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Intervista a Marco Alparone, Vicepresidente di Regione Lombardia

Marco Alparone Vicepresidente di Regione Lombardia, Assessore al Bilancio e Finanzia e farmacista, primo sindaco di centro destra nella storia di Paderno Dugnano nel 2009, riconfermato nel 2014. Due anni come ufficiale del corpo sanitario dell’Esercito Italiano.


Lei comincia la sua avventura politica con Forza Italia nel ’94, a 27 anni, come coordinatore del collegio 20, nel momento in cui Berlusconi esordisce nella politica italiana. Comincia la sua attività politica in un periodo molto caldo, determinato dal declino della Democrazia Cristiana, che fino a quel momento aveva dominato il panorama politico italiano e aveva costituito ogni governo della Prima Repubblica. Sempre in quegli anni si assiste alla nascita della Lega Nord e alla trasformazione dell’MSI, che un anno dopo sarebbe diventato Alleanza Nazionale. A cosa deve il suo ingresso in politica e cosa l’ha spinta a scendere in campo con il Cavaliere?


«Un lungo cammino di servizio. Mi fa anche piacere che voi lo ripercorriate perché io penso che l’impegno della politica nasca soprattutto da un desiderio, il desiderio di fare il proprio pezzo di servizio. A partire da che cosa? A partire dalla propria comunità. Non è tanto l’appartenenza, voglio dire, a un partito, quanto la voglia di provare a fare la propria parte. Il mio desiderio era questo: impegnarmi per la mia comunità e provare a fare qualcosa di bello per la mia città e quindi l’ingresso nella politica.


Perché poi c’è anche una scelta di campo. Indubbiamente, la mia scelta di campo è stata una scelta nell’ambito del servizio alla politica al mio Comune, nell’ambito del centro destra, perché mi riconoscevo in quegli ideali. In un periodo di trasformazione politica? Assolutamente sì. Erano dei territori governati dal centro sinistra: Paderno Dugnano, Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo… Territori che avevano una lunga storia di centro sinistra, direi più di sinistra che di centro sinistra.


Essere un giovanissimo consigliere di centro destra voleva dire provare a portare un messaggio nuovo. Il messaggio nuovo qual era? Mettere al centro il territorio, mettere al centro le persone, mettere al centro quella politica di servizio che facesse sentire quella comunità parte di un progetto politico. Abbiamo cominciato a impegnarci, a credere che potesse esserci un’alternativa politica. Siamo partiti, prima di tutto, costituendo una lista civica e confrontandoci con i partiti che allora c’erano.


Mi ricordo bene: c’era una Lega che stava cominciando a radicarsi sul territorio e c’era una storia legata già ad Alleanza Nazionale, era già avvenuto il passaggio di Fini, e poi c’erano tutta una serie di movimenti civici che abbiamo provato a raggruppare con un’idea. E da lì l’esperienza prima da Consigliere Comunale e poi la fortuna di fare il sindaco per dieci anni».


La sua carriera è ricca di successi e soddisfazioni, primo tra tutti essere stato eletto sindaco nel 2009 a Paderno-Dugnano, come dicevamo fu il primo sindaco di centro destra nella storia della città, con 2 mandati consecutivi. Nel 2018 viene eletto consigliere della Regione Lombardia con quasi 6000 preferenze per essere riconfermato nel 2023, con quasi 8000 voti, diventandone Vicepresidente. Quali sono i consigli e i segreti che suggerirebbe per chi volesse cimentarsi in politica?


«Prima di tutto deve essere una cosa che nasce da dentro: non è mai la politica di un io, ma è sempre la scelta di un noi. Sapete cosa mi piace molto dei movimenti e delle associazioni giovanili che hanno il coraggio dell’impegno della politica? Che non ragionano mai in termini di singoli bensì sempre in termini di gruppo e comunità. Questo è stato il progetto politico della mia vita.


Nella mia vita ho raccolto successi che non ho mai percepito come esclusivamente personali, li ho sempre sentiti come elementi del successo complessivo di un gruppo; di un gruppo di cui, a volte, sono stato l’attore principale, agendo in prima persona, e del quale ho sempre avvertito la responsabilità più che goderne il successo.


