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Il centenario della Grande Milano

«Ma Milan l'è on gran Milan», cantava, per la prima volta nel ’34, Giovanni D’Anzi nella sua O mia bela Madunina, nel ’39 quel verso prese nuova vita e divenne il titolo della celeberrima canzone popolare Lassa pur ch'el mond el disa (ma Milan l'è on gran Milan).

A patto di considerare quel «gran» solo nella sua accezione spaziale, dobbiamo dire che Milano non fu sempre la Grande Milano; è, infatti, nel 2 ottobre del 1923, esattamente cento anni fa, che, con l’annessione di Affori, Baggio, Chiaravalle Milanese, Crescenzago, Gorla-Precotto, Greco Milanese, Lambrate, Musocco, Niguarda, Trenno e Vigentino, Milano raggiunse l’estensione territoriale odierna.

Oggi, 2 ottobre 2023, la comunità di Gioventù Nazionale Milano insieme al Coordinamento Cittadino di Fratelli d’Italia celebrerà il centenario, nonostante polemiche vili di cui diremo qualcosa più avanti, al Palazzo delle Stelline; dalle 18 in avanti interverranno, tra gli altri, il Presidente di GN Milano, Riccardo Mariani, gli onorevoli Paola Frassinetti, Carlo Fidanza, Marco Osnato, Riccardo De Corato, Grazia Di Maggio e Andrea Mascaretti e il Ministro Daniela Santanchè.


Nonostante il capoluogo lombardo sia oramai spesso al centro dell’attenzione solo per il degrado e l’incuria in cui il Sindaco Giuseppe Sala ha scelto di abbandonare diverse zone, anche alcune delle più storiche, la sua storia è, in una certa misura, metro della storia del Nord e dell'Italia intera e per questo merita, almeno, la stessa attenzione culturale che dedichiamo alla nostra capitale Roma.


Racconta Tito Livio, il noto storico romano, di come la città sarebbe stata fondata nel VI° secolo, la ricerca storica dice nel 590 a.C., dal principe gallo Belloveso, figlio di Ambigato che era re presso il Rodano e fratello di Segoveso che regnò sulla Selva Ercinia, quella che oggi conosciamo come Valle del Danubio. Spronato da presagi divini e dall’aumento della popolazione, come in uso tra i celti, il principe migrò insieme ai guerrieri della tribù del padre, con lui Biturigi, Arverni, Sènoni, Edui, Ambarri, Carnuti e Aulerci, fino alle Alpi. Era il VI° secolo e l’antenato di tutti i milanesi valicava, per la prima volta nella storia dell’umanità, le Alpi attraverso quello che oggi chiamiamo Colle del Monginevro; arrivato in Italia, nella Pianura Padana, affrontò e vinse gli Etruschi nella Battaglia del Ticino, combattuta nei pressi di Pavia, dove il fiume svizzero incontra il Po’, e, unito il suo popolo con le tribù insubriche della Cultura di Golasecca, fondò la città di Medhelan. La leggenda di questo Romolo lombardo, così come tramandataci nel Medioevo dal poeta Bonvesin de la Riva che fu padre della lingua lombarda, racconta, non potrebbe essere altrimenti, che a determinare l’ubicazione della città fu un segno del divino: il principe Belloveso impegnato nella cerca ritrovò la scrofa semi-lanuta, che gli dèi gli avevano comandato come simbolo su scudi e vessilli, e seppe che lì sarebbe sorta la sua città.

Poi Medhelan diviene Mediolanum, nel 223 a.C. i consoli Publio Furio Filo e Gaio Flaminio Nepote partono da Genua verso la Pianura Padana, ancora abitata dagli insubri, alla testa di 40.000 uomini. L’anno successivo Milano è l’ultima città a cadere in mano romana, gli assedianti fingono una ritirata, gli abitanti tentano una sortita inseguendo l’invasore fuori dalle mura cittadine, ma, così, si espongono alla schiacciante superiorità numerica dell’avversario. Entrati in Milano, non è proprio quello a cui gli invasori dei nostri tempi ci hanno abituato, i romani vi erigono un tempio per la dea Virtù e così le affidano la città.


Come consuetudine presso quella grande cultura, se la conquista della città padana fu cruenta e drammatica, celti e romani non le mandavano certo a dire, Mediolanum poté, dal 222 in avanti, partecipare della gloria di Roma, che non è solo la città bensì quell’idea che trascende i confini e la storia. Colonia, nell’89 a.C., municipium, nel 49 a.C. e poi, finalmente, Capitale dell'Impero romano d'Occidente dal 286 d.C. al 402 d.C.


È la Milano imperiale che con l’Editto del 313 d.C., per mezzo del quale l’imperatore Costantino concede a ogni cittadino di onorare il divino secondo la propria tradizione, avvia quel lento processo che fonderà indissolubilmente, sono i momenti fissati della Storia, l’imperium romano e il Vangelo di Cristo. Se corruzione e materialismo non poterono vincere la Paganitas fu, quindi, almeno in parte, grazie al ruolo che Milano assunse nella storia; se il Fato poté donare all’Europa i secoli felici della Christianitas fu, quindi, almeno in parte, grazie al ruolo che Milano assunse nella storia; se Carlo, gli Ottoni, i Federico, i Luigi e tutti gli altri furono imperatori e re cattolici lo furono, infondo, perché Milano mediò Roma.


