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L’attacco alla famiglia: complotto o realtà?

«Tutto sarà famiglia e dunque nulla più sarà famiglia»

È con queste parole che l’ex senatore leghista Simone Pillon, nel video presentazione del suo libro Manuale di resistenza al pensiero unico, denuncia la presunta volontà dei progressisti e degli attivisti woke di distruggere il concetto di famiglia.



Questa sua preoccupazione è fondata? Siamo veramente agli inizi di un’era in cui le famiglie scompariranno gradualmente? Questa scomparsa avverrà per mano degli attivisti Lgbt? Cercheremo ora una risposta a tali quesiti evidenziando alcuni elementi di cui non si tiene mai conto quando si tratta questo argomento.


La destra e la famiglia:


Spesso da parte degli esponenti dei partiti di destra si sente dire che la sinistra sta cercando di cancellare il concetto di famiglia, questo deriva principalmente da due fattori: il primo è la convinzione che uno dei fondamenti dell’ideologia comunista sia proprio l’eliminazione della famiglia tradizionale, il secondo motivo è l’avanzamento di determinate misure per il riconoscimento dei diritti lgbt, come ad esempio le unioni civili e le adozioni gay.


Sul primo fattore la destra ha parzialmente ragione. Nel Manifesto del Partito Comunista Marx ed Engels raffigurano la famiglia tradizionale come un costrutto sociale, ad opera della morale della classe dominante, volto a giustificare l’istituto dell’eredità come mezzo per il mantenimento della proprietà privata all’interno di una cerchia ristretta. È falso però affermare che Marx ed Engels mirino a distruggere la famiglia in sé, mentre è più corretto affermare che ne prevedono la scomparsa naturale con l’eliminazione dell’eredità, che ne rappresenta il fondamento materiale; l’abolizione dell’eredità è infatti uno dei punti programmatici per la realizzazione di una società comunista esposti nel Manifesto.


Per quanto riguarda le battaglie degli attivisti lgbt, io credo che le posizioni dei conservatori, che permeano questo editoriale, non siano sempre condivisibili: le unioni civili e le adozioni gay non distruggono ne alterano il concetto di famiglia. Una famiglia è autentica quando si basa sull’amore e sui principi di rispetto e fedeltà, queste sono le fondamenta di una famiglia, e tali fondamenta possono essere rispettate sia da una coppia eterosessuale sia da una coppia omosessuale che adotta un bambino.


La pratica della maternità surrogata, anche questa criticata aspramente dai conservatori, è un argomento a sé stante, che non è direttamente collegato con il tema delle famiglie omogenitoriali, e dunque non lo tratterò in questo articolo.


Le posizioni dei conservatori in opposizione alle unioni civili e alle famiglie arcobaleno sono troppo spesso viziate da ideologie o pregiudizi religiosi.


La famiglia come diritto:


La pratica delle adozioni omosessuali, che, come ho già chiarito, è assolutamente lecita, ha però portato a un cambiamento radicale del modo in cui vengono concepite le adozioni: al giorno d’oggi sembra quasi che il loro scopo non sia garantire dei genitori a ogni bambino, ma bensì garantire un figlio a ogni adulto.


È fondamentale comprendere questo punto: avere dei genitori è un diritto, essere genitori è un desiderio, lo Stato deve tutelare i diritti delle persone non i loro desideri. Ed è proprio nel fatto di considerare la creazione di una propria famiglia come un diritto individuale che io scorgo il vero attacco alla famiglia.


L’eliminazione di una disuguaglianza è qualcosa che non coincide sempre con l’estensione di un diritto: permettere, giustamente, a ogni coppia di accedere alle adozioni, a prescindere dal fatto che si tratti di una coppia eterosessuale o omosessuale, non rende la genitorialità un diritto di una coppia.

 

La famiglia e lo Stato:


Il cambio di prospettiva, che sta portando la società a considerare la genitorialità un diritto dell’adulto, potrebbe far dimenticare il fatto che essere genitore comporti grandi sacrifici e responsabilità. La creazione di un nucleo famigliare sta lentamente iniziando a venir concepita come un mero soddisfacimento di un desiderio individualistico, stiamo insomma dimenticando il fatto che diventare genitori significa costruire delle relazioni con degli esseri umani, sui quali abbiamo un enorme responsabilità e nei confronti dei quali siamo tenuti a sacrificare tempo, energie e risorse.


In una società dove molti genitori non sono più in grado di svolgere il loro ruolo educativo al meglio, o non comprendono gli importanti doveri che tale ruolo comporta, è molto probabile che, poco alla volta, le famiglie inizino a delegare completamente l’educazione dei figli allo Stato, alla scuola o ad altre istituzioni.


