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Intervista a tutto campo a Daniele Capezzone

Ho chiacchierato con Daniele Capezzone, commentatore per La Verità, per le reti Mediaset e autore di libri, che noi de Il Presente ringraziamo vivamente per averci concesso quest’intervista.


È opinione comune che nelle università italiane domini la cultura di sinistra. La cultura di destra spesso e volentieri è minoritaria, c’è un modo secondo lei per invertire questa tendenza?


«Naturalmente non ho ricette, solo i matti sono convinti di avere soluzioni immediatamente applicabili per problemi antichi. Di certo vi invito a considerare due percorsi di soluzione: il primo è smettere di accettare ciò che accettabile non è: un conto è se le idee altrui si affermano per loro forza, altro conto è se le idee altrui si affermano per prepotenza, monopolio, esclusioni di idee diverse e per – diciamolo chiaramente – attitudine alla censura. Il secondo percorso di soluzione è questo: tutti coloro che hanno una cultura diversa da quella di sinistra e comunista devono smettere di avere una specie di sindrome di Stoccolma, quella per la quale quasi si subisce il fascino di chi ti sta trattando male. Smettiamola con complessi di inferiorità: i non comunisti sono maggioranza in questo Paese in tutte le fasce d’età, in tutte le aree geografiche e in tutte le situazioni sociali, ed è bene cominciare a comportarsi da chi minoranza non è più.»


A proposito, oggi vediamo tantissimi giovani impegnati politicamente, e in questo spiccano soprattutto i ragazzi di Ultima Generazione. Ora, al di là dei mezzi che loro usano per attirare l’attenzione (imbrattamenti di opere d’arte e monumenti, o sit–in nelle autostrade), noi giovani siamo veramente l’ultima generazione?


«Personalmente rifiuto la denominazione che si sono dati, e che di per sé mostra un’attitudine non razionale ma religiosa, nel senso non buono del termine. Dicono: «Dopo di noi, la fine del mondo, l’apocalisse, la Terra non ci sarà più!», ma è falso. Io penso che ogni visione ambientalista, che scelga queste esagerazioni apocalittiche per prima cosa metta a rischio esattamente la credibilità di ciò che invece desiderano portare all’attenzione degli altri. Mi è già capitato di ricordare che molti anni fa un vicepresidente americano – era il vicepresidente di Clinton, Al Gore – sosteneva che nel giro di pochi anni si sarebbe sciolta la calotta polare artica: si è sciolto lui, si è sciolto Clinton, si è sciolto Obama, tra un po’ si scioglierà Biden, e non si è sciolta la calotta polare artica. Partire già con questi presupposti da «Ragazzi, manca mezz’ora alla fine del mondo!» secondo me non è serio.

Dopo di che, anche qui, un paio di suggerimenti, uno sul lato sinistro: io non ne posso più – siamo ormai al terzo o quarto mese – di partecipare a dibattiti dove c’è sempre un esponente di sinistra (politica o intellettuale) che di fronte alle esagerazioni più clamorose di questi attivisti, che io chiamo eco-vandali, le giustifica dicendo «Eh ma che sarà mai un po’ di vernice lavabile!» o «Menomale che ci sono dei giovani che si mobilitano!», oppure ancora l’adesione all’argomento millenarista «Sta per succedere la fine del mondo!». Ecco, questi atteggiamenti della sinistra sono sbagliatissimi, perché poi dopo si svegliano quando vanno ad imbrattare Palazzo Vecchio a Firenze, ma li hanno “allevati” loro.


