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L'UE sanzionerà i coloni israeliani, Borrell: «abbiamo concordato sanzioni contro i coloni estremisti».

«Abbiamo discusso delle sanzioni contro Hamas. E abbiamo concordato sanzioni contro i coloni estremisti. Non è stato possibile allo scorso Consiglio affari esteri. Questa volta è stato possibile. A livello operativo è stato concordato un solido compromesso e spero che ciò accada, proseguirò fino alla completa adozione», ha dichiarato Josep Borrell, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri, lunedì 18 marzo, al termine della riunione dei Ministri degli esteri europei.



La notizia, che è di settimana scorsa, è passata un po’ in sordina, non solo per il fatto che, al momento, si tratta di una semplice dichiarazione di intenti, ma soprattutto perché, quandanche mutata in fatto (sembra avverrà presto), l’azione dell’Unione non sarebbe altro che un mero uniformarsi alle politiche già predisposte da Stati Uniti, Regno Unito e Francia.


Insomma, una risoluzione che, presa in autonomia, avrebbe permesso all’Europa di proporsi come agente politico autonomo, attento alle cause reali del conflitto israelo-palestinese, è, invece, l’ennesima “decisione” “ispirata” da quegli Stati – loro è la colpa –  che hanno cresciuto Israele nella violenza e che ora, vedendo lo Stato ebraico agire senza chiedere permesso (questo è, comunque, solo parzialmente vero), da una lato lo supportano logisticamente e dall’altro tentano goffamente di ripulire la propria immagini – di coscienza non si osi parlare – condannando e sanzionando la punta dell’iceberg del male israeliano.


Una precisazione, fondamentale per amore di verità e per mettere a tacere quei cattivi che mistificano intorno al significato di termini come anti-sionismo e anti-semitismo o sull’equivalenza tra le critiche all’operato criminale di uno stato e il farsi promotore dell’illegittimità dello stesso. «Male israeliano», uguale e contrario a quello di Hamas, che appunto non è necessariamente il male del popolo palestinese, come quello dello Stato di Israele non è necessariamente male ebraico o del popolo israeliano, è per esempio l’invasione di Gaza: un’“operazione militare speciale”, da leggere con marcato accento russo, nella quale si affronta con i crismi della guerra tradizionale una organizzazione partigiana composta da 40.000 membri, in un area di soli 45 chilometri quadrati, prevedendo, per forza di cose, e, quindi, trovando accettabile il costo di, fino ad ora, 31.000 vite umane innocenti.


Tornando alle sanzioni, l’amarezza di chi spera nella terza via degli europei e balza dalla sedia leggendo un titolo che poi si rivela la solita minestra non può certo porre in secondo piano l’importanza formale di quanto accaduto: la riunione che rafforza i provvedimenti contro i membri di Hamas riconosce come necessario di attenzione e azione, europea, dopo che statunitense, francese e britannica, l’operato dei coloni israeliani.


I coloni, che sono a tutti gli effetti cittadini israeliani e, a tempi alterni, sono fortemente sostenuti (usati) dal governo di Tel Aviv, sono parte integrante di ciò che impedisce la risoluzione del conflitto e, quindi, concausa delle vittime innocenti di entrambi i lati.


Ma chi sono i coloni? Con un po’ di malizia, ma anche con la storia dalla propria parte, qualcuno potrebbe azzardare che “colono” è la definizione adeguata di tutti i discendenti di chi arrivò nella Palestina araba, ottomana o inglese, come parte della riunificazione della diaspora ebraica, in sostanza, quindi, colono sarebbe, secondo questo ragionamento, ogni cittadino israeliano che non vanti un legame con le millenarie comunità arabo-ebraiche che non hanno mai abbandonato la Terra Santa.


In realtà, visto che, per quanto contestabile in quanto a legittimità, la migrazione ebraica di massa è un fatto, come sono un fatto i discendenti la cui unica casa è lo Stato di Israele, convenzionalmente con “coloni” (al 2022 si parla di 700.000 [1] persone nelle sole Cisgiordania occupata e Gerusalemme Est, per capirci la popolazione di Gaza conta poco meno di 600.000 abitanti) si intendono quei cittadini israeliani che abitano, con violenza [2], i territori palestinesi che anche lo Stato di Israele riconosce come territori stranieri occupati per necessità strategica. Per rendere bene l’idea del fenomeno, questi centri abitati dai coloni, le colonie, sono chiamati, tra i diversi nomi, anche hitnakhluyot, termine che semanticamente evoca le promesse bibliche di "ereditare" la terra tramite insediamento e “Facts on the ground”, una definizione che è già un programma di legittimazione.


Se la sola esistenza del fenomeno è causa di tensioni, i comportamenti adottai dai coloni, che in diversi episodi non sono così distanti dalle metodologie di Hamas, impediscono indubitabilmente la risoluzione pacifica del conflitto, a questo, poi, va aggiunto anche l’uso politico, vere e proprie incitazioni alla violenza contro il popolo palestinese, ad opera di personaggi che, a vario titolo, sono riconducibili al governo o alla classe politica israeliana.[3]


L’Occidente, che gioca con bastoni e carote, ha finto di accorgersene solo ora. Meglio tardi che mai.


Le dichiarazioni di Borrell non lasciano dubbi, nel territorio comunitario i cittadini israeliani residenti nelle colonie che si sono macchiati di crimini comprovati saranno trattati allo stesso modo degli oligarchi russi e dei miliziani di Hamas: divieto di circolazione, confisca e fermo dei beni.


Non resta che attendere che l’Unione dia continuità a quanto dichiarato.


Matteo Respinti


[1] Rapporto presentato da Christian Salazar Volkmann, direttore della divisione operazioni sul campo e cooperazione tecnica dell'ufficio dell'Alto Commissariato per i diritti umani (OHCHR), nel marzo del 2023.

[2] A titolo di esempio, cfr. il report The Third Front dell’associazione israeliana Peace Now che ha documentato l'intensificarsi delle violenze dei coloni in Cisgiordania a partire dal 7 ottobre.

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