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Il generale Bellomo: fucilato dagli inglesi dopo aver combattuto i nazisti

Camminando sull'isola di Nisida, nei pressi di Napoli, potreste trovarvi davanti un ulivo vicino cui è posta una lapide commemorativa, si tratta della lapide dedicata al generale Nicola Bellomo, colui che nel settembre 1943 si oppose, in armi, all'invasione tedesca di Bari per poi venire fucilato dagli inglesi.

 

Con l'intento di riportare alla luce questa storia avvenuta sul finire della Seconda guerra mondiale e, volutamente, dimenticata negli anni, vi racconterò in poche righe i fatti salienti della vita di Bellomo, dal trasferimento a Bari fino alla sua condanna a morte, decretata dalla corte marziale britannica.



Classe 1881, Nicola Bellomo prese parte alla Prima guerra mondiale con il grado di capitano d'artiglieria, ottenendo anche, a seguito di atti eroici, la Croce di Cavaliere dell'Ordine militare. Nel 1941, all'età di sessant'anni venne nuovamente richiamato in servizio e pertanto gli affidarono l'incarico di comandante del Presidio Militare di Bari. Poco dopo il suo arrivo, Bellomo dovette fare i conti con l'operazione militare britannica soprannominata Colossus.[1]


Sette ufficiali e una trentina di soldati del SAS britannico (special air service, unità di commando) vennero paracadutati, nella notte fra il 10 e l'11 febbraio, nella zona compresa tra Calitri e Rapone, con l'obiettivo di distruggere il ponte sul torrente Tràgino, considerato strategico dagli inglesi per mutilare lo sforzo bellico italiano. Riuscita l'operazione, il commando avrebbe dovuto solo dirigersi al sommergibile per l'evacuazione, ma ormai il Presidio di Bari era stato informato e la caccia ai sabotatori era iniziata.

 

Il compito di fare prigionieri i commandos spettava proprio a Bellomo e, grazie all'aiuto della popolazione civile e dei carabinieri, nel giro di poche ore tutti gli inglesi vennero catturati. Lo stesso Bellomo salvò i militari stranieri da un tentato linciaggio da parte della popolazione locale che, dopo l'omicidio di due civili e di un carabiniere, era pronta a farsi vendetta sulla pelle dei sabotatori. L'operazione inglese nel complesso fu un fallimento e la distruzione dell'obiettivo strategico da parte degli attaccanti non venne ritenuta dal comando italiano influente sull'andamento della guerra.

 

L'evento cruciale che segnò in modo indelebile la carriera e la vita del generale Bellomo avvenne nella notte del 30 novembre 1941 quando due ufficiali inglesi, prigionieri degli italiani, tentarono la fuga dal loro campo di detenzione per poi essere catturati solo poche ore dopo. Tornati nuovamente al campo, ad attenderli vi era il generale Bellomo che fece loro pressione affinché gli mostrassero i punti di fuga e indicassero eventuali traditori fra le file degli ufficiali italiani, come sospettava già da tempo il controspionaggio.

 

Fu in questo frangente che i due inglesi tentarono nuovamente di scappare, approfittando del buio e della distrazione di Bellomo e della sua scorta. Subito venne dato l'ordine di aprire il fuoco, quantomeno per tentare di bloccare la fuga e costringere i due prigionieri ad arrestarsi, ma nell'azione uno dei due inglesi fu colpito alla testa e l'altro ferito alla gamba. Chiaramente, a seguito di fatti del genere si tenne un'inchiesta, che venne affidata ai generali Luigi De Biase e al più noto, almeno per qualcuno, Enrico Adami Rossi.[2]

 

Dopo aver confrontato le testimonianze dei presenti, Bellomo per primo, seguito da quelle dei soldati della sua scorta, la commissione ritenne che il generale indagato avesse agito con coscienza, ordinando di aprire il fuoco solo dopo la fuga dei prigionieri e non con il chiaro intento di giustiziarli a sangue freddo. Non contento del verdetto, il governo britannico incaricò la Croce Rossa e la Delegazione svizzera di aprire una nuova inchiesta, ma anch'essa si concluse con le stesse considerazioni della precedente.