Sul lato “destro” consiglio anche qui di evitare un atteggiamento di sostanziale sudditanza, magari per gentilezza. C’è sempre un esponente di destra che comincia dicendo «Premesso che questi giovani hanno una preoccupazione giusta»; la preoccupazione ambientale è giusta, ma la preoccupazione apocalittica è sbagliata, e bisogna smetterla di partire giocando in difesa. Calcisticamente, se stai sempre dietro giocando in difesa, il gol lo prendi. Occorre giocare all’attacco e spiegare che quelle esagerazioni non hanno niente a che fare con la preoccupazione per l’ambiente e la vita intorno a noi che è propria di ogni essere umano pensante e propria anche di ogni buon conservatore. Un padre del conservatorismo politico di qualche secolo fa, Edmund Burke, sosteneva che la vita, la politica e la società sono progetti multigenerazionali: diceva che esiste un legame tra i morti, i viventi e i non ancora nati, e intendeva la vita, la politica e la società come un passaggio di testimone tra chi non c’è più, chi c’è adesso e chi ci sarà domani. Quindi è evidente che per un conservatore interessato a questa staffetta anche l’elemento dell’ambiente circostante è parte dell’eredità che dobbiamo custodire e consegnare, ma da qui a descrivere la fine del mondo imminente ce ne corre.


Tu non puoi sacrificare tutto sull’altare dell’ambiente: in un colpo solo decidi di distruggere geopoliticamente il tuo continente consegnando un vantaggio competitivo assoluto sulle materie prime alla Cina, di distruggere industrialmente una realtà in cui eri invece competitivo, di distruggere centinaia di migliaia di posti di lavoro e tutto questo lo fai allegramente come se si trattasse di aspetti marginali, e in nome di una vita futura tu stai distruggendo vita presente.»


Parliamo di politica europea. Come si è mosso il Presidente Meloni nell’ultimo Consiglio europeo, in tema di immigrazione e direttive “green”?


«Sul versante immigrazione Giorgia Meloni ha perfettamente ragione a rivendicare un suo successo che si è verificato non nell’ultimissimo Consiglio europeo, ma quello di febbraio. Lì Meloni ha effettivamente raccolto un successo ottenendo ciò che a molti suoi predecessori non era riuscito: loro si erano fatti imbrigliare dal dibattito fumoso sulla redistribuzione degli aventi diritto d’asilo. Com’è noto, gli aventi diritto d’asilo sono 8, 10 o 12 su 100 che arrivano, e per altro la redistribuzione non è stata mai realmente concessa dagli altri Paesi europei. Meloni a febbraio scorso ha ribaltato la prospettiva, dicendo che il problema non era la mera redistribuzione di una quota, e cioè degli aventi diritto d’asilo, ma la difesa dei confini esterni dell’Unione, e in particolare, con una menzione di specificità, dei confini marittimi, e questo è stato indubbiamente un successo. A partire da quel successo di febbraio, sarebbe a mio avviso dovere dell’Italia tutta - quindi non solo del Governo, ma pure delle opposizioni, se avessero atteggiamento patriottico, oppure dei media, se avessero un atteggiamento intellettualmente onesto - pretendere dall’Unione Europea comportamenti coerenti rispetto alle affermazioni fatte, come stanziamento di denaro per accordi con i Paesi da cui partono i migranti, azioni di pattugliamento, contrasto più forte agli scafisti, corridoi umanitari per chi il diritto d’asilo ce l’ha per davvero: tutti quanti dovremmo chiedere all’Unione Europea di trasformare le buone parole di febbraio in atti.


E invece cosa succede? Il Governo agisce in modo leale, cercando una soluzione europea, l’opposizione e i media sono quasi compiaciuti del fatto che l’Unione Europea, dopo avere scritto le parole giuste a febbraio, adesso sembri più esitante, e quindi il problema è che l’UE rischi di essere sempre più uguale a sé stessa: tende a non fare. Opinione mia: Meloni farà bene ancora per un po’ a cercare lealmente la soluzione europea, se però tra qualche settimana dovesse constatare che permane l’inerzia europea, l’Italia sarà completamente legittimata a svolgere da sé azioni dissuasive come fanno gli altri Paesi. Sugli altri temi invece (le auto e la casa) la mia opinione è che scegliendo il tempo giusto, a un certo punto l’Italia debba dire no.


Esistono anche a destra due scuole di pensiero: c’è chi dice di agire con realismo e gradualità, cercando di guadagnare tempo rispetto alle norme europee sbagliate e di fare una ragionevole politica di riduzione dei danni. Ammetto che questa scuola di pensiero ha degli argomenti, però mi convince meno. Più convincente è una seconda scuola di pensiero che dice che una volta partiti questi treni, non è più possibile fermarli. Quindi l’Italia, vale per la follia di imporre costose trasformazioni alle nostre case e per la messa al bando per i motori endotermici entro il 2035, deve dire che per noi queste cose non sono fattibili.»


