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La battaglia per l'Europa: Vienna, 11 settembre 1683

Oggi, nella cultura di massa, tutti abbiamo in mente la scena della carica epica dei Rohirrim sotto le mura di Minas Tirith, descritta da Tolkien nel suo libro e immortalata nella trasposizione cinematografica.



Una scena carica di pathos, la tragedia di una città sotto assedio da parte delle armate dell' oscurità, il coraggio e l'unione degli ultimi popoli liberi della Terra di Mezzo che affrontano il campo e spezzano l'assedio.


Tolkien scrisse così: «Il mattino arrivò, e anche il vento del mare: e l’oscurità scomparve, e gli eserciti di Mordor tremarono, e furono colti dal terrore, e fuggirono, e morirono, e zoccoli furibondi li calpestarono. Allora tutto l’esercito di Rohan irruppe in un canto, e cantavano mentre colpivano, in preda alla gioia della battaglia, ed il suono del loro canto fiero e terribile giunse sino alla città».


Questo scenario è applicabile a un evento storico ben preciso, fondamentale per la storia europea, che Tolkien ben conosceva: l'assedio di Vienna del 1683.


I turchi ottomani, padroni di un impero vasto, che si estendeva dalla Mesopotamia al Nord Africa, dal Caucaso ai Balcani e all'Ungheria, avevano posato gli occhi sul prossimo obbiettivo, una nuova "mela d'oro" da conquistare: Vienna!


Con "mela d'oro" i turchi intendevano una grande città, un obbiettivo preziosissimo e agognato, prima Costantinopoli conquistata nel 1453 ora la capitale austriaca. Già nel 1529 i turchi del Sultano Solimano il magnifico avevano tentato l'impresa, fallendo. Da allora la minaccia ottomana era stata costante, sempre diretta verso il cuore dell' Europa stessa.


Il 14 luglio, un'armata immensa aveva investito la città austriaca, tra i 150.000 e i 200.000 soldati stimati stringono d'assedio le mura; il Conte Ernst Rüdiger von Starhemberg, capo delle truppe superstiti (circa 20.000 uomini) rifiutò ogni resa e si asserragliò in una strenua difesa.


Il Gran Visir Kara Mustafa Pascià iniziò le opere d'assedio, conscio dell' inferiorità delle artiglierie turche, fece costruire il ricettacolo di trincee, gallerie e mine per far esplodere le opere difensive. Nel mentre l'Imperatore Leopoldo I, fuggito a Passavia in Baviera, dirigeva le opere diplomatiche, sostenuto da un Pontefice energico e determinato, Innocenzo XI.


Papa Odescalchi era un' uomo di grande tempra, ricordato dai romani stessi come «Er Papa minga», perché da comasco usava il dialetto lombardo; il Pontefice con un' opera di mediazione riuscì a contattare tutti i principi d'Europa, ridestarli dal torpore e renderli consci del pericolo imminente.


Il Re di Francia Luigi XIV in virtù del detto "il nemico del mio nemico è mio amico", era segretamente alleato dei turchi in quanto avversari degli Asburgo; ma innanzi alla determinazione del Pontefice anche il Re sole cedette e attaccò gli ottomani ad Algeri.


Il grande lavoro diede ben presto frutto, armate da tutte le lande d'Europa si radunarono, nel momento più drammatico e pericoloso. I sovrani europei, sovente divisi e in lotta tra loro, posero da parte le inimicizie e si raccolsero in una nuova Lega Santa: il Principe elettore Giovanni Giorgio III di Sassonia portò 9.000 soldati sassoni, il Principe Giorgio Federico di Waldeck raccolse il contingente germanico composto da 19.000 soldati franconi, svevi e bavaresi, il Duca Carlo V di Lorena e il Principe Eugenio di Savoia-Soisson erano al comando di 18.500 soldati, principalmente austriaci, toscani, veneziani e mantovani infine il gruppo più numeroso, 30.000 polacchi (di cui circa 5.000 ussari alati), guidati personalmente dal Re Giovanni III Sobieski.


