In Istria e Dalmazia si trattò veramente di pulizia etnica? Quello delle Foibe è veramente tutt’oggi un tema fazioso? Recentemente l’ANPI ha mosso accuse contro il Ministero degli Interni a seguito delle circolari condivise dalle Prefetture ai vari sindaci ed istituti scolastici italiani, per sollecitare questi ultimi, forse con eccessivo anticipo, a promuovere attività che riguardassero il dramma delle infoibazioni e dell’esodo giuliano-dalmata.
Ma è veramente sbagliato ricordare un evento storico che ha riguardato centinaia di migliaia di italiani, in una fase tanto complessa della storia del nostro Paese?
Un giorno, quando avevo 11 anni, venni a sapere in modo improvviso e quasi buffo che mio nonno era cresciuto, nei suoi primi anni, nella città di Fiume, finché non dovette lasciare la sua Terra per dinamiche che a quell’età non riuscivo a capire veramente. C’era la guerra, avevo capito, c’era stata un’invasione da qualche paese confinante, ma non potevo rendermi conto del peso che quelle parole avevano per lui mentre le ascoltavo con leggerezza.
Mi parlò delle foibe, descrivendole come cavità carsiche molto profonde particolarmente diffuse in quel territorio, utilizzate per anni per gettare i vari rifiuti, finché migliaia di persone non vennero trattate come questi ultimi.
Mio nonno, con la sua famiglia, fu più fortunato, avendo la possibilità di abbandonare da un giorno all’altro la sua Terra, ignorando la destinazione, diventando un esule giuliano per anni dimenticato dalla storia.
Parliamo di numeri: ad oggi si tende a considerare tra le 1000 e le 10000 vittime infoibate, di ogni genere ed età, per mano dei partigiani titini. Per quanto riguarda l’esodo giuliano-dalmata, invece, si stimano dalle 150 alle 350 mila persone. Ognuno di questi dati rischia di diventare strumento di narrazioni faziose al servizio di entrambi i lati ideologici, perciò possiamo anche tralasciare questi dettagli, se è vero che in medio stat virtus, e concentrarci sul fatto che questa pagina della storia coinvolse una parte non indifferente della popolazione italiana, punita perché italiana e perché tale voleva rimanere.
Per anni si tentò di trascurare questi avvenimenti per paura che emergessero varie complicità scomode da parte di certi schieramenti politici (tema estremamente delicato, altrettanto complesso, che non tratterò perché non rilevante per questa riflessione), finché nel 2004 non viene istituito il Giorno del Ricordo.
Celebrato per la prima volta il 10 febbraio 2005, sotto la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi, è promulgato con la legge n. 92, al fine di «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale»: da quel momento lo Stato italiano riconosce ufficialmente questi avvenimenti, li considera effettivamente parte, seppur piccola, della storia del nostro Paese.
Ma allora l’anno di istituzione di questa data coincide con quello dell’effettivo riconoscimento dell’evento storico, così come verificato dalle istituzioni repubblicane, da parte di tutte le aree politiche?
In questi giorni il presidente dell’ANPI Gianfranco Pagliarulo si scaglia contro il Viminale sostenendo in una nota che le circolari delle prefetture destinate ai presidi rappresentino «una gravissima forzatura della verità storica».
Per quale motivo il racconto drammatico che vede protagonista centinaia di migliaia di italiani viene tutt’ora considerato come qualcosa di forzato, di mistificato, e perché questo tema solleva spesso preoccupazioni e fastidi all’interno di un’area politica ben precisa?
Discutere della questione fiumana richiede una conoscenza degli eventi e una consapevolezza della loro portata tale da rendere molto complesso addentrarsi nei dettagli di una storia che ha origini molto lontane, e si infittisce nella prima metà del secolo scorso.
Si parla spesso dell’occupazione italiana del territorio istriano, dei soprusi commessi verso la popolazione slava, considerandola una delle cause delle azioni del maresciallo Tito, forse in tono implicitamente giustificatorio, forse con il tentativo di sminuirle. Quello che l’ANPI finge di non sapere è che promuovere eventi che parlino della Giornata del Ricordo significa cercare di raccontare la storia del territorio istriano senza omissioni o ipocrisie, ricordando però che il significato delle celebrazioni del 10 febbraio è quello di ricordare in particolare le vittime della pulizia etnica nei confronti del popolo italiano in Istria.
E di pulizia etnica si trattò veramente, a dispetto di quanto affermi il presidente dell’ANPI Pagliarulo nella sua nota; tra i tanti ne parla anche Giorgio Napolitano nel discorso pronunciato il 10 febbraio 2007 presso il Quirinale, in occasione della sua seconda celebrazione della Giornata del Ricordo. Il Presidente emerito parla di «moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica».
«Non dobbiamo tacere», aggiunge, «dobbiamo assumerci la responsabilità dell'aver negato o teso a ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica e dell'averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali».
Sono passati quasi 80 anni dagli avvenimenti di cui ancora si discute vergognosamente usando toni giustificatori e a tratti accusatori, dimenticando per l’ennesima volta che alle spalle di questo teatrino politico mandato avanti per troppi anni, e che lentamente viene smontato, ci sono stati e ci sono tutt’ora italiani che per decenni hanno aspettato che venisse fatta luce sulla loro stessa storia.
Leonardo Nico