Ne è un esempio ciò che è successo in seguito al recente omicidio di Giulia Cecchetin: la sinistra ha avanzato con furore la proposta di inserire l’educazione sessuale e sentimentale all’interno delle scuole con il fine di educare le persone al rispetto e al consenso.


Tale proposta non va bocciata per partito preso, però, questo tipo di “educazioni palliative” dovrebbero essere sempre facoltative. Questioni come la scoperta della propria sessualità e il rispetto delle altre persone e del loro corpo costituiscono una parte dell’educazione che deve essere impartita dai genitori con le modalità e con i tempi che ritengo opportuni.


L’attacco alla famiglia consiste, da questo punto di vista, in un’educazione che cessa di essere privata e famigliare per divenire collettiva e statale.


Se i genitori non sono più in grado di accompagnare i figli nella scoperta di sé stessi e di insegnare loro a rispettare il prossimo, forse stiamo realmente assistendo alla morte della famiglia e la sostituzione da parte dello Stato nell’educazione dei bambini non fa che accelerare la disgregazione del ruolo della famiglia stessa.


L’attacco materiale alla famiglia:


La sinistra moderna ha identificato nel concetto di famiglia, tradizionalmente inteso, un nemico della libertà femminile, tale modello famigliare, infatti, in passato ha troppo spesso relegato la donna agli unici ruoli di madre e di moglie ubbidiente. Il progressismo ha dunque fatto dell’emancipazione della donna uno strumento per contrapporsi alla destra conservatrice; tale posizione, nella storia, ha certamente permesso alla donna di ottenere delle importanti libertà, ma in tempi moderni sembra aver assunto le sembianze di un rifiuto puramente ideologico dalla figura della madre di famiglia.


Bisognerebbe analizzare il cambiamento del ruolo della donna nella società adottando un’analisi più materialistica, mettendo cioè parzialmente in secondo piano gli aspetti più strettamente culturali.


Ciò che bisognerebbe considerare è che l’essere umano agisce nella società adeguandosi alle condizioni materiali in cui si ritrova e cercando il modo migliore di garantire la propria sopravvivenza, ciò significa che anche la decisione di procreare o meno è spesso volta a rispondere a necessita concrete. Quando i conservatori ricordano con nostalgia tempi passati in cui le famiglie erano molto numerose dimenticano che spesso la decisione di figliare abbondantemente derivasse dal fatto che avere un maggior numero di braccia in casa era fondamentale per garantire il sostentamento della famiglia.


Nel periodo storico in cui viviamo oggi le cose sono significativamente diverse, per un giovane l’inserimento nel mondo del lavoro si è fatto sempre più tardivo, con la conseguenza che per una coppia di adulti la prole non corrisponde più a una maggiore forza lavoro tra le mura domestiche, ma ad una maggiore spesa per il suo mantenimento. Tutto ciò appare evidente soprattutto considerando le condizioni lavorative sempre più precarie che caratterizzano il nostro Paese: in Italia il tasso di occupazione giovanile è del 68%, i salari non crescono da circa trent’anni e nel 2022 solo un’assunzione su 6 è avvenuta con un contratto a tempo indeterminato.


Nei tempi passati, in cui si figliava per sopravvivere a una condizione di vita misera generando persone che avrebbero a loro volta condotto una vita misera, il rigetto della genitorialità e del concetto di famiglia poteva costituire un gesto sovversivo verso i correnti rapporti di forza nella società.


Il problema è che tale rigetto, da un punto di vista ideologico, ha mantenuto il suo fascino ribelle fino ai tempi odierni in cui, però, sono le condizioni economiche stesse ad impedire materialmente a molti lavoratori di mettere al mondo dei figli. Nel 2023 il ripudio dei concetti di famiglia e maternità, attuato spesso da esponenti convinti di assumere una posizione controcorrente, assume ironicamente le sembianze di un grottesco elogio di una condizione di precarietà economica.


Si è passati da una società che costringeva la donna a diventare madre ad una società che costringe la donna a rinunciare a diventare madre. Ciò che dovrebbe far riflettere è che la seconda costrizione sta venendo fatta passare come una conquista libertaria.


La morale antinatalista:


La problematicità dell’analisi che la sinistra fa del ruolo della famiglia nella società risiede nel fatto che tale analisi è riducibile a una critica della cultura patriarcale e a una dichiarata intenzione di abbattere il modello culturale per cui una donna deve sempre rivestire il ruolo di madre di famiglia.


È un’analisi incompleta perché non tiene conto del fatto che la cultura vigente in un dato periodo storico è spesso il prodotto delle condizioni materiali caratteristiche di quel periodo storico, molti elementi culturali di una determinata civiltà spesso non sono che la giustificazione morale di un’azione mirata ad un interesse concreto.


