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Il progressismo contemporaneo: l’arte di vendere libertà fittizie

Negli ultimi anni la sinistra progressista, nella propaganda elettorale come nello sviluppo dei suoi movimenti giovanili, ha giocato le sue carte migliori nell’ergersi a portavoce delle battaglie per la libertà individuale soprattutto in termini di rivendicazioni per l’emancipazione femminile.

Pur da persona critica nei confronti di questa fazione politica, riconosco gli importanti traguardi che il progressismo ha conseguito per il raggiungimento della parità dei sessi come, ad esempio, il divorzio e il diritto di voto; tuttavia, sono convinto che l’orgoglio per queste conquiste sociali abbia fatto sì che alcune persone facenti parte di questa frangia politica si percepiscano come moralmente superiori. Più volte è capitato di sentire da parte di alcuni esponenti di movimenti di sinistra frasi come «noi siamo dalla parte giusta della storia» e i sostenitori di questi movimenti hanno interiorizzato questa presunta superiorità morale al punto che, quando si trattano determinate tematiche sociali, trovano quasi superfluo il dialogo con la loro controparte politica. Alcuni di queste tematiche sociali riguardano il campo della maternità e della sessualità della donna e sono la maternità surrogata, l’aborto e la prostituzione.


La prima criticità che presento riguarda il metodo con cui la sinistra tratta queste tematiche, mi preoccupa l’approccio superficiale con cui i progressisti fanno fronte a chi critica queste posizioni. Chi liquida ogni opposizione accusando chi la muove di essere retrogrado, sessista o bigotto, chi sostiene che soltanto le donne dovrebbero avere voce in capitolo su questi argomenti, chi sostituisce il dialogo a slogan vuoti e retorici quali «il corpo è mio e decido io». Tutti questi atteggiamenti non fanno che ostacolare il serio dibattito che ci dovrebbe essere alla base di questioni complesse e delicate come queste.


Lo scopo di questo articolo è evidenziare alcune incongruenze che i progressisti mostrano nel sostenere queste battaglie e analizzarle evitando il più possibile ogni pregiudizio morale.


Aborto


La prima tematica che mi sento di dover trattare è quella dell’aborto, tema che ha sempre generato molte discussioni ma che sembra negli ultimi anni esser diventato un tabù; infatti, i progressisti tendono a liquidare la questione sentenziando non solo che la scelta di abortire spetta unicamente alla donna e nessuno può mettere in discussione l’esito di tale scelta ma che anche la discussione su questo argomento deve essere ad appannaggio esclusivamente femminile. Bisogna però a mio avviso comprendere che la libertà che i progressisti cercano di difendere con tali posizioni non è una libertà autentica in quanto la scelta della donna in questi casi è molto spesso viziata da condizioni economiche svantaggiose che le impedirebbero di mantenere la prole. Dunque, si rischia di far passare come libera scelta individuale una decisione dettata dalle condizioni materiali in cui l’individuo in questione si trova.


Questo è un fattore di cui, a mio avviso, anche i conservatori dovrebbero tenere conto; evitando di accanirsi contro una donna che, se vivesse in condizioni più agiate, magari porterebbe a termine la gravidanza con gioia.


A prescindere da come la si pensa sull’aborto, il diritto per cui dovrebbe combattere la sinistra è quello di una scelta veramente libera; ma, a meno che non si emettano diverse ed importanti riforme economiche che riparino le giovani madri da delle dinamiche oppressive, questa libertà di scelta rimane tale solo per le donne economicamente benestanti. L’entità che queste battaglie mirano ad emancipare ha perso la sua dimensione di classe: viene conquistato un diritto che è tale solo per le donne borghesi non per il genere femminile tutto.


Già da questo primo punto trattato è possibile notare lo scollamento del progressismo dai principi materialisti che il marxismo aveva conferito alle battaglie progressiste del secolo scorso.


Prostituzione, pornografia e OnlyFans


Con la fondazione della piattaforma OnlyFans è tornato all’interno del dibattito mediatico il tema della prostituzione e con esso le battaglie di progressisti e di alcune frange femministe per la legalizzazione di tale pratica.


