Nel nostro immaginario collettivo la Polonia evoca principalmente una destinazione a basso costo a due ore dall’Italia, buona per fare festa con gli amici il weekend tra grigi palazzoni sovietici e bionde attraenti.
Alcuni potrebbero ipotizzare che i polacchi siano consapevoli della loro immagine di Paese povero, arretrato e in qualche modo ci speculino, a Varsavia sono molto popolari i tour comunisti della città sui celebri pulmini bukhanka.
Forse si, nel frattempo, però, dal suo ingresso nell’UE (2004), la capitale è diventata un centro finanziario vivace e moderno, il Paese ha raddoppiato il PIL, è una delle economie europee con una crescita in continua espansione, una politica interna solida e dalle chiare ambizioni bellicistiche.
Oggi, infatti, é uno dei membri del Patto Atlantico che investe di più in spese militari, quasi 30 miliardi di euro solo nel 2023 e punta a raddoppiare il numero dei suoi effettivi, ora a 65.000 unità. In questi anni, approfittando degli aiuti europei, ha potuto ricostruire da zero la propria economia e avviare una profonda ristrutturazione dell’esercito, con sistemi d’arma sempre più sofisticati.
Inoltre, è il più appassionato sostenitore della NATO in Europa ed è il partner preferito nella regione dagli Stati Uniti, dai quali acquista tutte le armi e i mezzi militari.
La costruzione di una difesa europea è totalmente fuori dai progetti dalla dottrina militare polacca, sia perché il Paese negli ultimi anni vive uno scontro ideologico e etico con Bruxelles (soprattutto in materia di diritti civili), sia perché il Paese è molto scettico sul concetto di integrazione europea e sulla qualità europea dell’industria bellica.
Provate a chiedere a un polacco oggi se si sente europeo, cosa ha in comune con uno spagnolo o con un olandese, la sua coscienza nazionale e i suoi valori, le risposte vi sorprenderanno. Se vi state chiedendo cosa ci faccia allora nell’Unione Europea, beh siete sulla strada giusta per porvi la prima di una serie di domande importanti.
La Polonia poi non si è eretta avamposto dell’Occidente sul fianco orientale a caso, la sua investitura arriva infatti da oltreoceano, né tantomeno è diventata paladina della causa ucraina all’improvviso solo dopo l’inizio della guerra nel febbraio 2022, ci sono ragioni storiche molto profonde oltre che un progetto politico definito.
Partiamo dal presupposto che i polacchi non solo odiano i russi, ma ne desiderano il totale annientamento e questo solo perché l’idea di conquistare la terra degli Zar l’hanno abbandonata 300 anni fa, dopo non pochi tentativi. Gli abitanti del Paese est-europeo sono tutt'ora fortemente convinti di essere sia eredi della Confederazione polacco-lituana, una delle realtà politiche e militari più estese d’Europa (fino al XVIII secolo), sia portatori della missione messianica di riunire i popoli slavi dell’Europa centrale e orientale.
Il supporto incondizionato all’Ucraina non ha alcun principio solidaristico, non è dettato né dalla vicinanza culturale né dalla vicinanza geografica, semplicemente anche i polacchi ne considerano una parte come di loro proprietà, parlo della Galizia, della quale rimpiangono ancora la perdita.
La futura invasione dell’Europa e il progetto putiniano di ricostituzione dell’URSS sono pura propaganda, neanche tanto originale, tutti i Paesi baltici hanno la psicosi da 30 anni di essere invasi da un momento all’altro quando un progetto così complesso non è neanche lontanamente presente nella strategia militare russa. Si tratta di un pretesto della Polonia per rafforzare sempre di più la propria posizione nell’area e poter, un giorno influenzare, i brandelli di ciò che resterà dell’Ucraina alla fine del conflitto.
Uno dei pilastri del nazionalismo polacco sopravvissuto ai giorni nostri è la teoria geopolitica del Międzymorze, o intermarium, del maresciallo Pilsudski che si propone di riunire le popolazioni slave dal Mar Baltico fino al Mar Nero (comprendendo anche Bielorussia e Ucraina) in una confederazione di stati, ovviamente sotto controllo polacco. Il progetto si presenta come una lotta di liberazione dei popoli di quelle regioni dall’invasore russo (e tedesco).
Peccato che già nel 1919 quel progetto “prometeico” di risveglio slavo fu un vero e proprio disastro, culminato in brutali guerre di aggressione durante le quali gli ucraini e i bielorussi scoprirono la maschera di una nuova minaccia, violenta esattamente come le altre, e la Polonia finì pure per perdere territori.
Gli Stati Uniti, tuttavia, hanno colto nelle ambizioni polacche un’opportunità. Questo mito sotterraneo è stato rivisitato prima dall’amministrazione Obama e poi realizzato da Donald Trump, che hanno spinto 12 paesi, membri sia dell’UE che della NATO, a costituire la Three Seas Initiative (Baltico, Adriatico, Nero). Idealmente un forum di collaborazione e coesione sul piano economico, tecnologico e culturale tra questi Paesi, molti dei quali appartenenti all’ex blocco sovietico, in pratica un “cordone sanitario”, in chiave antirussa, che nel
frattempo destabilizzi e spezzi in due il continente.
Mentre gli europei si considerano partner e alleati degli Stati Uniti, per loro, al contrario, oltre che vassalli rappresentano, esattamente come i russi, una minaccia da contenere in questo caso anche dal punto di vista economico e solo militare. Perciò, ogni tentativo di integrazione europea, a meno che non soddisfi l’agenda statunitense, deve essere ostacolato nel momento in cui metta in discussione l’esistenza stessa dell’alleanza atlantica, come nel caso dell’esercito europeo o l’egemonia economica del dollaro nei mercati.
Nel frattempo, grazie a questa piattaforma, Three Seas Initiative, gli USA si sono assicurati il posizionamento di basi e sistemi di difesa in tutto il confine, tra l’altro quasi a costo zero, perché i progetti sono a carico al 70% dei Paesi membri e della stessa UE, che, in un delirio tafazziano, anziché limitare o contrastare iniziative di collaborazione tra i suoi membri che ne destabilizzano le fondamenta, decide di suicidarsi finanziandole.
Per fare un esempio, il progetto Rail-2-Sea, di ammodernamento della rete ferroviaria che collega l’asse Gdansk-Constanta, è stato venduto come una grande opera per il trasporto pubblico, mentre in realtà si trattata di un’operazione per soddisfare le esigenze logistiche della macchina bellica americana, cosicché possa dislocare uomini e mezzi rapidamente in caso di scontro frontale con la Russia, il tutto sotto la direzione del proprio fidato alfiere, la Polonia.
Queste iniziative sono un processo lento e progressivo i cui effetti tuttavia diventeranno irreversibili, senza nessun costo umano, 100 anni dopo, la Polonia sta realizzando il suo sogno ideologico e mentre l’Europa si masturba, vendendo a se stessa le proprie buone intenzioni, l’ipocrisia della pace e di una fratellanza che esiste solo nelle stanze dei bottoni, i suoi stessi cosiddetti amici, nel frattempo, crescono e si armano e diventano sempre più pericolosi per l’esistenza stessa dell’Unione Europea.
Cesare Taddei