Per quanto riguarda gli Stati Uniti, come vede le prossime elezioni presidenziali del 2024? Secondo lei sarà di nuovo Biden vs Trump?


«Dunque, un quadro più chiaro ce l’avremo tra maggio e giugno, quando sul lato democratico si capirà se, come oggi sembra, Biden vorrà davvero ricandidarsi. E, sia detto con molta franchezza, già oggi il Presidente americano non sembra al top delle sue performance psicofisiche. Aggiungi un altro anno per arrivare al 2024 e aggiungine altri ipotetici quattro, e hai una prospettiva che mi pare poco ragionevole.


Suggerisco a tutti un esercizio: nel 2012 Biden era vicepresidente di Obama. Sappiamo che quando si arriva alle elezioni ci sono tre dibattiti: il primo e il terzo sono fra i candidati presidenti, e il secondo è fra i candidati vicepresidenti. Nel 2012 Joe Biden, che allora era comunque abbastanza anziano, fece un faccia a faccia con il candidato vicepresidente dei Repubblicani, Paul Ryan, che aveva più o meno la metà dei suoi anni. Rivedendo oggi quel video, realisticamente ci troveremmo a condividere tutte le tesi di Ryan e non quelle di Biden, però dovremmo riconoscere che c’era un Biden vigoroso, un signore che, pur grande di età, sosteneva con forza e con efficacia le sue ragioni. Vedere oggi i video di Biden che saluta persone inesistenti, che legge tutto ciò che gli viene sottoposto, a volte legge anche «the end» alla fine del discorso, ti dà una certa sensazione…


Sul versante repubblicano, mentre parliamo in queste ore, Donald Trump sembra determinatissimo a candidarsi. Capiremo tra aprile e maggio se altre figure, in particolare il governatore della Florida De Santis, formalizzeranno la propria candidatura. Io temo che un’eventuale candidatura di Trump rischierebbe di fare un gran favore ai democratici, i quali, anziché dover fare i conti con il fallimento spettacolare del quadriennio di Biden e con il fallimento di tutti i dossier possibili (immigrazione, uscita dall’inflazione, contrasto ai problemi di ordine pubblico e altri), si ritroverebbero magicamente uniti contro il loro nemico e avrebbero la loro campagna già pronta.


Trump si trasformerebbe nella magica copertura delle divisioni democratiche. Resto convinto che la soluzione migliore sarebbe quella di un “trumpismo senza Trump”, cioè qualcuno che sappia farsi carico anche delle ragioni di cui Trump è stato campione negli anni passati, ma che esprima una maggiore proiezione verso il futuro: da questo punto di vista, il caso della Florida è di per sé la promessa di un’altra America possibile. Se si prendono oggi i dati della Florida si hanno i livelli più bassi di tassazione, i livelli più alti di crescita economica, casi di integrazione interetnica perfettamente riuscita, un’economia vibrante con imprese che si trasferiscono da altri Stati (a tasse alte): è un modello che andrebbe il più possibile allargato.»


Il prossimo grande appuntamento elettorale sono le europee 2024, ed è qualche tempo che si parla di alleanza fra i Conservatori e Riformisti del Presidente Meloni e i Popolari di Weber. Secondo lei la loro vittoria è uno scenario verosimile anche senza Identità e Democrazia? Cosa si aspetta?