Perché poi, quando hai un gruppo di persone che credono in te e ti accompagnano in un cammino, a quel punto, quando raccogli anche un successo personale come un’elezione a sindaco, a consigliere regionale e finanche a vicepresidente di Regione Lombardia, hai il dovere di viverlo come il successo del gruppo che, insieme a te, ha costruito il progetto e, mi permetto di dire, ha portato avanti il suo successo.


Perché non è che si arriva insieme e si prosegue da soli, si arriva insieme e si continua a camminare insieme


Nel 2021, dopo 27 anni, abbandona Forza Italia per aderire a Fratelli d’Italia con il forte sostegno del presidente di partito, attualmente Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Nel suo discorso la Meloni ribadiva la necessità e l’importanza di rappresentanti competenti con un forte radicamento sul territorio. Di cosa fa tesoro della precedente esperienza e quali sono i suoi punti cardine, di riferimento e i personaggi dai quali prende esempio per la sua attività?


«Il motivo per cui l’ho fatto è perché ho conosciuto voi. Vi spiego perché, in parte, questa è la risposta giusta:


faccio tesoro di tutte le esperienze della vita, dall’essere stato amministratore comunale all’esperienza in Forza Italia, partito che è stato protagonista di un progetto e di una stagione nella quale molti di noi hanno sognato: un progetto di rivoluzione liberale che mettesse al centro la persona e la famiglia, con l’idea di un sistema paese che accompagnasse i territori e le persone e non imponesse loro le proprie scelte dall’alto.


Poi, è indubbio, nella vita politica ci sono gli incontri, e arrivo al motivo per cui ad un certo punto ho incontrato una persona, prima di tutto un leader, con il quale ho condiviso un progetto: quel leader si chiama Giorgia Meloni, con lei ho pensato che si potesse percorrere un cammino comune, un cammino di servizio e di responsabilità.


E poi ho incontrato la comunità urbana, ed ecco quel che vi ho detto prima: ho incontrato un gruppo, composto soprattutto di giovani, che credevano profondamente in questa appartenenza. Voi la chiamate “militanza, che è una parola che magari da chi vi guarda dall’esterno o da chi non vi conosce può fare anche un po’ di effetto, ma per voi “militanza” è senso di comunità. Questo è il significato profondo che rimane a chi ha avuto la fortuna di fare un pezzo di cammino insieme a voi e quindi è veramente la rappresentazione di quel “noi” e non dell’”io”. Questa è una differenza profonda che c’è tra un partito che era profondamente individualista, Forza Italia, e un partito che invece fonda la sua azione già nella militanza giovanile e che mette al centro la comunità, la comunità umana.


Allora penso che in tutte le fasi della vita tu ti possa arricchire di un pezzo, puoi dare il tuo contributo, quello che tu sei capace di dare, ma ti puoi anche arricchire del fatto che incontri persone che ti spiegano anche un modello diverso di fare politica che non è più basato sull’individualismo, ma è basato sulla militanza nel senso più bello del termine e che io ho provato a trasferire.»


Noi de Il Presente siamo l’editoriale della federazione milanese di Gioventù Nazionale, movimento giovanile di Fratelli d’Italia, il quale porta con sé la tradizione e l’esperienza prima del Fronte della Gioventù e successivamente di Azione Giovani. La campagna elettorale è stata velocissima, avvenuta in pieno inverno con ritmi impressionanti, tanti ragazzi che scrivono per noi hanno partecipato attivamente all’ultima campagna. Cosa le piacerebbe ricordare delle scorse elezioni?


«Io ne ho fatte tante nella vita: le ho fatte da consigliere comunale, da sindaco, per la città metropolitana, cinque anni fa per la Regione e poi quest’ultima campagna elettorale in cui, lo posso dire tranquillamente, l’ho detto anche prima, non mi sono mai sentito solo. Mi sono sentito sempre insieme a un gruppo di persone.