Il problema di fondo è però sempre lo stesso: si difende una presunta libertà attorno ad una scelta che è spesso dettata da condizioni economiche. Se anche io, come i progressisti, sono convinto che l’introduzione di una forma di prostituzione legale e regolamentata porterebbe probabilmente ad un miglioramento delle condizioni di vita delle prostitute, so però che non eliminerebbe comunque le dinamiche che portano una donna a scegliere tale strada perché in assenza di vie alternative per sostentarsi.


OnlyFans è entrato a far parte di tale dibattito in quanto si è dimostrato essere terreno fertile per lo svilupparsi di una forma di mercificazione della sessualità femminile; una mercificazione che, pur venendo spesso erroneamente equiparata alla prostituzione e alla pornografia, ha in realtà una forma più complessa e articolata ed è per questo che ritengo che il tema di OnlyFans richieda un ulteriore e più approfondita riflessione.


Quando si parla di mercificazione bisogna sempre domandarsi cosa viene reso merce, ossia: «chi paga, per cosa lo fa?». Il fruitore di OnlyFans non è in cerca di un rapporto sessuale, dato che l’interazione con la ragazza in questione avviene a distanza; e non è in cerca di una qualche forma di contenuto erotico, perché dovrebbe pagare per un qualcosa che potrebbe consumare sui siti pornografici in maniera completamente gratuita? La pornografia ha un meccanismo ben chiaro: nel consumatore nasce un desiderio, tale desiderio lo porta alla ricerca di un contenuto e, solo in seguito, eventualmente, si giunge alla persona che ha creato tale contenuto (il consumatore si informa sulla pornoattrice in questione). OnlyFans invece funziona all’inverso: il consumatore conosce la persona, solitamente sui social; nasce in lui un’attrazione e dunque il desiderio di raggiungere un’intimità con questa persona; e infine si giunge, tramite pagamento, al contenuto. Queste riflessioni sono fondamentali perché ci permettono di capire che l’entità oggetto di commercio in questo mercato è il rapporto di intimità tra due persone. Tale rapporto di intimità, inoltre, è doppiamente finto. È falso perché viene concesso da parte della content creator non per un interesse genuino nell’altra persona ma solo per un guadagno economico, ed è falso perché molto spesso le onlyfansers più famose, essendo per loro impossibile interagire singolarmente con migliaia di persone ogni giorno, pagano degli operatori per rispondere ai messaggi al posto loro. [1]


Spesso i fruitori dei contenuti di Only Fans sono giovani ragazzi con difficoltà relazionali che cercano un mezzo alternativo per giungere ad una situazione di intimità con una ragazza evitando la fatica del corteggiamento e la paura del rifiuto. Il successo di questo sito è, secondo me, dovuto al contesto sociale di solitudine e di vuoto relazionale in cui ci troviamo al giorno d’oggi. Spesso ci si aspetta che, essendo cresciuti nel confort e nel benessere generati dal progresso economico e tecnologico, i ragazzi delle generazioni moderne vivano felici e spensierati. Ma la realtà è diversa: infatti è proprio tra i millenials e i ragazzi della generazione z che si registra un picco di suicidi e di depressione causato da un livello molto alto di solitudine giovanile. [2] L’isolamento sociale diffuso tra i giovani ha portato a un aumento dell’astinenza sessuale soprattutto tra i maschi, con lo stigma ed il senso di inadeguatezza che essa comporta. È chiaro che, in un contesto del genere, un sito che permette di giungere direttamente ad un rapporto di intimità con una donna con il solo pagamento riscontri un enorme successo tra i giovani maschi.


Delle misure proibizioniste, in questo ambito, a mio avviso, oltre al fatto che rischierebbero di risultare più che altro come un imposizione moralista, sarebbero illiberali in quanto lo stato dovrebbe intervenire per chiudere un azienda privata (OnlyFans appunto); allo stesso modo, però, dato il livello di solitudine e fragilità emotiva che caratterizza i ragazzi delle nuove generazioni, non mi sento affatto di considerare il consumo dei contenuti di questa piattaforma come una scelta del tutto consapevole e slegata da ogni dinamica di disagio sociale e relazionale.


