top of page

L'uomo e il nulla: lo sport, il Taranto e la politica

Si fa tanto parlare di politica, ma di politica non si parla mai. La politica l’abbiamo persa per strada una volta che abbiamo iniziato a ragionare in termini tecnici ed economici, quando l’uomo è diventato numeroLa passione? Inconveniente.



Viviamo in un’epoca paurosamente economicistica, da cui è impossibile fuggire, dal momento che le nostre vite dipendono dal funzionamento del mercato molto più che in passato. All’orizzonte si vede tecnica, tecnica oltre ogni immaginazione.

 

Per dire ancora la sua, la politica deve riscoprirsi umana.

 

È diventato immediatamente virale il caso di un tifoso tarantino ottantaquattrenne che, ai microfoni di Antenna Sud, ha denunciato il precario compromesso per cui il Taranto, una volta iniziati i lavori di ristrutturazione dello stadio cittadino, disputerà le gare casalinghe a Teramo. Sono più di quattrocento i chilometri che separerebbero la squadra dai suoi sostenitori.

 

Un cataclisma che si abbatte anche sulla società calcistica, il cui impegno nel riportare nella città il “calcio che conta”, si spegnerebbe con un epilogo amaro. Chi crede che il calcio sia solo un gioco è un ingenuo o un ottuso: per il calcio si muovono le città e si scaldano le case e ciò è già abbastanza per tutelarlo. Nonostante tutto, i lavori sono indispensabili per l’organizzazione dei Giochi del Mediterraneo, in programma per il 2026, per cui sono già stati stanziati più di 150 milioni.

 

L’economia si muove, l’economia ci fa mangiare. L’economia ci salverà forse dall'abisso in cui siamo caduti? È il cuore che manca alla nostra società e quello l'economia non può comprarlo. L’uomo (quello con la U maiuscola) muore in mancanza di ossigeno: la nostra società toglie il respiro, con le sue pretese economiche.

 

Carmine Trotolo, “Nonno Carmine”, è nel nostro caso il megafono di quella parte della città, ma anche della nazione tutta, che non ha smesso di credere nel calcio: calcio che si legge passione e appartenenza. “Il mio Taranto, il mio colore”, dice, stringendo forte la sua sciarpa rossoblu. Le sue lacrime lasciano intravedere un senso di appartenenza che affonda, tenace, le sue radici in una incrollabile autocoscienza storica.

 

Fuori è il gelo.

 

Fuori fa freddo perché la società ha smesso di credere nelle appartenenze. Ma smettere di credere nelle appartenenze vuol dire solo una cosa: costruire il deserto attorno a sé. Si spiana il campo per il dominio dell’economia, per la tecnicizzazione della società.

 

Aristotele definiva l’uomo politikòn zôon per natura e già questa definizione contiene l'appartenenza elementare alla comunità, alla quale l'uomo non può sottrarsi. L'uomo si aggrega e combatte, e mentre combatte sogna, spera, gioisce. Lo sport stesso è la proiezione ideale di un combattimento, attorno al quale si radunano le comunità. La città di Taranto gioisce con la squadra, non per la squadra.

 

Dicono che vivere in funzione della propria squadra sia irrazionale: irrazionale per chi ha smesso di credere e di imbarcarsi in un sogno.


Credono irrazionale confidare in una politica più umana, in un tempo in cui essa è tutta tecnica e denaro: ma la politica offre i soli e unici strumenti che abbiamo per trasformare la nostra vita di cittadini.

 

Sono memorabili le parole pronunciate da Heidegger in una nota intervista del 1966, con le quali metteva in guardia dal controllo della tecnica sull’uomo: «tutto funziona. Ma proprio questo è l’elemento inquietante: che tutto funzioni e che il funzionare spinga sempre avanti verso un ulteriore funzionare, e che la tecnica strappi e sradichi sempre di più l’uomo dalla terra.»

 

Anche le istituzioni sono soggiogate: la politica incoraggia inconsapevolmente lo sradicamento per andare incontro alle esigenze economiche: l’uomo si fa sempre più da parte, affamato di vera partecipazione alla vita pubblica.

 

La nostra rivolta oggi è ritornare alla terra e alla sua tradizione, all’appartenenza.

 

Il signor Carmine è l'uomo che ci ricorda che esiste ancora l'uomo: non tutto è perduto.


Gabriele Pannofino

bottom of page