L’ho fatta anche, per dire, con una collega che è stata eletta insieme a me e con la quale abbiamo scelto di condurre una campagna elettorale in abbinata, l’ormai famoso slogan “Alparone-Valcepina Valcepina-Alparone” che, in realtà, non mai stato solo uno slogan elettorale. Era il tentativo di costruire un progetto elettorale alimentato, oltre che da noi due, dalle tante persone che, insieme a noi, hanno scelto di crederci.


Tante persone, tra le quali, è giusto dirlo, c’erano anche le due che oggi mi stanno intervistando; militanti che hanno fatto parte di quel progetto e che ora fanno parte del suo proseguimento: questo è il tema di aderire a Gioventù Nazionale, e questo è il tema che mi avete spiegato durante la campagna elettorale, perché non lo conoscevo, il sentirsi parte di un progetto. Ecco, io, a mia volta, spero di avervi fatto sentire parte di un progetto e spero che voi ve ne siate sentiti davvero parte non solo per quel che riguarda la campagna, ma soprattutto nell’accompagnarmi in questo periodo di grande responsabilità.


Poi, è ovvio, c’è un tema di tempi: in campagna elettorale siamo stati molto insieme, abbiamo girato piazze, mercati, siamo andati ovunque, abbiamo provato a raccontare non la mia storia, ma la nostra chiedendo alle persone di darci un consenso, una preferenza, di scrivere due cognomi, ed è sempre cosa difficile scrivere due cognomi. Una cosa è mettere una croce sul simbolo e una cosa è scrivere due cognomi.


E ora comincia il percorso più difficile, con responsabilità che sono enormi, ma forte del fatto che ho condiviso e continuo a condividere un percorso entusiasmante con persone che sono e saranno sempre pronte a mettere il proprio contributo a disposizione per la comunità.


Penso che questo sia il messaggio che deve arrivare a tutti quei giovani che vogliono impegnarsi in politica, non partite per arrivare da qualche parte, pensate di poter far parte di un progetto e alimentatelo; questo io mi sento di consigliarlo, anche se non ho più l’età per essere parte di Gioventù Nazionale, mi sento di consigliarlo perché vi ho conosciuto, ho conosciuto la ricchezza dei vostri valori che sono figli anche di una lunga tradizione, come sottolineavi nella domanda.


In voi ho trovato l’entusiasmo della partecipazione, ho conosciuto la competenza di persone che nel proprio percorso hanno naturalmente obbiettivi di vita personali, chi ad esempio è impegnato nello studio, ma che sanno che avere un obiettivo di vita non vuol dire non poter partecipare ad un progetto politico. Perché un progetto politico è servizio, poi, magari, la vita vi porterà su strade diverse, però si è partecipato a qualcosa che arricchisce profondamente.


È un’esperienza che io non conoscevo, ma che adesso mi permetto di dire è anche la mia esperienza, la militanza, quella di Gioventù Nazionale, quella di chi non indossa una maglietta per il piacere di indossarla, ma lo fa perché vuole sentirsi parte di un progetto che si chiama “Italia” e che vuole fare la sua parte per questo Paese.»


Prima delle ultime elezioni regionali non si dava per scontata la vittoria del centro destra, rivelatasi poi schiacciante con forte delusione per la Lista Moratti. La Lombardia, locomotiva d’Italia, è stata sotto i riflettori per ben tre anni a causa della gestione pandemica. Quali sono, o sono stati, i problemi della Regione e cosa cambierebbe ora che ricopre un ruolo così di spicco?


«Governare una Regione come la Lombardia, che è la più importante d’Italia e fra le più importanti a livello europeo, non vuol dire gestire i suoi successi, ma, piuttosto, significa avere la capacità di governare le difficoltà.


I lombardi sono molto pragmatici, non guardano i successi, guardano l’effettivo funzionamento della Regione che deve dare loro supporto e risposte; la nostra è una Regione che ha fatto tanto in momenti straordinariamente difficili e drammatici, l’ha fatto affrontando la complessità di quei momenti che tutti ricordiamo, l’ha fatto perché è una Regione profondamente solida nel suo tessuto e, mi permetto di dirlo, anche nel suo governo.