 

Una biografia più prolissa potrebbe sicuramente aiutare a comprendere meglio di quanto io possa mai fare la figura di Bellomo[3], ma è essenziale, avviandoci verso gli ultimi anni della sua vita, far notare come dopo l'8 settembre il generale sia rimasto fedele al Re, combattendo addirittura i tedeschi nei pressi di Bari e agevolando l'arrivo degli inglesi in città.[4] Egli rimase al suo posto di comando fino gennaio del 1944, quando all'improvviso la polizia britannica lo arrestò, prelevandolo dai suoi uffici con l'accusa di aver sparato o fatto sparare contro due ufficiali britannici, causando la morte di uno di essi e il ferimento dell'altro.

 

Per circa un anno Bellomo restò in campo di prigionia alleato fino a quando, nel giugno del '44, dopo una denuncia scritta e deposta dall'unico ufficiale inglese sopravvissuto ai fatti che lo coinvolsero nel '41, il generale venne deferito alla corte marziale britannica.

 

Le accuse erano quelle di aver sparato con la sua arma contro i prigionieri in fuga anche se lo stesso generale giurò, sia prima che dopo il processo, di non aver mai usato la sua arma in quell'occasione. A conferma di quanto detto dal generale, furono effettuate delle analisi e risultò che a uccidere un ufficiale inglese e ferirne un altro fu un colpo di fucile, e non di pistola, unica arma in dotazione a Bellomo.[5]

 

Il 28 luglio, nonostante le affermazioni di Bellomo fossero veritiere, o quantomeno più credibili delle accuse a lui mosse, fu emessa una condanna a morte con causale di crimini di guerra, che si sarebbe dovuta svolgere tramite fucilazione.

 

Gli aspetti controversi della vicenda sono molti; gli inglesi non solo insabbiarono alcune fasi del processo, ma addirittura si opposero e fecero il possibile affinché il generale Adami Rossi[6], prigioniero degli americani, non potesse partecipare al processo nel ruolo di testimone. Venne invece considerata come valida dalla corte marziale la testimonianza dell'ex prigioniero inglese, nonostante la sua versione dei fatti mutò più volte fino a contraddirsi.

 

Vittima probabilmente di una ritorsione infame[7], Bellomo cadde nel dimenticatoio fino ad anni recentissimi, quando il suo nome venne finalmente riabilitato dalle Forze Armate e in sua memoria fu posta una targa sull'isola di Nigida, proprio dove venne fucilato dagli alleati.

 

Diego Como


[1] Colossus fu la prima operazione aviotrasportata condotta dagli alleati durante la Seconda guerra mondiale, molto antecedente al più noto aviolancio delle truppe americane sulle coste della Normandia nel 1944. Per una panoramica divulgativa cfr. D. Lewis, SAS shadow raiders: the ultra-secret mission that changed the course of WW2, Quercus Publishing Plc, 2019.

[2] Adami Rossi, famoso per i fatti avvenuti a Torino nel luglio del 1943, quando, a seguito della caduta del Fascismo, il generale fece sparare sugli operai in sciopero, applicando le direttive imposte da Badoglio per il mantenimento dell'ordine pubblico.

[3] Per una biografia completa F. Pirro, Il generale Bellomo. Liberò Bari dai tedeschi, fu fucilato dagli inglesi, Palomar, 2004.

[4] Ivan Palermo, nel suo Storia di un armistizio, Mondadori, 1967, tratta  in maniera ampia tutte le forme di resistenza all'ex alleato tedesco, divenuto il nuovo nemico, a seguito dell'armistizio di settembre, compresa la difesa di Bari portata avanti da Bellomo.

[5] «Come risulta dai referti medici, sia Playne sia Cooke furono feriti da proiettili di fucile. E Bellomo e Sommavilla sempre che abbiano sparato, avevano solo la pistola.», Cfr. I. Palermo, Il caso Bellomo, in “Storia illustrata, n°157 pp. 82-83.

[6] «Bellomo aveva chiesto la testimonianza dei generali che avevano condotto l'inchiesta italiana: Adami-Rossi e De Biase. Il primo era prigioniero degli americani e non fu autorizzato a deporre», I. Palermo, Il caso Bellomo, Storia illustrata n°157, p.82.

[7] Il tema della lotta politica e dei contrasti fra Badoglio e Bellomo è ben approfondito nel libro di G. Di Giovanni, Bellomo: un delitto di Stato, Aldo Palazzi Editore, 1970.

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