Il sovrano polacco, pur impegnato su altri fronti, aveva compreso con grande lungimiranza che la caduta di Vienna sarebbe stata catastrofica, i turchi avrebbero avuto accesso al cuore dell' Europa, ancora indebolita dalla guerra dei Trent'anni e dalla peste. Un totale di circa 75.000 uomini, si apprestava in un' impresa ardua, spezzare le armate ottomane sotto le mura di una città stremata.


Infatti, le opere di mina turche avevano sventrato le mura, sempre più sottili e fragili; i difensori però erano pronti a tutto, al primo accenno di crollo il Conte von Starhemberg e i suoi avrebbero lottato sulla breccia, e se i giannizzeri fossero entrati in città l'ordine era quello di combattere strada per strada, casa per casa.


Il punto di svolta avvenne l'11 settembre 1683, quando le truppe della Lega Santa si radunarono sul Monte Calvo (Kahlenberg), lì all' alba del 12 settembre fu celebrata la messa da parte del frate cappuccino Marco d'Aviano. Le armate turche di Kara Mustafa mostrarono il loro punto debole, infatti il Gran Visir non aveva approntato difese all' accampamento, concentrando tutti gli ingegneri e manovali nelle opere d'assedio.


Comunque, visto l'arrivo delle truppe cristiane, gli ottomani si lanciarono in vari contrattacchi, scontri furiosi che vedevano la ferocia turca e la determinazione delle armate alleate. La grande resistenza coordinata dal Duca di Lorena e dal nascente genio militare del Principe Eugenio, permise di rintuzzare i colpi dei turchi e consentì al Re polacco di organizzare i suoi soldati.


Gli ussari alati, fiore all' occhiello delle truppe di Sobieski, caricarono le file turche, guidati personalmente dal loro Re. Simili alle milizie celesti, con la corazza lucente, la kopia cioè la lancia e le caratteristiche ali sulla schiena sbaragliarono le armate ottomane e le inseguirono, oramai in rotta.


Il cronista turco Mehmed descrisse così l'impressionante carica polacca:


«Gli infedeli spuntarono sui pendii con le loro divisioni come nuvole di un temporale, ricoperti di un metallo blu. Arrivavano con un'ala di fronte ai valacchi e moldavi addossati ad una riva del Danubio e con l'altra ala fino all'estremità delle divisioni tartare, coprivano il monte ed il piano formando un fronte di combattimento simile ad una falce. Era come se si riversasse un torrente di nera pece che soffoca e brucia tutto ciò che gli si para innanzi.»


Vienna era libera, e così anche l'intero continente europeo tirava un sospiro di sollievo, questa vittoria sarà determinante, segnerà la fine dell'avanzata turca in Europa e porrà le basi per la riscossa; nel 1686 le forze imperiali guidate dal Duca di Lorena e dal Principe di Savoia Soisson liberarono Budapest e nel 1687 con la seconda battaglia di Mohács i turchi furono definitivamente sconfitti.


Questi eventi furono un merito anche del Pontefice, che si era speso enormemente per questo risultato, il Re Giacomo II d'Inghilterra disse: «Il Santo Padre che liberò Vienna, così ha espugnato Buda. Da secoli non sedeva più un Papa simile sulla cattedra di Pietro».


Questo evento oggi dovrebbe essere maggiorenne valorizzato, la nostra identità culturale europea non sarebbe stata la stessa se quel giorno la storia fosse andata diversamente, lo storico Arrigo Petacco in L’ultima crociata asserisce correttamente:


«con i se e con i ma la storia non si fa, va comunque sottolineato che se a Vienna, quel 12 settembre 1683, un qualsiasi accidente avesse fermato la carica degli ‘ussari alati’ che si scatenarono contro i turchi come arcangeli vendicatori, oggi probabilmente le nostre donne porterebbero il velo».


Il cuore dell' Europa, la sua cultura, la sua storia, tradizione e civiltà sono stati temprati da quell'11 settembre 1683, il continente vive per il coraggio di quei valorosi eroi di Vienna.

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