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Giù le mani da Carlo Borsani!

Sono giorni politicamente (e mediaticamente) movimentati a Legnano, in Provincia di Milano.



In occasione Giornata della memoria, l’amministrazione a guida PD ha riesumato dalle oscure profondità della storia politica del nostro Paese personalità del “calibro” (si fa per dire) di Pierluigi Bersani ed Emanuele Fiano, che proprio nel collegio uninominale che comprende anche il legnanese era stato pesantemente sconfitto alle ultime elezioni politiche da Isabella Rauti dopo una campagna elettorale tutta incentrata – da parte dell’ex parlamentare Dem – sull’antifascismo militante. Agli elettori, almeno a quelli che hanno capito di essere nel 2024 e non nel 1924, il tema ormai passa sopra la testa e, diciamocelo pure, se ne fregano. Anzi, per paradosso: più la sinistra perde tempo a rivangare vicende di un secolo fa, più la destra cresce nei licei, nelle università, nelle piazze e nelle urne.


A non averlo ancora capito, nonostante un quindicennio da totali latitanti politici, sono i pochi simpatici sopravvissuti di Rifondazione Comunista, che nella città del Carroccio hanno pensato bene di rilanciare una vecchia e fallimentare proposta della sinistra radicale legnanese: cancellare il piazzale dedicato al Sottotenente Carlo Borsani, figura di enorme esempio e amor patrio a cui, per inciso, è anche intitolata la sezione locale di Fratelli d’Italia, come già lo erano quelle di Alleanza Nazionale e – prima ancora – del Movimento Sociale Italiano.


Proprio agli ultimi anni di vita politica del MSI risale una delle prime campagne per riconoscere, nella sua Legnano, una dignitosa memoria a Borsani: è infatti datata 8 aprile 1988 la proposta – firmata dai Consiglieri comunali Francesco Colombo, Maurizio Benazzi e Franco Falco e diretta all’allora Sindaco democristiano (sostenuto dal “Pentapartito”) Piero Cattaneo – «acché l’Amministrazione Comunale Legnanese provveda – in tempi ormai non più procrastinabili – ad intitolare un luogo pubblico o una istituzione alla memoria del concittadino poeta, ten. Carlo Borsani M.O.V.M.». I consiglieri missini erano alla ricerca di un «giusto riconoscimento al nostro concittadino» e della «eliminazione di una incomprensibile ed ingiustificata discriminazione sinora “ufficialmente” sancita, o per lo meno tollerata, con altri Legnanesi assunti ad uguale altissima onorificenza rappresentata dalla medaglia d’oro al V.M.».


Insomma, un doppiopesismo istituzionale che nell’Italia “nata dalla resistenza” esisteva già quarant’anni fa e oggi si è tutt’altro che assottigliato. «Non possiamo non ricordare», continuavano i missini, «i vari interventi a favore di Carlo Borsani succedutisi da più parti». E tra i vari citati da Colombo, Benazzi e Falco, riportiamo «le dichiarazioni dell’allora Presidente della Repubblica Italiana, sen. Sandro Pertini, che – riferendosi alla fucilazione del tenente Carlo Borsani, - affermava: “un triste errore di quei giorni”».


Qualche anno dopo, il sogno dei missini diventava realtà con un piazzale che si trova di fronte al Liceo Galileo Galilei, uno dei più prestigiosi e frequentati istituti del territorio, proprio per affermare la volontà di far conoscere anche alle giovani generazioni la grande storia di un grande legnanese.


Dal 2018, poi, la data del 30 di aprile a Legnano rappresenta un momento di ritrovo per tutte le comunità militanti identitarie dell’Alto Milanese che, sotto il solo simbolo del Tricolore e abbandonando per una sera le varie divisioni movimentiste, marciano per la città illuminando la via con delle torce fino al piazzale in cui viene dedicato un momento di ricordo con la deposizione di una corona d’alloro e la lettura di testimonianze o di scritti del soldato-poeta legnanese.


