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Immagine del redattoreMatteo Respinti

Il Credo di un reazionario – Erik von Kuehnelt-Leddihn

Scritto da Erik Maria Ritter von Kuehnelt-Leddihn, questo saggio breve apparve per la prima volta nel 1943, all’interno del numero di luglio di The American Mercury, sotto lo pseudonimo di Francis Stuart Campbell. Il testo inglese è stato recentemente ripubblicato nel numero estivo dell’anno 2023 di The European Conservative, ma una sua versione digitale è disponibile qui.

Lo traduciamo per la prima volta in italiano e lo offriamo senza un’introduzione convinti che nelle considerazioni di questo Cavaliere austriaco emigrato negli Stati Uniti, così piene di sdegno, tanto per la democrazia quanto per le rivoluzioni super-democratiche, così, in certi passi e per certi nomi, tanto distanti dalla nostra tradizione politica, il lettore attento potrà ritrovare similitudini, e perché no superamenti, rispetto al pensiero di chi da noi osò opporsi alla modernità.

Good Speed, Edmund Leighton, 1900

I


Non esito nell’annunciare di essere un reazionario e in questo provo molto orgoglio, io non trovo lo scrutare speranzosamente il futuro ignoto più virtuoso del guardare indietro con nostalgia ai valori già noti e comprovati dal tempo.


Il termine «reazionario», per come lo uso io, non sta per una serie di idee definite e immutabili, bensì per una disposizione della mente. In quanto reazionario, io ripudio e resisto lo spirito e le mode dell’epoca in cui sono costretto a vivere e cerco di restaurare quello spirito che trovò la sua espressione massima nei tempi andati.


Il fatto che il termine «reazionario» sia utilizzato come epiteto di fascisti e di altre varianti dell’uomo moderno, per le quali il vero reazionario prova solo disprezzo, non è di certo mia responsabilità.


In quanto reazionario onesto io rifiuto il nazismo, il comunismo, il fascismo e tutte le ideologie a esse imparentate, che sono reductio ad absurdum della cosiddetta democrazia e del dominio della folla. Io rifiuto l’assunto assurdo del governo della maggioranza, l’hocus pocus del parlamentarismo, il falso liberalismo materialista della Scuola di Manchester e il falso conservatorismo dei banchieri e degli industriali. Io aborro il centralismo e l’uniformità della vita del gregge, la stupida passione delle masse di dividere i popoli in razze, il capitalismo privato – così come quello di Stato (il socialismo) – perché, nel corso dei due secoli passati, hanno contribuito alla rovina progressiva della nostra civiltà. Il reazionario autentico dei nostri giorni è un ribelle nella misura in cui si oppone alle posizioni della maggioranza e un radicale per il fatto che scava fino alle radici.


Personalmente sono un reazionario di fede cristiana tradizionale, con un’aria da liberale e dalle simpatie agrarie. Dove così tanti intorno a me adorano “il nuovo”, io rispetto le forme e le istituzioni che sono sorte organicamente lungo il corso del tempo. I periodi che precedettero le due grandi tempeste – il Medioevo e il Rinascimento, conclusi dalla Riforma, e il Diciottesimo Secolo, concluso dalla Rivoluzione Francese – furono ricchi di forme e di idee di importanza duratura. L’universalità di un Niccolò Cusano o di un Alberto Magno, la gloria della Cattedrale di Chartres e il tardo barocco austriaco, modelli come Maria Teresa, Pascal, George Washington o Leibniz mi affascinano più dei tre “uomini comuni” del nostro tempo – Mussolini, Stalin e Hitler – o del democratico splendore di un grande magazzino o ancora della vuotezza spirituale delle masse comuniste e fasciste riunite e magnetizzate dagli agitatori di piazza.


La nota introduttiva a questo declino della civiltà fu scritta da Martino Lutero, colui che venerò la Nazione, esaltò lo Stato e inveì contro gli ebrei, da quel monarca barbaro sul trono d’Inghilterra, che sostituì lo spirito cattolico del suo paese con il parrocchialismo paralizzante, dal primo “moderno” – il ginevrino che negò le fondamenta della libertà filosofica, il libero arbitrio – e dall’altro ginevrino, che predicò il ritorno alla giungla e a una Arcadia barbarica. Questi quattro cavalieri dell’apocalisse - Lutero, Enrico VIII, Calvino e Rousseau – non erano che gli araldi di cose più fatali che sarebbero venute. Il disastro fu definitivo quando la Rivoluzione Francese, posta di fronte all'eterno dilemma della scelta tra la libertà e l’uguaglianza decise per la seconda. La ghigliottina e i magistrati di Strasburgo, che credevano che la guglia della cattedrale dovesse essere abbattuta perché si stagliava sopra al livello egualitario delle altre case, sono simboli perenni del modernismo e del “progresso” perverso.


