Era il 29 gennaio 1873, e a Madrid nacque un Principe, anzi un Infante di Spagna. Sembra una vecchia storia, eppure, quel Principe incarnerà lo spirito del suo tempo, e sarà un personaggio straordinario, come uscito da un romanzo d'avventura di Salgari o Jules Verne.

Le origini di un principe avventuroso
Il Principe, di cui voglio raccontare la storia, è Luigi Amedeo di Savoia Aosta, Duca degli Abruzzi.
Come anticipavo, Luigi nacque a Madrid, terzogenito di Re Amedeo I e di Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna, in quegli anni turbolenti, infatti, le Cortes spagnole avevano offerto la corona iberica al di lui padre Amedeo di Savoia, figlio del Re Vittorio Emanuele II.
Sarà un regno tormentato e breve (appena tre anni), e Amedeo abdicherà nel febbraio del 1873, rientrando, poi, in Italia dove ritornerà Duca d'Aosta. Il giovane Luigi otterrà , così, il titolo di Duca degli Abruzzi, e come prassi in quell'epoca, riceverà una severa istruzione militare nella Regia Marina Italiana.
Le prime imprese: la montagna e il mare
Se il destino aveva concesso solo un posto come cadetto, il giovane Luigi Amedeo si sarebbe creato un suo ruolo nella storia. Infatti, fin da giovane si innamorò della montagna, passione coltivata in primis dalla Regina Margherita e dal suo tutore Francesco Denza, scienziato e frate barnabita.
Nel 1889, a soli sedici anni, il Duca degli Abruzzi compì la prima circumnavigazione del globo (nella sua vita ne compirà in totale tre). Tra il 1892 e il 1894 si cimenterà in numerose e impegnative ascensioni sulle Alpi, nel gruppo del Gran Paradiso, del Monte Rosa e nel Massiccio del Monte Bianco.
Inoltre, sempre alla ricerca di nuove avventure, conquisterà la vetta inviolata del Monte Saint Elias in Alaska (5.489 metri). Un'impresa titanica, segno di questo Principe-esploratore, dedito al coraggio e all'avventura, che ebbe a dire: «con la volontà , con il coraggio e con la perseveranza, l'uomo tutto può osare e volere anche quando ha contro di sé gli elementi più contrari della natura».
La grande impresa artica
Tra il 1899 e il 1900, a bordo della nave Stella Polare, compì la memorabile spedizione al Polo Nord. Impresa che porterà a toccare la massima latitudine artica raggiunta a quell'epoca, ovvero 86°, 33' e 49". Nella fredda calotta polare, il Duca, con una piccola Divina Commedia tascabile, porterà i versi del Sommo Poeta in cima al mondo.
Ritornato in Patria, ci saranno enormi festeggiamenti per la spedizione artica, con conferenze e un dettagliato resoconto. Il Duca racconterà all'Italia del Circolo Polare Artico, un luogo sconosciuto e inaccessibile, come in questo frammento tratto proprio dal memoriale della spedizione:
«Ma se le nostre condizioni non ci consentivano un grande divertimento, il pensiero che eravamo i primi Italiani a festeggiare in una latitudine così alta l’anniversario della nascita della nostra Regina, coi ricordi della Patria lontana, che in quella occasione si affollavano più vivaci alle nostre menti, bastava per infondere in tutti un’insolita allegria [...]
Quasi tutta la volta celeste era illuminata da cortine ondeggianti in tutti i sensi, alcune delle quali parevano a poca distanza dall’osservatore, mentre altre sembravano muoversi a considerevole altezza.
A greco, dietro la montagna ove sempre aveva origine l’aurora, il cielo pareva infocato come nel divampare di un incendio colossale (l'aurora boreale N. d R.) [...] I nostri sguardi si volgevano a settentrione, al di là della distesa d’acque libere, sui ghiacci lontani che dovevano pur troppo racchiudere le tombe del bravo Querini, del volenteroso Stokken e del fedele Ollier; tombe che mai ci sarà dato di conoscere, perché il mare Artico è geloso dei suoi segreti».
Le esplorazioni in Africa e in Asia
Nel 1906 sarà la volta della conquista e dell'esplorazione delle vette del Ruwenzori, in Africa, con il conseguente battesimo dei picchi innevati con i nomi familiari di Margherita, Umberto e Alessandra. Nel 1909, invece, tenterà il Karakorum, il Duca quasi riuscì a conquistare quella vetta, ma la carenza di ossigeno impedì il successo, che arriverà anni più tardi, sempre grazie ad una spedizione italiana. Ancora oggi esiste il percorso intitolato "Duca degli Abruzzi".
Dopo la prima guerra mondiale, che lo vide impegnato con la Regia Marina, il Duca continuò le esplorazioni africane. Partendo dalla Somalia, esplorò e risalì fino alle sorgenti i due principali fiumi locali: il Giuba e il Uebi Scebeli (fiume dei leopardi). Proprio in terra d'Africa, l'intrepido esploratore divenne pioniere e colonizzatore.
L'eredità del Duca degli Abruzzi in Somalia
Infatti, l'occhio attento di Luigi Amedeo intravide le potenzialità di quella terra; dal 1921 grazie ad intensi e alacri lavori di bonifica, dissodazione, canalizzazione e costruzione di dighe, strade, edifici, ospedali e altre infrastrutture industriali e civili, prese forma la sua visione. Circa 25.000 ettari di terreno, comprato agli indigeni, furono adeguatamente e saggiamente sfruttati.
La disponibilità d'acqua, saggiamente regolata da argini e canali, diede ben presto frutto, con produzione intensiva di: cotone, canna da zucchero, kapok, cocchi, sesamo, ricino e banane. Inoltre, Sua Altezza aveva previsto e stabilito una forma innovativa e pionieristica di contratto di lavoro di compartecipazione.
Sua Altezza, nel 1933 vide per l'ultima volta l'Italia, oramai malato ritornò in Somalia; a chi gli chiese di restare in Italia, il Duca rispose: «preferisco che intorno alla mia tomba s'intreccino le fantasie delle donne somale, piuttosto che le ipocrisie degli uomini civilizzati.»
Il Duca degli Abruzzi: un eroe dimenticato
Morirà il 18 marzo di quell'anno, e verrà tumulato come da sua volontà nel cimitero del villaggio da lui fondato. Il cippo di pietra diverrà meta di pellegrinaggio di questo grande uomo. Nonostante le avversità e le sfortune che attraversarono la Somalia, e ancora oggi ne minano la stabilità , l'esempio del Duca degli Abruzzi è unico e meraviglioso, come principe, esploratore, navigatore, pioniere e colonizzatore.
L'unica disdetta è che oggi questo gigante della nostra storia, che seppe incarnare lo spirito giovane e avventuroso di quell'Italia giovane e avventurosa, è pressoché sconosciuto agli italiani, ma per fortuna è ancora ricordato e rimpianto dai somali.
Alessio Benassi