«Sarebbe assai desiderabile dopo troppe legislature in cui le maggioranze in Europa (al Parlamento europeo e in Commissione europea) erano maggioranze ibride formate da socialisti, popolari, liberaldemocratici eccetera, che si realizzasse una campagna centrodestra contro centrosinistra: tutto ciò che aiuti a bipolarizzare la campagna, a evitare che pezzi di centrodestra continuino a collaborare con i socialisti e che invece crei uno schieramento vasto e coeso di centrodestra alternativo alla sinistra, e non solo. Metti in fila una serie di “se”: se effettivamente ci fosse questa alleanza ECR-PPE, se ECR e PPE si dichiarassero disponibili a collaborare con le altre forze di centrodestra, se – e questo mi pare probabile – in Italia il centrodestra avrà un’eccellente affermazione a partire da Fratelli d’Italia alle Europee del ’24, se contemporaneamente in Germania i cristiano-democratici della CDU saranno un po’ rivitalizzati dopo il periodo di opposizione al Governo Scholz, se in Spagna i Popolari e Vox – le forze alternative alla sinistra – avranno pure loro un successo…


Se tutti questi “se” si allineassero in modo positivo – e non è impossibile che questo accada – potrebbe verificarsi davvero un fatto storico: a quel punto, con una maggioranza di centrodestra al Parlamento europeo, è probabile che sia quella maggioranza a determinare la nuova linea della Commissione europea, e anche nel Consiglio Europeo si potrebbe avere un rapporto più equilibrato tra governi di centrodestra e governi di centrosinistra. Da questo punto di vista, la Meloni, sia per suoi meriti, sia per circostanze oggettive, rischia di trovarsi tra un anno in un ruolo assolutamente centrale, non sono in Italia ma a livello continentale. Può essere veramente una svolta, non sono elezioni come le altre: queste sono elezioni in cui si può cambiare il volto dell’Europa. Aggiungo un particolare (se posso, un suggerimento): tante volte ci siamo sentiti dire ad ogni livello che le alleanze, in politica, non si costruiscono a freddo, ma a caldo in una battaglia. A mio avviso, proprio le battaglie contro le eco-follie sull’auto e sulla casa potrebbero diventare l’occasione per rendere l’alleanza di centrodestra ECR-PPE non semplicemente un’alleanza fredda, ma calda, con l’obiettivo comune di cambiare questa Europa, rovesciare questi provvedimenti sbagliati e portare a casa dei risultati veri.»


Una sua riflessione su Giorgia Meloni e una su Elly Schlein?


«Per ciò che riguarda Elly Schlein, io non penso che ragionare solo in una logica di minoranza, di somma di battaglie di minoranza, e addirittura di battaglie di minoranza fatte con una logica minoritaria, quindi particolarmente settaria, aggressiva e rancorosa, ecco… non mi sembra quello il modo di costruire una maggioranza. Mi pare che l’esperimento della Schlein, anche quando dal suo punto di vista avesse il miglior esito possibile per lei, sia un esperimento che può provare a recuperare un po’ di voti perduti a sinistra, ma mi sembra una strategia totalmente non in grado di rivolgersi a un altro pezzo di Paese.


Per quanto riguarda invece Giorgia Meloni, mi permetto un piccolo suggerimento costruttivo: non ascolti le critiche da sinistra che sono irricevibili e molto spesso irrazionali, pregiudiziali e pretestuose. La sua unica ossessione deve essere quella di non deludere i suoi elettori nel medio termine: la sua ossessione positiva dev’essere quella di domandarsi che cosa può fare in due/tre anni sull’immigrazione, sull’ordine pubblico, sulle tasse, sul presidenzialismo e sulla giustizia per non deludere chi l’ha votata per queste cose. Intendo dire che lei non sarà sfidata credibilmente dai suoi avversari, ma l’unica sfida che le deve importare è – ad esempio sui cinque temi che ho citato – è la sfida per non deludere la mezza Italia che già l’ha votata. Lo traduco in termini ancora più semplici: la gran parte delle critiche che lei riceve sui giornali cosiddetti mainstream, non sfiorano nemmeno l’opinione dell’elettore di centrodestra, che ha tutt’altra preoccupazione e tutt’altro orientamento. L’elettore di centrodestra oggi giustamente è a supporto della Meloni, è contento di averla votata, e anche un pezzetto di elettorato in più che il 25 settembre non aveva votato per le forze di centrodestra guarda con simpatia e con speranza. Adesso la Meloni ha quattro anni e mezzo, fino a fine legislatura, per non deludere questa mezza Italia: questa dev’essere la preoccupazione, non avere gli applausi degli editorialisti che tanto la odieranno comunque.»