Negli ultimi anni, in particolare, l’appuntamento – che, per via della concomitanza con le commemorazioni milanesi di Sergio Ramelli, “ritarda” di un giorno rispetto all’anniversario dell’assassinio di Carlo Borsani, avvenuto il 29 aprile 1945 – ha radunato centinaia e centinaia di uomini, donne, ragazzi e ragazze sotto la sigla di Legnano non dimentica: un’associazione senza colore politico, dedicata soltanto a mantenere viva la memoria di un legnanese che – come vedremo – ha donato all’Italia la sua vita dopo averci lasciato importantissime eredità politiche, sociali e culturali che vivono ancora oggi.


Insomma: tutta questa gente, alla sinistra delle piazze vuote, proprio non è andata giù. Lo scorso anno il Centro Sociale Sandro Pertini era diventato il principale luogo di promozione di una (fallimentare) raccolta firme proposta dalla Rete Antifascista Dell’Altomilanese, affiancata dalla sezione locale dell’ANPI e spalleggiata da tutta la sinistra istituzionale legnanese, per sostituire la targa di Carlo Borsani con quella di Gino Strada e Teresa Sarti. Quest’anno, per riemergere dalla loro inesistenza, gli hanno fatto eco i resistenti di Rifondazione Comunista che a Legnano (come in gran parte del resto d’Italia) sono ormai ridotti ad una specie di circolo della bocciofila con la passione per la falce, il martello e il bianchino. Dal canto nostro, a Legnano non li abbiamo mai visti impegnati in iniziative di giustizia sociale per le tante famiglie in difficoltà, o in rivendicazioni per condizioni di lavoro più dignitose, né tantomeno in battaglie per la sicurezza.


Però, si sa: in Italia, l’antifascismo da salotto ha delle tempistiche ben precise. Scatta, per intenderci, quando scatta la par condicio che dà inizio alla campagna elettorale. E così, a pochi mesi dalle elezioni europee, ecco che tornano a farsi sentire i compagni.


Il ritornello ormai è noto a tutti: «nessuno spazio ai fiancheggiatori del fascismo», dicono i pochi superstiti di un movimento che ha urne vuote e piazze ancor più deserte. Peccato non averli mai sentiti ripetere frasi di questo calibro nei confronti di figure molto meno scomode che, nel famoso e lontanissimo Ventennio, fiancheggiarono eccome il governo Mussolini.


Se ne citerà qualcuno, giusto per rinfrescare la memoria ai sedicenti antifascisti: Dario Fo, volontario in camicia nera nella Repubblica Sociale Italiana e poi, negli anni di piombo, ideatore del soccorso rosso che nascondeva i terroristi comunisti che ammazzavano militanti di destra, magistrati e Forze dell’Ordine; Giorgio Napolitano, orgogliosamente iscritto ai Giovani Universitari Fascisti salvo poi finire ad applaudire in Parlamento l’invasione dell’Armata rossa a Budapest; Giorgio Bocca, diffusore in Italia dell’antisemita (e falso storico) Protocollo dei savi di Sion, prima di riscoprirsi antifascista a guerra praticamente finita; Vittorio Gorresio, che prima di essere un illuminato autore della sinistra progressista aveva celebrato il rogo dei “libri semiti” a Berlino; Eugenio Scalfari, che prima di dirigere La Repubblica come una delle più brillanti penne del giornalismo italiano di sinistra non aveva mancato di contribuire animatamente alle redazioni del giornale Roma Fascista; Enzo Biagi, eroe travagliano e rifondarolo con un passato da autore nel fascistissimo Architrave di Bologna; Arturo Labriola, fondatore del PSI a Napoli, che a metà degli anni ‘30 celebrava le conquiste italiane in Etiopia e vent’anni dopo finiva eletto da capolista del PCI nella città partenopea.