Le masse, che costituendosi in maggioranze organizzate con idee uniformi odiano uniformemente tutti coloro che osano essere diversi, sono il prodromo contemporaneo di queste rivoluzioni. Il prete e l'ebreo, l'aristocratico e il mendicante, il genio e l'imbecille, l'anticonformista politico e l'esploratore filosofico, sono tutti nella lista dei proscritti. Il gregge impera oggi quasi ovunque con i mezzi più diversi e le etichette più disparate. Questa tirannia è ciò a cui mi oppongo.


II


In quanto reazionario, io credo nella libertà, ma non nell’uguaglianza. L'unica uguaglianza che posso accettare è l'uguaglianza spirituale tra due neonati indipendentemente dal loro colore, dal loro credo o dalla razza dei loro genitori. Non accetto né l’egualitarismo degradante dei "democratici", né le divisioni artificiali dei razzisti, né le distinzioni di classe dei comunisti e degli snob.


Gli esseri umani sono unici, dovrebbero avere l'opportunità di sviluppare la propria personalità, e questo significa responsabilità, sofferenza e solitudine. Non solo apprezzo il principio della monarchia, ma mi piacciono tutte le persone che sono state incoronate, e le corone sono di tutti i tipi, e la più nobile tra di esse consiste di spine. L'uomo moderno – questo animale docile, "cooperativo" e urbanizzato – non può piacere a un reazionario.


Credo nella famiglia, nella gerarchia naturale all'interno della famiglia e nel divario naturale tra i sessi. Amo gli uomini anziani pieni di dignità e i padri orgogliosi, ma amo anche i bambini coraggiosi e onesti. In una gerarchia il membro più basso è strutturalmente tanto importante quanto lo è il più alto. E anche l'abisso che differenzia gli uomini e le donne mi sembra una buona cosa, non c'è merito nel costruire un ponte su una semplice pozzanghera.


Mi piacciono gli uomini che possiedono proprietà. Non sono affatto entusiasta del tipo senza radici che abita un condominio, di quel tipo il cui unico tratto distintivo è il social security number. Detesto il capitalismo che concentra la proprietà nelle mani di pochi non meno del socialismo che vuole trasferirla a quel gran nessuno, l'idra dal milione di teste e senza anima, che è la Società. Mi piacciono le persone che posseggono la propria dimora, il proprio campo, le proprie opinioni che le spingono all'azione indipendente. Temo il gregge: il 51% che votò per Hitler e Hugenberg, la folla urlante che sostenne il Terrore Francese, il 55% dei bianchi negli Stati del Sud che tengono il 45% dei negri "al loro posto" con l'aiuto della torcia e della corda.


Temo tutte le masse composte da uomini che hanno paura di essere unici, di essere persone, preoccupati della sicurezza più che della libertà, temendo il prossimo o la "comunità" più di Dio e della propria coscienza. Queste sono le persone che pretendono non solo l’uguaglianza ma anche l’identicità, sospettano di chiunque osi essere diverso. Vogliono semplicemente «ordinary, decent chaps», secondo gli inglesi, «regular guys», secondo gli statunitensi o «rechte Kerl» secondo il modello tedesco. L'uomo moderno sembra avere un solo desiderio: vedere tutto plasmato a sua immagine, detesta la personalità e vuole assimilare. Ciò che non riesce ad assimilare lo elimina. Tutta la nostra epoca è segnata dalla presenza di un vasto sistema di agenti livellatori e assimilatori che agiscono nelle scuole, nella pubblicità, nelle caserme, nei beni di massa, nei giornali di massa, nei libri e nelle idee. Il lato più oscuro di questo processo può essere visto nell'ostracismo sociale praticato contro le minoranze nelle democrazie pseudo-liberali, nei macelli umani, nei campi di concentramento delle nazioni totalitarie super-democratiche e negli infiniti flussi di rifugiati senzatetto che vagano senza meta per tutto il mondo. L'uomo qualunque in ogni aggregazione è spietato e del tutto privo di generosità.


La libertà, dopotutto, è un ideale aristocratico. A Washington, proprio davanti alla Casa Bianca, in Jackson Square, c'è un simbolo meraviglioso: il monumento al primo egualitario americano circondato dalle statue di quattro nobili europei venuti in America per lottare per la libertà e non per l’uguaglianza-identicità – il nobile polacco-russo-bianco Kosciuszko, il barone Steuben, il conte de Rochambeau e il marchese de Lafayette. Il barone de Kalb è commemorato altrove e il nome del conte Pulaski abbellisce un'autostrada nel New Jersey e una statua a Savannah. Pulaski è stato l'unico generale ucciso nella Grande Rivolta degli whigs americani. Noi reazionari (indipendentemente da quel che pensiamo) siamo tutti whigs: la nostra tradizione, nei paesi di lingua inglese, si basa sulla Magna Charta, che solo gli ignoranti dicono "democratica".