L’ultima domanda è un po’ particolare. Il Presente è l’editoriale della federazione milanese di Gioventù Nazionale, del quale io e altri ragazzi e ragazze siamo fieri militanti. Lei però viene da una tradizione un po’ diversa: ha militato prima nei Radicali e poi nel Popolo della Libertà. Cosa raccoglie oggi da quelle esperienze?


«Riporto la mia esperienza da portavoce del Popolo della Libertà: una convinzione che mi porto dietro è che so bene che anche nell’attuale centrodestra ci sono opinioni molto differenti sulla prospettiva – diciamo così – di un partito unico, di un partito conservatore sul modello britannico o di un partito repubblicano sul modello americano.


Ci sono alcuni favorevoli, altri orgogliosamente contrari a sostegno dei tre partiti della coalizione, ognuno con la propria identità che non può essere confusa con le altre. Io rispetto profondamente l’una e l’altra opinione. Segnalo però che tra gli elettori che votano centrodestra, tante differenze non sono così avvertite, o se vuoi: ci sono degli elettori che hanno un legittimo orgoglio di partito, ma tra questi tre tipi di elettori non c’è ostilità reciproca, non troverai mai uno che dice «Ho votato Fratelli d’Italia ma detesto Lega e Forza Italia» o viceversa. Intendo dire che mentre tra gli elettori di sinistra c’è grande divisione, tra quelli di centrodestra c’è un’enorme compatibilità, e tutte le cose che ci siamo detti in quest’intervista su contrarietà alle follie europee, politiche rigorose sull’immigrazione, sull’ordine pubblico, abbassamento delle tasse, sono cose che uniscono in modo assoluto gli elettori di centrodestra.


Aggiungo un ulteriore elemento: che a Fratelli d’Italia piaccia o no, proprio il vostro spettacolare successo e questo risultato al 30%, che secondo me potrà solo crescere verso le elezioni europee del 2024, vi rende oggettivamente già il luogo del partito unico dal punto di vista del sentimento di tanti che vi votano, e che lo fanno non avendo tutti una storia che viene dal Movimento Sociale, o da Alleanza Nazionale o dai primi anni di vita di Fratelli d’Italia. Arrivo al suggerimento: sia in un futuro assetto da partito unico, sia oggi in un assetto a tre partiti con uno particolarmente grande come Fratelli d’Italia, non abbiate paura di quello che nella migliore tradizione repubblicana e americana viene chiamato fusionismo, cioè avere dentro culture e sensibilità diverse, luoghi di elaborazione che si possono manifestare in tanti modi, attraverso riviste, centri studi, associazioni, fondazioni… ci saranno quelli più orientati verso una destra tradizionale, ci saranno quelli un po’ più di destra sociale, ci saranno quelli un po’ più pro mercato con gusti come i miei molto liberisti e libertari insieme: tutte queste realtà possono tranquillamente convivere attraverso una vivace e, in ultima analisi, corroborante gara di idee, e attraverso la sintesi politica di una leader forte e autorevole come Giorgia Meloni. Questo è il messaggio: sia in un assetto tripartito a destra, sia in futuro, se mai accadrà, in un assetto da partito repubblicano o conservatore, non abbiate paura delle differenze culturali e di un po’ di fusionismo. È non solo normale, ma benefico che ci siano storie, culture e libri diversi. Non preoccupiamoci mai di chi ha letto qualche libro diverso dai propri: preoccupiamoci di chi non ne ha mai letto nessuno.


Mettiamola così: il Popolo della Libertà era un’idea buona, perché partiva esattamente da quel presupposto là: gli elettori sono uniti pur nelle loro differenze, anzi, le differenze culturali di tanti elettori di centrodestra non li rendono affatto incompatibili tra loro. L’errore è stato nel fatto che per quegli anni le leadership di Forza Italia e di Alleanza Nazionale non ci hanno creduto davvero, ragionarono troppo in termini di quote e non seppero creare meccanismi di competizione positiva delle idee. Se non si commettono questi tre errori e le differenze si fanno vivere in modo equilibrato e in modo intelligentemente competitivo, è solo un bene.»


Alessandro Scimè


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