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Eutanasia in Lombardia? Intervista a Matteo Forte

Come abbiamo scritto, lo scorso martedì 16, il Consiglio regionale del Veneto ha bocciato, 25 a 25, la proposta di legge sull’Eutanasia presentata dall’Associazione Luca Coscioni, Cappato in testa, e ampiamente promossa dal Presidente Zaia. La proposta di legge presentata e discussa in Veneto non è un unicum, si inserisce infatti nel quadro della campagna «Regione per Regione» della già citata associazione.



Martedì 18 la pdl, sostenuta da 8181 firme, è giunta anche in Regione Lombardia che quel giorno ha ospitato, così come altre 9 regioni italiane, il convegno The care day. Libertà e dignità della cura, organizzato dal network Ditelo sui tetti, che ha promosso il diritto a non soffrire come alternativa al suicidio assistito.


Organizzato in collaborazione con l’associazione LabOra e con il Centro Studi Livatino, il convengo ha visto tra i relatori il Consigliere regionale di Fratelli d’Italia Matteo Forte che abbiamo raggiunto per alcune domande e di cui in conclusione riproponiamo parte dell’intervento.



Consigliere, in Veneto il fronte della vita ha vinto, seppur di misura, grazie al coraggio di una sua omologa del PD, il Consigliere Anna Maria Bigon, mentre Luca Zaia, esponente di spicco della Lega, partito che esprime anche il Presidente di Regione Lombardia, si trovava dall’atro lato dello schieramento. Questa battaglia sembra rimescolare gli schieramenti, dobbiamo aspettarci sorprese in Lombardia? Se fosse un elettore o un eletto veneto, si sentirebbe tradito dalla scelta della massima carica regionale?


«La secolarizzazione a metà del Novecento e la desocializzazione a cavallo tra XX e XXI secolo sono fenomeni che riguardano le società occidentali nella loro interezza; è dunque normale che sui cosiddetti temi sensibili ci siano battaglie trasversali e che, per ragioni anche di presunto consenso (tutto da dimostrare in realtà), in ogni schieramento qualcuno voglia farsi interprete e portavoce di istanze - diciamo così - più relativistiche.


Tuttavia la posizione ufficiale dei partiti di centrodestra rimane molto chiara: sì alla difesa della vita, dal concepimento fino alla morte naturale. E questo la gran parte dei nostri elettori lo sa bene e penso che la chiarezza da parte nostra su una certa concezione di uomo e famiglia sia ancora uno dei motivi per cui il centrodestra rimane maggioritario nel Paese».


Nelle prime ore dal voto in Veneto, le agenzie hanno variamente caratterizzato il Consigliere Bigon come «cattolica», quasi a voler da un lato rendere così ragione di questa scelta controcorrente e dall’altro sminuirla immediatamente in quando fideistica e non politica.


Nessuno ha più dato seguito a questa descrizione, Bigon non ha confermato o smentito l’informazione “l’imitandosi” a denunciare l’insufficienza della regione rispetto alle cure palliative. A lei chiedo, che Bigon lo sia o meno, i cattolici hanno diritto a intervenire nel dibattito? Si può davvero pensare di mettere qualcuno alla porta perché cattolico? Il vero fideismo non è quello di chi parla aprioristicamente di «battaglia di civiltà» e rifiuta le altre strade?


«Premetto che non credo che quella contro l’eutanasia sia una battaglia “dei” cattolici. Ci sono tanti laici, anche scienziati, come il professor Angelo Vescovi, che da sempre sono su posizioni ragionevoli per quel che riguarda la vita umana: da medico e da ricercatore egli ha sempre affermato che di fronte al dubbio (se per esempio un embrione sia da considerarsi già una persona o materiale biologico da usare e consumare) deve sempre prevalere un atteggiamento di favor vitae. Questo proprio perché la fede è un qualcosa che illumina ciò che la ragione - quando non offuscata da ideologie antiumane - può riconoscere da sé. Del resto, la lex naturalis era un qualcosa a cui si rifacevano già gli antichi romani pagani.


