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Il razzismo dei russi

Gli effetti della geostoria sull'inconscio nazionale e sulla la percezione di sé e della realtà



Recentemente, sono diventati virali su TikTok e Instagram alcuni video nei quali una seducente voce di sottofondo recita: «we are russians, the slavic nation with the richest culture». Chiamatelo marketing, paraculata (sono spesso riprese bionde avvenenti) ma la considerazione di sé come grande potenza militare, realtà culturale unica e speciale è qualcosa di profondamente insito nella mentalità russa, nonostante l’idea di culla dello slavismo di cui si fanno alfieri sia riduttiva e imprecisa. I russi non sono slavi, o meglio, non lo sono del tutto ed è una forzatura ideologica credere il contrario, tra l’altro l’esperienza della Ru’s di Kiev, ovvero la fase embrionale della Russia moderna, costituisce una piccola parentesi instabile nella loro complessa storia.


Se volessimo essere precisi, neanche la Serbia, la quale vanta una marcata identità etnica, potrebbe definirsi Patria degli slavi in virtù del suo passato ottomano, multietnico per definizione, e della regione della Vojvodina, ultimo baluardo dell’anima austro-ungarica dei Balcani.


Pertanto, tutte le teorie di purezza etnica alla Vannacci maniera fanno sorridere a meno che non si abbia un QI di 70. Soprattutto quando si tratta di investigare sulla genesi dei russi, il cui ceppo principale originario dell’Asia centrale, in oltre mille anni è stato "contaminato" dall’incontro con centinaia di popolazioni indoiraniche e ugrofinniche diverse. Per comprendere tuttavia la coscienza del loro sé nazionale bisogna puntare la lente d’ingrandimento più che sull’educazione in famiglia e la comunità, sulla scuola. Lì, infatti, ricevono l’impronta che ne influenzerà l’inconscio e non c’entra nulla la nostalgia dell’Unione Sovietica, questo retaggio ha radici molto più profonde. Potremmo, tentare un azzardo e localizzare peraltro l’inizio di questa strategia di condizionamento ideologico a partire dalla vittoria nella guerra patriottica contro Napoleone.


Grazie ai successi militari, al prestigio per il rapido sviluppo culturale e alla sofisticata corte di nobili, dvorjanstvo, l’Impero acquisisce una coscienza geopolitica solida e, nella seconda metà dell’Ottocento, sfruttando la capillare distribuzione del sistema d’istruzione, codifica l’impronta educativa esaltando le caratteristiche eroiche dei russi fino alla mitomania. Come tutte le potenze imperialiste, comprende infatti che non bastano le conquiste per consolidare il proprio dominio bensì è necessario investire nell’indottrinamento delle generazioni future affinché sviluppino il desiderio di immolarsi per la Patria.


La coscienza di sé imperiale si fondava proprio sui concetti di madrepatria, la quale si traduce tra le tante definizioni anche in otecestvo (dalla parola «otec», padre pertanto capostipite) e «obšcerusskij narod» ovvero una comunanza di un patrimonio culturale, linguistico, insomma un’identità collettiva, proprietà esclusiva però del ceppo etnico dominante dei Grandi Russi.


Aldo Ferrari ne La Foresta e la steppa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa descrive come il concetto di «prostantvo», spazio, abbia influenzato la psicologia della Russia zarista e di quella moderna, in cui le frontiere sono indefinibili in virtù della loro natura di civiltà più estesa al mondo. L’immensa prospettiva pianeggiante e la mancanza di punti di riferimento ne condiziona la psiche provocando sia un desiderio di velocità, per ridurre le distanze, che si traduce in una innata attitudine alle imprese coraggiose e nell’azzardo; sia a una profonda paranoia, il complesso di sentirsi sempre circondati da nemici pronti ad aggredirli. Questo spiega le ragioni delle molte conquiste dal Caucaso alla Crimea tentate durante la storia, spesso frutto più di una schizofrenia di Stato piuttosto che di strategia geopolitica.


Inoltre, nella semantica russa, nazionalità ha un significato molto più fluido rispetto all’idea europea, trincerata nei confini, essa è legata alla parentela e alla stirpen con distinzioni giuridiche nette. Secondo lo storico Andreas Kappeler, Centro e periferia nell’impero russo, durante lo «Carstvo», si era «rossiskij», sudditi fedeli del sovrano sacro, incluse le differenti etnie e «russkij», di nazionalità in quanto comunità etnico-linguistica. Tale impostazione è ripresa recentemente dal filosofo Alexsandr Dugin ne L’ultima guerra dell’isola-mondo, dove l’entità statale è la Federazione Russa, e non più l'Impero, ma l'impostazione permane.


In passato il ceppo predominante imponeva alle genti di stirpe non russa, «inorodcy», una limitazione nei diritti e nella vita quotidiana, mentre i Piccoli Russi (ucraini) e i Russi Bianchi (bielorussi) mantenevano i propri diritti politici anche se subivano pesanti discriminazioni per la loro condizione sociale (in maggioranza erano servi della gleba). Oggi il Paese non fa mistero della sua riluttanza riguardo gli immigrati, ai quali scoraggia il desiderio di ingresso e integrazione attraverso una rigidissima burocrazia, fortemente corrotta e dalle tempistiche bibliche; oltre a distinguere i cittadini di stirpe puramente russa e altri di origine mista.


Si tratta di una percezione della natura umana tipicamente asiatica. In Cina, Giappone, India le discriminazioni su base sociale ed etnica sono le fondamenta delle civiltà, si può quasi parlare di un razzismo istituzionale che non assume per niente l’accezione negativa occidentale. Al contrario, la diversità diventa un fattore determinante per distinguersi e per rispondere all’equazione appartenenza=partecipazione dove la discendenza definisce l’identità, i diritti costituiscono un privilegio ereditato e la libertà è un onere, da esercitare in funzione del ruolo di elemento parte di una comunità ben specifica, e non corrisponde all’egoismo di poter fare qualsiasi cosa si voglia, a discapito degli altri.


Mentre in Italia si reclama lo Ius soli, nell’isteria dei diritti per tutti e a tutti i costi, in Russia l’ottenimento della cittadinanza è cosa seria, un iter volutamente complesso che richiede diversi anni di residenza e lavoro dimostrabili, uno stato di salute impeccabile, vi è perfino un test selettivo di conoscenza della lingua e della cultura per il solo permesso di residenza permanente.


Il processo evolutivo dell'identità russa è stato talmente complesso che dell'insieme di queste considerazioni gli stessi russi sono spesso inconsapevoli, si tratta di fenomeni che hanno permeato in profondità il loro inconscio e sono parte della loro normalità.


Cesare Taddei

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