E si potrebbe continuare all’infinito, aggiungendo a questa lista di “pentiti” (quasi sempre tardivi) un oceano di uomini e donne che hanno segnato non solo la storia politica ma anche quella culturale e artistica del secondo dopoguerra, senza mai rinnegare le scelte fatte in buonafede nella propria gioventù: Giorgio Albertazzi, Walter Chiari, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Teresio Interlandi, Marcello Mastroianni, Ugo Ojetti, Wanda Osiris, Vittorio Pozzo, Enrico Maria Salerno, Mario Volontè, Ardengo Soffici, persino Giovanni Spadolini (sì, lui!). Fortuna loro, la damnatio memoriae della Repubblica “fondata sulla Resistenza” non gli ha impedito di costruirsi una nuova vita dopo la Guerra civile e regalare all’Italia il proprio genio artistico, culturale, intellettuale e politico.


La stessa fortunata sorte non toccò però a Carlo Borsani. Legnanese, nato nel pieno della Prima Guerra mondiale da una famiglia operaia e proletaria, grazie ai sacrifici della madre riesce a diplomarsi e a iscriversi alla Facoltà di Lettere nonostante la prematura morte del padre in officina. Da sottotenente, difese il Tricolore al confine con la Francia e poi in Albania, dove l’esplosione di una granata di mortaio gli valse una Medaglia d’Oro e gli costò la cecità permanente.


Rientrato in patria da invalido di guerra, continua a studiare grazie all’amore della moglie Franca Longhitano: si laurea e con lei ha una splendida figlia, Raffaella. Dopo l’8 settembre, da Presidente dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra, riesce a ottenere l’erogazione della pensione anche per gli invalidi sul lavoro (che ancora oggi è alla base dello stato sociale nella nostra Repubblica), memore delle sue radici operaie e proletarie. Durante la Guerra civile, si adopera per salvare decine e decine di vite di ebrei e partigiani, come quella della staffetta Suor Enrichetta Alfieri (conosciuta come “l’Angelo di San Vittore”). Il suo ultimo articolo, dal titolo Per incontrarci, è un invito a deporre le armi e fermare la guerra fratricida rivolto ai partigiani e ai militi della RSI.


Accanto a questo, va ricordato anche il valore culturale e artistico di una figura che, nella letteratura legnanese del Novecento, ci sentiamo di poter definire senza eguali: quattro le sue opere, tre raccolte di poesie (Gli occhi di prima e La mano di Antigone, usciti per Garzanti rispettivamente nel 1942 e nel 1944, e Liriche, pubblicato postumo nel 1948 da Edizioni d’arte Amilcare Pizzi) e un diario di guerra, Eroi senza medaglia (Editrice S.A. Grafitalia, Milano 1943).


Nulla di tutto questo gli basta a sfuggire dalla prigionia, a guerra finita, nella notte del 27 aprile 1945. E mentre la moglie Franca aspetta il suo secondo figlio - Carlo junior, che sarà poi anche Assessore in Regione Lombardia e che è mancato pochi mesi fa - i “partigiani resistenti” lo rinchiudono nei sotterranei del Palazzo di Giustizia per due giorni e lo uccidono con un colpo alla nuca, senza nemmeno il coraggio di guardarlo in quegli occhi tanto ciechi quanto fieri, il 29 aprile 1945, per poi fare scempio del cadavere trasportandolo per le vie della “Milano liberata” su un carretto della spazzatura con scritto “ex medaglia d’oro”.


Una storia che ai simpatici e impalpabili amici di Rifondazione comunista a Legnano - sia chiaro - è certamente ben nota. Come gli è certamente noto che nel 2005 l’ebreo Gabriele Nessim, ideatore del Giardino dei Giusti di Milano, gli avrebbe persino dedicato un albero se non gli fosse stato impedito proprio dai “colleghi” comunisti e sedicenti antifascisti di allora.


Questi fatti li conoscono bene. Ma, pur di far parlare di loro, tirano fuori la solita ridicola e stucchevole retorica contro un Uomo, un Padre, un Eroe di guerra a cui non sarebbero degni neppure di allacciare le scarpe.


Carlo Borsani lo sa e da lassù ride ogni volta che qualcuno fa scempio del suo nome per attirare l’attenzione dei pochissimi nostalgici della falce e del martello. Sorride insieme a Franca, e a suo figlio junior. Perché c’è chi ricorda, c’è chi onora, c’è chi non dimenticherà mai un grande legnanese.


Matteo Malacrida

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