Non c’è dunque bisogno di essere cattolici per ritenere che un anziano o un malato grave non siano scarti. Basterebbe l’uso della retta ragione, o la iudex ratio come la chiama Agostino. È indubbio, però, che il contributo che oggi i cattolici possono dare a purificare la ragione pubblica dal relativismo e dalle ideologie mortifere risulta decisivo. E da questo punto di vista non devono esistere schieramenti. Da qui il plauso anche alla Bigon.»


Nel suo intervento afferma qualcosa che, paradossalmente, appare rivoluzionario: il fatto che una regione non legiferi è una scelta libera e legittima compiuta in forza del mandato elettorale. Nessuno, ancora, aveva risposto così a Marco Cappato che, attivista molto abile, si destreggia tra i cavilli della legge portando avanti le sue battaglie tra le pieghe, e le piaghe, del diritto.


Se non ho capito male, con le sue parole lei afferma che i politici e le istituzioni hanno il dovere morale di fare ciò che in coscienza ritengono giusto e che, legittimati dal mandato elettorale, nei limiti della ragionevolezza, hanno il dovere di resistere anche difronte ai tentativi esterni di coercizione. Conferma?


«In realtà io non ne faccio un discorso di coscienza, anche se poi nel momento del voto, almeno in queste materie, debba prevalere quella. Quello che voglio dire è che le battaglie dell’Associazione Luca Coscioni mettono in discussione qualcos’altro. Credo che mettano in discussione proprio quel che dicono di voler affermare, cioè la democrazia liberale con il suo sistema di garanzie per l’individuo.


Quando, per esempio, si sfida la normativa esistente accompagnando malati a suicidarsi in Svizzera, per poi autodenunciarsi e puntare sulla forzatura interpretativa di certe toghe, al fine di introdurre i cosiddetti nuovi diritti saltando a piè pari il dibattito parlamentare e il voto democratico, credo proprio che si stia minando la democrazia liberale.


La giudiziarizzazione delle decisioni che spettano invece al legislatore, portata avanti da chi tra l’altro può permettersi economicamente e mediaticamente di sostenere processi che poi arrivano fino alla Corte costituzionale, mina l’uguaglianza dei cittadini che partecipano alle elezioni per scegliere chi deve dare l’indirizzo politico alla Nazione. Ed è qui che dico: anche lo scegliere di non legiferare in tema di fine vita non è “inerzia”, ma una scelta politica che solo il corpo elettorale può sanzionare o legittimare.


Per questo dico che in gioco, contrariamente a quanto sostengono i promotori del suicidio assistito, non c’è l’affermazione di uno Stato etico, quanto la preoccupazione di minare proprio quel che loro vorrebbero difendere: la democrazia liberale con il suo sistema di garanzie per la persona e la netta separazione tra i poteri giudiziario e legislativo».


Come anticipato, concludiamo questa intervista politica riportando una parte dell’intervento di Forte, pronunciato al convegno sopracitato, nella quale egli chiarisce la relazione tra l’autodeterminazione individuale e l’interesse della collettività così come pensato nella Costituzione:

 

«Da profano del diritto, sono andato a rileggere l’Articolo 32 della Costituzione, il quale dice “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. C’è anche questo elemento, l’interesse della collettività. Non c’è solo il diritto individuale, non c’è solo il fatto che nessuno, prosegue l’Articolo, “può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, […] «i padri costituenti hanno affiancato al diritto individuale l’interesse collettivo.


Cioè, è interesse della collettività non solo che le persone stiano in salute, ma che anche chi è inguaribile sia curato, sia accompagnato. È interesse della collettività che anche quella vita non sia considerata inutile, non sia considerata uno scarto, perché anche la condizione della malattia può dare un contributo alla vita civile.»


A cura di Matteo Respinti

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