fino a che non emerge qualcuno di più forte che con un rapido gesto di mano, come quello che si fa per scacciare un moscerino, le arresta.