Chi promuove un’ideologia non riconosce mai se stesso come ideologizzato ed è per questo motivo che chi avanza una critica tout court al concetto di famiglia addita i conservatori come persone di mente chiusa, ma è incapace di comprendere come anche il suo pensiero sia frutto di costrutti sociali generati dalle condizioni socio-economiche del proprio tempo: esattamente come una società in cui fare figli portava a un vantaggio materiale ha prodotto una cultura dominante che eleva il ruolo di madre, una società in cui essere genitori ha un costo elevato ha prodotto una cultura antinatalista.


Tale cultura trova terreno fertile nel moderno panorama culturale progressista: ne sono un esempio le frange femministe, ma anche alcuni movimenti ambientalisti, i quali vedono nella sovrappopolazione una delle cause principali del cambiamento climatico.


L’emancipazione e la gravidanza high-tech:


Come abbiamo detto, il femminismo moderno ripudia l’idea tradizionale di famiglia in quanto valorizzava la donna solo nel suo ruolo di madre e di moglie ubbidiente. Il rischio di questo ripudio è però quello di gettare il bambino con l’acqua sporca: si rischia, cioè, che questa comprensibile rabbia verso una cultura che ha marginalizzato la figura femminile sfoci nel concepire la maternità in sé come un fardello, concezione alimentata dalla crescente sensibilità su come la maternità ostacoli spesso la donna anche dal punto di vista lavorativo.


Recentemente è emersa la notizia di uno stupefacente esperimento condotto dall’ospedale di Philadelphia: degli scienziati sono riusciti a far nascere un agnellino da una bio-bag, ossia da una borsa di plastica contenente del liquido amniotico alimentata attraverso il cordone ombelicale. Questi scienziati sostengono che presto sarà possibile replicare ciò anche con gli esseri umani. [1]


È già possibile far crescere un embrione in vitro e tenerlo fuori dall’utero materno per 2 settimane salvo poi impiantarlo nell’utero e, successivamente, spostarlo nella bio-bag; il periodo in cui l’embrione dovrebbe stare nell’ utero è al momento di 20 settimane, ma si sta accorciando sempre di più, al punto in cui sarà presto possibile inserire l’embrione nella bio-bag subito dopo averlo generato in vitro. Questa innovazione potrebbe portare a enormi vantaggi come il contrasto al calo demografico e la liberazione delle donne dalla gravidanza come esperienza fisica rischiosa e dolorosa e come ostacolo nel percorso lavorativo e professionale.


Ma tutto questo non ci priverà di qualcosa di estremamente prezioso? Non è forse la capacità di generare una vita che accomuna tutti gli esseri umani e, in generale, tutti gli esseri viventi? Non ci stiamo forse privando di ciò che sta alla base non solo della nostra umanità ma anche della nostra stessa vita?


Se da una parte, come ho già detto, questa innovazione tecnologica, eliminando l’ostacolo della maternità, permetterebbe alle donne di raggiungere un maggiore potere economico, eliminando forti disuguaglianze ancora presenti nel mondo del lavoro, dall’altra contiene in sé un duplice attacco al concetto di famiglia.


In primo luogo, perché separa la genitorialità dal concetto di sacrificio, come ho scritto nei primi paragrafi la creazione di una famiglia sta iniziando a venir concepita come un diritto individuale che lo Stato deve assicurare a ogni adulto e in più l’adulto pretende spesso che lo stato si sostituisca a lui nel ruolo educativo, a tutto ciò si collega la volontà di eliminare la gravidanza in quanto esperienza dolorosa e dannosa per la propria carriera.


Quanto descritto sembra scaturire da un’idea distorta di famiglia che porta a eliminare tutto ciò che, nella creazione di un nucleo famigliare, richiede fatica, sacrificio e responsabilità; un’idea che riduce la creazione di una famiglia a un mero atto di realizzazione personale e di soddisfacimento di un desiderio individuale. La famiglia sarà sempre un connubio di gioia e dolore, sacrifici e orgoglio, amore e pazienza.


In secondo luogo, la gravidanza ha un enorme valore per il suo consistere in un contatto diretto con una vita nascente.


La lotta contro la disuguaglianza di genere ha portato a cercarne la radice nelle differenze naturali tra uomo e donna. Ma siamo davvero pronti a rinunciare a tali differenze nel nome dell’uguaglianza?


L’intera civiltà umana esiste grazie alla diversità tra uomo e donna, la diversità che genera la vita; pensare di abbattere le disuguaglianze cancellando tutto ciò è estremamente fallace.


La diversità è il presupposto per l’uguaglianza e non un ostacolo alla realizzazione di essa.


Alfio Varriano


[1] Cfr. L. Tripaldi, Non partoriremo per sempre: nasceremo dalle macchine, La Stampa, 12 febbraio, 2023, https://www.lastampa.it/cultura/2023/12/02/news/non_partoriremo_per_sempre_nasceremo_dalle_macchine-13904516/

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