Nel 476 d.C., con la dissoluzione dell’ecumene romana, cadde anche la nostra città. Come sanno bene i milanesi, è con l’età comunale, nel 1117, prima, e con la Signoria e il Ducato, poi, che Milano riacquisì il suo prestigio; sconfitta e rasa al suolo dal sacro romano imperatore Federico Barbarossa a lui seppe opporsi nuovamente, pochi anni dopo, alla guida della Lega Lombarda, vincendolo il 29 maggio del 1176 a Legnano.


E da lì si avvia quella parte della storia cittadina che possiamo permetterci anche soltanto di affrescare perché, fortunatamente, si conosce di più, parlo dei Visconti, del Biscione, del Dòmm del quale nel 1386 si posa la prima pietra, degli Sforza e del loro bel Castello e di Leonardo alla loro corte, poi dell’invasione francese e, successivamente, del rinnovato controllo imperiale che diviene presto, con buona pace di quel poco di illuminismo che permea il Manzoni, dominio, ma c’è la Costitutiones Mediolanensis Dominii, spagnolo.


Nel 1630, più tremendo di tutti gli assedi, anche di quelli tra il Tardoantico e il primo Medioevo che si è scelto qui di non raccontare per amor della città, c’è il dramma della peste che, seguendo il modello magistrale del grande scrittore milanese citato poco fa, non si può che opporre alla pietas del Cardinale Federigo Borromeo, cugino del Santo Carlo, che dal Lazzaretto resse, attraverso l’opera di carità e la preghiera, le sorti di Milano.


Oltre al buio della peste, prima di riavvicinarci alla Milano contemporanea e quindi al centenario che celebriamo oggi, c’è il grigiume culturale della Milano giacobine e illuminista; i regali del generale Napoleone, francese e quindi più straniero degli austriaci mitteleuropei, furono la Repubblica Transpadana (1796-1797), la Repubblica Cisalpina (1802-1805) e, crudele è il Fato che così fa nascere per la prima volta una amministrazione italiana, la Repubblica Italiana napoleonica (1805-1814).


Da quegli anni in avanti il rapporto con l’Impero, che con il Congresso di Vienna riguadagnò il controllo della città, non poté più essere lo stesso: ne sono un esempio le Cinque Giornate di Milano, di cui abbiamo scritto qui, e l’entusiasmo con cui la città lombarda partecipò al Regno di Sardegna, prima, e al Regno d’Italia poi.


In seno al neonato Stato italiano la città divenne, seguita da Genova e Torino, il principale polo industriale della penisola, tanto che qualcuno, Ruggiero Bonghi, la designò capitale morale per lo spirito laborioso che la contraddistingueva e che si sarebbe voluto avesse contraddistinto il Regno intero. L’industria e il lavoro resero Milano anche la capitale del socialismo, quello corporativo e sindacale, italiano bastano i nomi di Filippo Turati e di Benito Mussolini per rendere l’idea della sua centralità.


Nominiamo senza timore Mussolini, che, morto e sepolto da un pezzo, non ci spaventa minimamente, con buona pace del giornalaio Paolo Berizzi che, è l’ennesimo episodio ridicolo della sua ridicola jihad contro Gioventù Nazionale, ha dedicato un trafiletto al vetriolo – Repubblica verosimilmente l’ha pure pagato per questo suo reflusso ideologico – contro l’evento di cui sopra perché, secondo la sua visione distorta della realtà, se GN Milano festeggia il centenario della città, che di per sé c'entra solo collateralmente con la storia del fascismo, non può che farlo per celebrare la centralità della citta per la storia del fascismo.


Se uno pensa al connubio Mussolini-Milano difficilmente andrà a parare su qualcosa di diverso dai fatti di piazza San Sepolcro del 1919, che in questa storia della città per sommi capi avremmo tralasciato senza problemi; ma, siccome Gioventù Nazionale Milano il centenario di Milano lo festeggia il 2 ottobre, quando, come si è detto prima, dopo l’unione con i Comune dei Corpi Santi (Corp Sant) del primo settembre 1873, Milano accolse gli 11 comuni limitrofi e non il 23 marzo, il Berizzi, pur di ingiuriare la nostra comunità, si vede costretto a divulgare il mirabolante scoop, che non interessava e tuttora non interessa a nessuno: «La riforma fu decisa dal neoinsediato [che l’italiano in realtà vorrebbe scritto neo insediato o al più neo-insediato] governo fascista con Regio decreto».

Lasciando questo soggetto triste a gongolarsi nel suo eroico antifascismo in assenza di fascismo vi invitiamo a celebrare con noi il centenario di questa Grande Milano nella speranza che questo nostro affresco rapido possa contribuire a diffonderne la storia.


Matteo Respinti

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