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L'identità nazionale dal Risorgimento alla Prima guerra mondiale


Momenti fondanti dell'Identità Nazionale


Ogni nazione, nel corso della propria storia, ha dei momenti fondanti e fondamentali, fasi storiche che ne cementano l'identità. Per l'Italia, sorta nello scenario europeo solo a Ottocento inoltrato, dopo un duro processo di unificazione, il grande banco di prova sarà la Prima guerra mondiale.


Il Risorgimento, infatti, aveva sì unificato la penisola in un unico stato, sotto un'unica bandiera, ma non come popolo. Non a caso è notissima l'affermazione di Massimo D'Azeglio: disse che bisognava ancora "fare gli italiani".


Ridestare un popolo dopo mille e trecento anni di divisione non era facile; la scuola e l'esercito contribuirono certamente, ma ancora mancavano il sentimento e la memoria collettiva. Qui si incuneano i fatti della Grande guerra.


Il conflitto e la partecipazione italiana


Il conflitto, deflagrato nel 1914, fu uno spartiacque enorme nella storia europea; eclissò la Belle Époque e fu il tramonto di imperi secolari, nonché segnò un lento decentramento dell'Europa (che si consoliderà dal 1945 e con la guerra fredda).


L'Italia, nazione giovanissima, vi prese parte dal 24 maggio del '15, con l'obiettivo di rivendicare le terre irredente del Trentino e della Venezia Giulia. La guerra era vista come un proseguimento del processo risorgimentale, completare l'unità italiana raggiungendo i confini naturali.


Un ideale altissimo che, però, difficilmente animava i cuori e le menti della maggioranza dei soldati italiani; parliamo, infatti, di un esercito composto principalmente da contadini, artigiani e operai: uomini provenienti da tutte le regioni e province che spesso ignoravano dove fossero Trento e Trieste.


Le offensive sull'Isonzo, sul Carso, sulla Bainsizza e la guerra tra i ghiacciai alpini videro coinvolti moltissimi soldati, con un altissimo numero di caduti.


La battaglia di Caporetto e le conseguenze


La guerra di trincea era un costante alternarsi di attacchi alla baionetta tra il filo spinato e momenti di strana quiete, con il caldo estivo, la neve invernale e le brume d'autunno. Proprio in una grigia giornata avvenne l'evento che più colpì il morale collettivo dell'esercito e dell'opinione pubblica (il cosiddetto fronte interno): la XII battaglia dell'Isonzo, meglio nota come battaglia di Caporetto.


Un nome nefasto, Caporetto ha il suono amaro, fiele che distrugge le speranze e si accomuna a battaglie perdute come Custoza e Adua.


Quel 24 ottobre del 1917, nel settore della II Armata italiana, le divisioni tedesche e austro-ungariche sfondarono le nostre linee. Truppe, con il morale a terra, furono fatte prigioniere; l'iniziale ritirata sul fiume Tagliamento si rivelò vana. In rotta, gli italiani dovettero ripiegare sul Piave. Solo la III Armata si ritirò in ordine e imbattuta (passerà alla storia proprio come l'Invitta terza armata).


La conferenza di Rapallo e il ruolo di Vittorio Emanuele III


In quello che verrà definito l'autunno nero, i comandi alleati erano scettici verso l'Italia. Dopo il crollo dell'Impero russo si temeva il tracollo di Roma. La conferenza di Rapallo del 6-7 novembre del '17 non aveva pienamente convinto gli inglesi e i francesi. Ci vorrà una seconda conferenza, che si terrà a Peschiera del Garda l'8 novembre, a convincere maggiormente i governi inglese e francese.


Qui la presenza del Re fu fondamentale: Vittorio Emanuele III, vestito da soldato, raggiunse la sede del convegno prendendo in mano la situazione con decisione. Illustrò senza esitazione e con dovizia la situazione militare, sostenne la necessità strategica di tenere la linea del fiume Piave (mentre i francesi suggerivano di ritirarsi fino al Mincio) e del Monte Grappa, con la valenza che oramai rappresentavano.


Era acclarato che la perdita della linea del Piave avrebbe significato la caduta di Venezia e l'avanzata austro-tedesca nella pianura Padana, con ripercussioni terribili sul morale collettivo della Nazione.


Il Piave: simbolo di riscossa e speranza


Qui, infatti, avviene il grande punto di svolta: se prima i soldati si trovavano in trincea a combattere senza un motivo a loro concreto, ora il Piave si manifestava come un confine inviolabile.


Se innanzi v'era il "barbaro invasore", alle spalle dei soldati c'erano Milano, Firenze, Roma, Napoli... c'erano la propria casa, la moglie e i figli. La manifesta volontà di non lasciar cadere il tetto natio nelle mani nemiche fece comprendere e identificare la Patria nell'immagine comune della famiglia e del focolare domestico.


Come scrisse il grande scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton: "Un vero soldato non combatte perché ha di fronte a sé qualcosa che odia. Combatte perché ha alle sue spalle qualcosa che ama".


La resistenza italiana e la vittoria a Vittorio Veneto


Il Piave divenne sinonimo di riscossa e speranza, di limite invalicabile per serbare quanto v'è di più caro. Per un anno, le forze austro-ungariche e germaniche tentarono di sfondare le linee italiane.


L'accanita resistenza sarà provvidenziale; i vertici militari di Vienna puntavano allo sfondamento delle posizioni italiane, alla conquista della pianura e dei suoi campi di grano (provvidenziali per approvvigionare le truppe) e a completare l'opera iniziata a Caporetto, portando alla completa sconfitta italiana.


Tali piani si scontrarono con la risolutezza italiana, che otterrà una vittoria decisiva in quella che verrà denominata da D'Annunzio la Battaglia del solstizio (15–24 giugno 1918). La riscossa italiana si concretizzerà in un'azione offensiva, iniziata il 24 ottobre del 1918 (un anno esatto dopo Caporetto), con la battaglia di Vittorio Veneto; le forze austro-ungariche verranno sconfitte e andarono in rotta. Il 3 novembre, il tricolore è issato su Trento e poco dopo su Trieste.


L'identità nazionale forgiata dalla Grande Guerra


Il popolo italiano, compatto dopo la dura sconfitta, otteneva così una vittoria contro "il più potente esercito del mondo", che, battuto, "risaliva in disordine e senza speranza le valli ch'aveva disceso con orgogliosa sicurezza", come disse il Generale Diaz nel suo noto proclama.


Le vicende del fronte italiano, nel corso della Grande guerra, plasmeranno notevolmente l'identità nazionale; l'Italia e il popolo italiano si unirono nelle difficoltà delle fangose trincee e delle pietraie del Carso, superarono l'ora difficile di Caporetto e della sconfitta, spianando la strada alla vittoria del 4 novembre del 1918.


Di Alessio Benassi

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