Non apprezzo il "liberalismo" del Diciannovesimo Secolo con il suo materialismo grossolano e la credenza pagana nella "sopravvivenza del migliore", cioè quello con meno scrupoli. Alle condizioni europee, sono naturalmente un monarchico perché la monarchia è fondamentalmente sovra-razziale e sovranazionale. Non solo le istituzioni libere sopravvissero meglio nelle monarchie dell'Europa nord-occidentale che nel cuore repubblicano del continente, ma nell'area etnicamente mista dell'Europa centrale e orientale uno si trova a preferire monarchi di origine straniera con mogli e madri straniere e generi e nuore stranieri, parenti di capi politici e appartenenti a specifiche nazionalità, ceti sociali e partiti.


Mi sento più libero sotto un uomo che non è la scelta di nessuno piuttosto che sotto una maggioranza che segue ciecamente le proprie emozioni burrascose, Voltaire ha avuto più possibilità di influenzare le corti di Parigi, di Potsdam e di Pietroburgo di quanto un Dawson, un Sorokin, un Ferrero o un Bernanos ne abbiano avute di influenzare le masse "democratiche". I monarchi europei hanno eguagliato intellettualmente e moralmente i loro epigoni repubblicani col cappello a cilindro, ma i Borbone fanno certamente un figurone se paragonati ai politicastri delle tre Repubbliche francesi. Naturalmente i Führer dell'era totalitaria sono stati spesso più "brillanti" e di successo perché meno scrupolosi: sostenuti da plebisciti accuratamente organizzati, si sentono giustificati nell'indulgere in massacri che nessun Borbone, Asburgo o Hohenzollern avrebbe osato commettere. Già Platone, più di duemila anni fa, ci avvertì sul fatto che la democrazia degenera inevitabilmente nelle dittature e de Tocqueville lo ribadì nel 1835. La maggior parte dei sempliciotti, su entrambe le sponde dell'Atlantico, continua a confondere la democrazia con il liberalismo, due elementi che possono – come possono non farlo – coesistere. Un "divieto" sostenuto dal 51% per cento dell'elettorato sarà molto democratico, ma difficilmente liberale.


III


Ciò che noi reazionari vogliamo sono la libertà e la diversità, crediamo che ci sia anche una forza peculiare nella diversità. Santo Stefano, re d'Ungheria, disse a suo figlio: «Un regno con una sola lingua e di un’unica usanza è sciocco e fragile». Ciò è contrario alla credenza superstiziosa demo-totalitaria nella nostra epoca di uniformità, i fascisti italiani che distrussero tutte le istituzioni culturali degli “stranieri” nel loro paese trovarono imitatori nei tecnocrati progressisti che reclamavano, una volta che la guerra fosse arrivata negli Stati Uniti, la confisca di tutta la stampa di lingua straniera.


Da reazionario mi piacciono i patrioti, che si entusiasmano per la loro patria, e non mi piacciono i nazionalisti, che si esaltano per la lingua e il sangue. Il reazionario difende l'idea del suolo e della libertà, ma si oppone al complesso del sangue e dell'uguaglianza.


In quanto reazionario, ho sia opinioni precise che opinioni provvisorie: «Nelle cose necessarie l'unità, nelle cose dubbie la libertà, in tutto la carità» è un bel programma reazionario. Se considero qualcosa come Verità, scarto ogni opinione contraria. Ma non sono d'accordo con certi ecclesiastici medievali o con i miopi conservatori che credevano che l'errore si potesse combattere con la forza, ogni meticoloso sradicamento dell'errore con mezzi artificiali (ovvero diretti contro le persone e non contro l'idea stessa) finisce per rendere la Verità sgradevole, stantia, poco attraente. Come reazionario rispetto ogni persona che coraggiosamente e sinceramente sostiene visioni errate seguendo la sua coscienza, ho infinitamente più rispetto per un anarchico catalano fanatico, un ebreo ortodosso, un calvinista accanito o un derviscio che per uno pseudo-liberale umanitario con una segreta venerazione per lo Stato onnipotente. Un vero reazionario è un uomo di assoluta fede e assoluta generosità, concilia dogma e libertà.