Quella che riguarda OnlyFans è una scelta doppiamente vincolata: dalla parte di chi fornisce il prodotto per via della possibilità di compiere tale scelta spinti da una condizione economica svantaggiosa; da parte del consumatore perché tale scelta di consumo può essere dovuta ad una condizione di disagio sociale e relazionale e può sfociare in una dipendenza patologica.


Maternità surrogata


Un altro argomento su cui la sinistra cade spesso in contraddizione è quello della maternità surrogata. Tema estremamente divisivo e polarizzante che va però trattato con opportuna attenzione discostandosi sia dal rifiuto lapidario di una destra che vede il tema come un tabù sia dalla rosea rappresentazione che il fronte progressista, ingenuamente, fa di questa pratica.


Gli oppositori della gestazione per altri la definiscono una mercificazione del corpo della donna, ma così facendo offrono ai progressisti una semplice scappatoia argomentativa: questi infatti replicano, giustamente, che, se una donna desidera mercificare una qualche parte del proprio corpo è libera di farlo indipendentemente dai giudizi altrui. Nella maternità surrogata però ad essere oggetto di mercificazione non è l’utero ma bensì il figlio che viene concepito dato che è lui il “prodotto” per cui l’acquirente sborsa il denaro. Ad essere oggetto di compravendita è dunque un essere umano o, meglio ancora, un rapporto umano, dato che ciò per cui il cliente paga è il rapporto di genitorialità. E proprio per il motivo che non è la donna a subire questo processo di mercificazione che trovo inopportuno sancire che sono solo le madri surrogate a poter definire giusta o sbagliata la gestazione per altri.


Su questo argomento l'allontanamento dei progressisti dalla loro base materialista è evidente: non si considera, infatti, la possibilità che una madre surrogata compia tale scelta per via di una sua condizione di povertà.


È importante inoltre osservare che, anche se si considerasse la gestazione per altri un diritto, questo sarebbe tale solo per le persone abbienti dato l'elevato compenso che la madre surrogata, giustamente, richiede; di conseguenza sarebbe da considerare, per utilizzare una terminologia marxista, un diritto borghese. Questi fatti mettono in luce come spesso le cause per cui combatte la sinistra nascondono delle dinamiche che inacutiscono il divario presente tra le classi sociali, quello stesso divario che teoricamente la sinistra dovrebbe puntare ad abbattere.


Libertà di e libertà da


«Non è la coscienza degli uomini che determina la loro vita, ma le condizioni della loro vita che ne determinano la coscienza», Karl Marx.


Questa citazione dovrebbe portarci a pensare che il fatto che la sinistra analizzi delle tematiche complesse senza tener conto delle condizioni materiali delle persone coinvolte denota un radicale mutamento di una fazione politica che ha tradito i propri fondamenti (il materialismo marxista) abbracciando delle versioni astratte dei concetti di emancipazione e libertà. Mi sento di osservare che il cambiamento radicale risiede in un concetto di emancipazione che non rappresenta più una “libertà da” ma unicamente una “libertà di”.


Dalla volontà di liberarsi dal capitalismo, dalla povertà dall’oppressione di classe si è passati alla volontà di ottenere una libertà di azione. Tali libertà di azione possono riguardare ad esempio la possibilità di vestirsi come si vuole, di amare chi si vuole, esprimere liberamente la propria identità personale; esempi di diritti elementari e fondamentali ai quali però vengono spesso associati, come ho trattato in questo articolo, anche questioni più delicate come la scelta di abortire o di prostituirsi. La prospettiva che intende la libertà unicamente come libertà di agire non tiene conto di molteplici variabili che condizionano le azioni umane: un bevitore è libero di consumare alcool ma non è libero da una potenziale dipendenza che potrebbe essere alla base di questa sua scelta, una prostituta è libera di prostituirsi ma non è libera da un’ipotetica condizione di povertà che potrebbe averla spinta a tale azione.


La visione secondo cui le scelte derivano dalla coscienza e la coscienza deriva dalle condizioni materiali è stata tradita da una sinistra che è divenuta venditrice di libertà fittizie e illusorie; una sinistra che si è fatta promotrice di battaglie che, mascherate da lotta di emancipazione, fungono da specchio per le allodole per distrarre dall’oppressione economica, un’oppressione che perdura e che è causa principale delle scelte di vita delle persone.


Alfio Varriano



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