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Il testamento di Dominique Venner

Non come Catone, non come i granatieri di Carlo Magno, non come Drieu, non come questi uomini, nobili e tristi, che, sentendo il finire di un mondo, in vero ogni volta era la fine del mondo, sceglievano il suicidio per riaffermare, senza speranza, con la morte (nichilismo attivo), la libertà, l'ordine e il bello. Il colpo che la pistola di Venner esplose il 21 maggio di 11 anni fa non è l'eroico e tragico e disperato balzo del funambolo che ci racconta Zarathustra.


Venner è fratello di Yukio Mishima, di Jan Palach e di Alain Escoffier e, più recentemente, di Aaron Bushnell. Se è vero che, con Dávila, la provvidenza al reazionario ha donato la verità e non la vittoria in terra, è vero anche, sempre con Dávila, che in terra, nella lotta per il giusto, ci si salva l'anima.


Così Venner e i suoi compagni sono metafisici, e non individui eroico-tragici come i primi, così Dominique Venner, salvata la propria anima, si è donato la morte perché noi nuovi europei potessimo salvare la nostra.


Matteo Respinti



Di seguito la lettera che ha accompagnato il gesto di Dominique Venner

«Sono sano di corpo e di mente, e sono colmo d'amore per mia moglie e per i miei figli. Amo la vita e non mi aspetto nulla oltre di essa, se non il perpetuarsi della mia razza e del mio spirito. Tuttavia, al tramonto di questa vita, di fronte a pericoli immensi per la mia patria francese ed europea, sento il dovere di agire finché ne ho ancora la forza. Credo sia necessario sacrificarmi per rompere la letargia che ci opprime.


Offro ciò che resta della mia con un'intenzione di protesta e di fondazione. Scelgo un luogo altamente simbolico, la cattedrale di Notre-Dame di Parigi che rispetto e ammiro, essa che fu edificata dal genio dei miei avi su luoghi di culti più antichi, ricordando le nostre origini immemorabili.


Mentre tanti uomini si fanno schiavi della loro vita, il mio gesto incarna un'etica della volontà. Mi dò la morte per risvegliare le coscienze assopite. Mi ribello contro la fatalità. Mi ribello contro i veleni dell'anima e contro i desideri individuali invadenti che distruggono i nostri ancoraggi identitari e in particolare la famiglia, nucleo intimo della nostra civiltà multimillenaria. Mentre difendo l'identità di tutti i popoli nelle loro terre, mi ribello anche contro il crimine volto alla sostituzione delle nostre popolazioni.


Non potendo il discorso dominante uscire dalle sue ambiguità tossiche, spetta agli europei trarne le conseguenze. In mancanza di una religione identitaria a cui ancorarci, condividiamo fin da Omero una memoria propria, deposito di tutti i valori su cui rifondare la nostra futura rinascita in rottura con la metafisica dell'illimitato, fonte nefasta di tutte le derive moderne.


Chiedo perdono in anticipo a tutti coloro che la mia morte farà soffrire, e prima di tutto a mia moglie, ai miei figli e nipoti, nonché ai miei amici e fedeli. Ma, una volta svanito lo shock del dolore, non dubito che gli uni e gli altri comprenderanno il senso del mio gesto e trasformeranno il loro dolore in orgoglio. Spero che questi si consultino per durare. Troveranno nei miei scritti recenti la prefigurazione e la spiegazione del mio gesto».


In francese

«Je suis sain de corps et d'esprit, et suis comblé d'amour par ma femme et mes enfants. J'aime la vie et n'attend rien au-delà, sinon la perpétuation de ma race et de mon esprit. Pourtant, au soir de cette vie, devant des périls immenses pour ma patrie française et européenne, je me sens le devoir d'agir tant que j'en ai encore la force. Je crois nécessaire de me sacrifier pour rompre la léthargie qui nous accable.


J'offre ce qui me reste de vie dans une intention de protestation et de fondation. Je choisis un lieu hautement symbolique, la cathédrale Notre-Dame de Paris que je respecte et admire, elle qui fut édifiée par le génie de mes aïeux sur des lieux de cultes plus anciens, rappelant nos origines immémoriales.


Alors que tant d'hommes se font les esclaves de leur vie, mon geste incarne une éthique de la volonté. Je me donne la mort afin de réveiller les consciences assoupies. Je m'insurge contre la fatalité. Je m'insurge contre les poisons de l'âme et contre les désirs individuels envahissants qui détruisent nos ancrages identitaires et notamment la famille, socle intime de notre civilisation multimillénaire. Alors que je défends l'identité de tous les peuples chez eux, je m'insurge aussi contre le crime visant au remplacement de nos populations.


Le discours dominant ne pouvant sortir de ses ambiguïtés toxiques, il appartient aux Européens d'en tirer les conséquences. À défaut de posséder une religion identitaire à laquelle nous amarrer, nous avons en partage depuis Homère une mémoire propre, dépôt de toutes les valeurs sur lesquelles refonder notre future renaissance en rupture avec la métaphysique de l'illimité, source néfaste de toutes les dérives modernes.

Je demande pardon par avance à tous ceux que ma mort fera souffrir, et d'abord à ma femme, à mes enfants et petits-enfants, ainsi qu'à mes amis et fidèles. Mais, une fois estompé le choc de la douleur, je ne doute pas que les uns et les autres comprendront le sens de mon geste et transcenderont leur peine en fierté. Je souhaite que ceux-là se concertent pour durer. Ils trouveront dans mes écrits récents la préfiguration et l'explication de mon geste».


Dominique Venner

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