Da reazionario, vorrei veder materializzate in questo Paese maggiormente le idee anti-democratiche dei Padri Fondatori. In effetti, pochi scrittori europei si sono scagliati contro i democratici con più forza di Madison, Hamilton, Marshall, John Adams o persino Jefferson, che impersonavano l'aristocrazia del merito e non il governo della massa, nonostante il centralismo di Hamilton fosse fondamentalmente di sinistra e né qui né in Europa dovrebbe prevalere. Ciò di cui abbiamo bisogno su entrambe le sponde dell'Atlantico è un atteggiamento personale, colossalismo e collettivismo sono il nemico. Il contadino Schmidt di Hindelang, ad esempio, dovrebbe essere orgoglioso di essere prima di tutto il capofamiglia, il proprietario di una fattoria e poi di essere un abitante di Hindelang. Dopo un'ulteriore riflessione dovrebbe essere orgoglioso di essere un contadino della Valle dell'Algovia e anche di essere un bavarese. La sua germanicità dovrebbe essere l'unità mistica dell'orizzonte stesso dei suoi pensieri. Ma la tendenza moderna è quella di stabilire la gerarchia delle lealtà al contrario: l'enfasi nazista sui novanta milioni di tedeschi, l'enfasi sovietica sulla "massa", l'identificazione generale del "più grande" con il "migliore" mostrano il nostro degrado: l'adorazione della quantità, il nostro disprezzo per la persona e tutta la nostra moderna disperazione per l'unicità umana.


Ritengo che lo Stato, gli affari, la manifattura siano i grandi schiavisti dei nostri tempi, Mario Rossi lavora come il suo antenato spirituale, il servo medievale, un giorno e mezzo alla settimana per il suo padrone di casa. Dei quattro assegni settimanali ne consegna almeno uno alla corporazione che gli affitta l'abitazione ma, in caso di mancata consegna, si verificherebbe l'espropriazione, una minaccia sconosciuta al villano del XIII secolo. Nella fabbrica è schiavo, a differenza del membro di una corporazione, di investitori ignoti o di dirigenti sindacali corrotti, se non, come in URSS, di un Leviatano che è combinazione di Stato e Società. I lavoratori dovrebbero possedere gli strumenti di produzione, non c'è alcuna ragione per cui non dovrebbero possedere le fabbriche in senso letterale o essere titolari di tutte le azioni distribuite dopo una certa chiave. Uno una fabbrica potrebbe ben essere una comunità viva non meno di una bottega medioevale.


Mi piacciono le persone libere che spesso sono persone "arretrate", come i tirolesi, gli alpinisti svizzeri, gli scozzesi, i navarresi, i baschi, i cupi contadini dei Balcani, i curdi. Sono sfuggiti al male minore della servitù nel Medioevo e al male maggiore dell'urbanizzazione nei tempi moderni. Sono molto reazionari, conservatori, amanti della libertà. Possono permettersi di essere conservatori perché la loro cultura non è in sintonia con i tempi moderni, ciò che hanno è degno di essere preservato. Il conservatore urbano, d'altra parte, non è altro che un "progressista" inibito.


Credo nell'uomo che eccelle, l'uomo del dovere contrapposto all'Uomo Comune la cui unica forza sta nel numero, la cui manifestazione politica è la sottomissione a "convinzioni" prefabbricate o a "capi" che a differenza dei "governanti" non differiscono dal volere delle masse ma ne personificano tutti i tratti peggiori.


Oggi una manciata sola di reazionari genuini si sobbarca il peso della lotta contro il super-progressismo nella sua forma totalitaria. Sanno che la democrazia come forza non può trattare con i totalitarismi, le forme embrionali non possono prevalere contro le loro manifestazioni più mature. Lo sapevano Platone, de Tocqueville, Donoso Cortès, Burckhardt: la democrazia progressista come lo pseudo-liberalismo non è altro che una Gironda, un precursore del Terrore.


Tra i membri di questa manciata vi sono Winston Churchill e il conte Galen, il conte Preysing e von Faulhaber, Niemöller e Georges Bernanos, Giraud e d'Ormesson, il conte Teleki, Calvo Sotelo, Schuschnigg e Edgar Jung. Nessuno di loro è sceso a compromessi con la malvagità della Gironda o del Terrore nelle loro forme moderne, vivi o morti, non cederanno. Non lo faranno, e non credevano necessariamente in un Brave Old Past in contrapposizione a un Brave New World, ma videro crescere le calamità del presente dagli errori del passato e trasformarsi nelle catastrofi del futuro. Sono isolati dal sospetto che li circonda, sono considerati guastafeste per non essersi uniti al panegirico universale del progresso. Sono diventati irremovibili e appassionati, sosterranno i loro stendardi fino alla morte e i loro stendardi sono molto antichi, molto orgogliosi e molto onorevoli.


A cura di Matteo Respinti

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