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IMI, breve storia degli Internati Militari Italiani

Seppur questo argomento sia stato troppo spesso strumentalizzato da entrambi gli schieramenti politici, è importante mantenere viva la memoria del sacrificio dei soldati italiani che, dopo l'8 settembre, vennero abbandonati al proprio destino e finirono deportati nei campi di concentramento dell'ex alleato tedesco.

Con la fuga dei vertici del governo badogliano e dello stesso Re verso i territori del Sud Italia, già in mano agli Alleati, la catena di comando dell'esercito venne interrotta lasciando così le nostre Forze Armate prive di qualsivoglia ordine o direttiva; bisognava attaccare i tedeschi? Resistere agli americani? Chi erano ora i nostri nemici?


Tutte domande la cui risposta non venne fornita, almeno non nei giorni immediatamente successivi all'infausta data dell’armistizio. Venne trasmesso un solo fonogramma replicante la seguente frase «Ad atti di forza reagire con atti di forza». Sicuramente un'allusione non troppo velata alla resistenza armata contro il sopraggiungere delle forze armate tedesche che, vedendo la resa dell'Italia come un pericolo, erano pronte a occupare la penisola onde evitare lo sfondamento del fronte da parte delle truppe angloamericane.


L'idea di fondo tedesca era quella di disarmare il Regio Esercito, per evitare ostilità, e occupare tutti i principali punti di comunicazione e tutte le posizioni difensive facendo si che l'Italia non potesse opporre resistenza contro il suo ex alleato o favorire il passaggio degli Alleati. Il risultato fu il quasi totale annientamento del Regio Esercito per mano delle forze armate tedesche, a partire dal '43, i soldati italiani disarmati furono circa un milione, di cui settecento mila deportati nei lager nazisti.


Vi sono però degli eventi in cui il fante italiano non si è chinato all'invasore tedesco ma anzi si è opposto alla sua venuta. Durante la difesa di Roma, oltre ottantamila italiani hanno combattuto e dato testa gli occupanti, anche con l'eroica partecipazione dei Granatieri di Sardegna, che si immolarono nel tentativo di impedire l'accesso straniero nella Capitale. Eventi simili si sono ripetuti in altre città italiane, ma non solo; la resistenza fu pure nelle isole greche come Cefalonia e Corfù. Mentre su quest'ultima isola i tedeschi vennero fatti prigionieri, a Cefalonia, gli italiani vennero trucidati per ordine diretto di Hitler. Le vittime italiane sull'isola furono dalle tremila alle cinquemila. Pochi furono i casi dove la resistenza armata ebbe effettivamente successo e la sorte dei soldati sopravvissuti fu l'internamento.


Di seguito, ho voluto inserire alcune testimonianze che miei cari amici si sono prestati a fornirmi riguardo dei loro parenti, alcuni fra gli IMI che sopravvissero ai campi nazisti.


“Umbertino”:


La prima è la storia di Umberto Lecchi, scritta direttamente da un suo nipote.


«Umberto, detto “Umbertino”, studente di architettura al Politecnico di Milano, classe ‘22, viene richiamato alle armi come sottotenente di complemento nel 1942, pur essendo figlio unico di madre vedova. Viene comandato alla caserma di Brescia per addestramento in fanteria.


L’ 8 settembre ‘43, come molti altri, viene colto di sorpresa dall’armistizio. Dopo tale data, nessuna notizia pervenne alla famiglia per diverse settimane. La madre, Rachele, parte per Brescia e lo cerca disperatamente; viene a sapere che diversi ufficiali erano stati fucilati sul posto e sepolti in una fossa comune adiacente alla caserma stessa. Disperata fa disseppellire i corpi e, pur nel momento tragico, comprende che il suo umbertino non era tra quelli. Dopo altre ricerche vane, riesce a capire che con ogni probabilità, Umberto era stato tradotto in un campo di detenzione in Germania, come migliaia di altri soldati che non avevano aderito alla repubblica sociale, probabilmente nel campo di Dachau. Umberto riesce a spedire un paio di lettere alla madre nel corso dell’anno e mezzo fino alla liberazione: lettere di disperazione e solitudine e fame.


All’epoca del suo rientro a casa, nel maggio ‘45 il povero umbertino era l’ombra di sé stesso pesando circa 45 chilogrammi dai 75 in origine! Molto faticosamente riesce a raccontare qualcosa della sua prigionia: era ai lavori forzati, seminudo anche d’inverno, mangiava brodo e bucce di patate.


Dei 30 che erano partiti con lui, sono tornati a casa vivi solo in due.


Umbertino riesce poi faticosamente a rifarsi un lavoro e una vita diventando architetto e sposandosi con la sua adorata Alda, con cui ha avuto il loro bellissimo bambino Carlo. Purtroppo la prigionia e gli stenti hanno presentato il conto finale, poiché sul finire della vita gli spettri degli aguzzini si sono ripresentati portandolo alla malattia e alla morte prematura.»


Questa prima testimonianza, per cui ringrazio ancora chi si è prestato a ricavarla dalla memoria familiare, è molto utile sia per capire le condizioni disumane che gli IMI hanno dovuto sopportare nei campi, sia per intuire lo stato d'animo dei parenti di quei soldati sbandati dopo l'8 settembre 1943.


A differenza della prima, questa testimonianza è giunta a me tramite documenti matricolari rilasciati dal Ministero della Difesa, che la famiglia del milite ha gelosamente custodito come ricordo.


Giovanni Antonio:


Il protagonista è l'artigliere Giovanni Antonio, nato nel giugno 1922 a Bonefro, Molise. Chiamato ad assolvere l'obbligo di leva nel 1942, Giovanni viene destinato al ruolo di artigliere. Nel maggio dello stesso anno è mandato in Russia, dove opera con la 3^ Batteria del I° Gruppo Mobilitato.


Ironia della sorte, l'8 settembre 1942, un anno esatto prima dell'armistizio, viene ferito in combattimento alla clavicola destra e alla gamba sinistra. Rimpatriato e trasportato presso l'Ospedale Militare ''Enrico Toti'' di Riccione, supererà le ferite e dopo un periodo di licenza di tre mesi sarà identificato come idoneo per tornare nell'Esercito.


Giunto l'8 settembre 1943, Giovanni è catturato dai tedeschi e deportato in Germania, ove vi rimarrà fino al 21 aprile del 1945. Dopo la liberazione dal campo, viene trattenuto dagli alleati fino a settembre. Per le gravi condizioni in cui reca è trasferito prima all'Ospedale Militare di Bari e successivamente in quello di Massafra, in provincia di Taranto. Il 4 gennaio del '46, riconosciuto inabile al servizio militare dopo i suoi trascorsi, viene finalmente congedato. Morirà poi il 12 novembre del 1964 preso una clinica di Firenze.


Online sono disponibili molte banche dati per ricercare informazioni sui propri parenti IMI, nate grazie ad un progetto di collaborazione italo-tedesco; questa è una delle tante e contiene notizie sui soldati italiani deceduti durante la prigionia in Germania https://alboimicaduti.it/index.php.


Consapevole di aver detto poco, forse troppo poco, invito i lettori ad approfondire la storia degli IMI poiché di testimonianze come le due da me riportate, ve ne sono migliaia.


Diego Como

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