Questo è il motivo per cui abbiamo vinto di nuovo con una percentuale così alta: perché i lombardi hanno riconosciuto, pur nelle difficoltà, pur negli errori (perché governare vuol dire anche sbagliare qualcosa) che noi ci siamo sempre, che noi diamo tutto quello che abbiamo e che questa regione continua ad essere l’unica regione che può fare dell’Italia un grande paese all’interno di una Europa che sicuramente dovrebbe prestare più attenzione se vuole essere un’Europa dei territori.»


Nel 2017, dopo anni di discussioni, si è tenuto il referendum consultivo per l’autonomia di Lombardia e Veneto. A febbraio 2023 il Governo ha finalmente dato il “via libera” all’autonomia differenziata. Da assessore al Bilancio e alla Finanza, come fa la Lombardia a continuare a eccellere in Italia e in Europa? Ci sa spiegare meglio la questione dell’autonomia e l’evoluzione che essa avrà per la Regione?


«Autonomia, nel mio modo di pensare, vuol dire responsabilità, poi io sono un uomo dei numeri, e quindi, indubbiamente, c’è anche il tema della solidarietà nazionale. Vuol dire responsabilità, perché non vuol dire guadagnare magicamente maggiori risorse, ma avere la possibilità di utilizzarle meglio e questa possibilità porta con sé, inevitabilmente, un'altra parola: il merito.


Perché credo nella autonomia differenziata? Perché credo nella capacità che hanno le regioni, lo dico anche per gli enti locali, di essere più prossimi ai bisogni delle persone, perché sono gli amministratori più vicini, quelli che li conoscono meglio. Se per autonomia noi intendiamo una soluzione di responsabilità, e non un accaparramento di risorse, all’interno di un’unità nazionale in cui è indubbio che chi ha di più deve dare a chi ha di meno, ma dove tutti si assumono la responsabilità nel fare meglio, allora vuol dire che noi abbiamo fatto crescere questo paese con l’autonomia.


Quindi usciamo dalla logica delle risorse ed entriamo nella logica dei servizi, noi abbiamo bisogno di più autonomia perché abbiamo bisogno di far avvicinare chi governa e chi decide ai territori; e lo dobbiamo fare in base al merito: chi è più capace deve avere più autonomia per fare, chi è meno capace va aiutato, ma va anche giudicato, se non è all’altezza allora deve avere meno autonomia.»


Il suo campo di azione non si limita alla Lombardia, ma anche al dialogo con l’Unione Europea. In particolare, ha ricoperto il ruolo di Sottosegretario per la Delegazione di Bruxelles e Sistema dei Controlli ed è attualmente delegato per il coordinamento dei fondi Europei. In cosa consiste il dialogo tra Regione e Unione Europea?


«Non si costruisce un rapporto partendo dall’alto. L’Europa si costruisce partendo dai territori e partendo dal basso. È indubbio che sia un processo molto più complesso anche per l’Unione stessa, un’Unione che, mi permetto di dire, ha impostato in maniera molto burocratica la costruzione del progetto comunitario: l’ha fatto più con le regole che non con la capacità di condivisione e di fare emergere il meglio di ogni singolo Paese membro.


Io penso che il ruolo della Lombardia, anche in questo caso, sia un ruolo centrale: noi siamo costruttori di Europa, ma di una Europa che mette al centro le differenze, un’Europa che fa delle differenze di ogni singolo stato, mi permetto di dire, delle differenze di ogni singola regione, il suo elemento di eccellenza; non di un’Europa che vuole uniformare i paesi e che vuole uniformare le identità.


Abbiamo il compito di invertire la tendenza attuale, magari lo faremo l’anno prossimo attraverso un’Europa che sappia valorizzare i suoi stati membri, che sappia mettere al centro i suoi territori, che esca dalle regolamentazioni sterili e che entri in quello che forse è il suo vero futuro: un’Unione Europa che sia protagonista non solo nel nostro continente, ma che, partendo dagli stati e dalle regioni, possa essere un attore politico mondiale


A cura di Filippo Pagliuca

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