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La protesta delle tende

Il manuale dell’influencer di successo insegna che è fondamentale dare nome ad una protesta affinché possa andare in tendenza. Mi complimento per l’idea della tenda, che allude implicitamente al tema degli sfollati e dell’immigrazione, giusto per ribadire a chi sono indirizzate le critiche; peccato che il maltempo di questi giorni renda l’esperienza di campeggio cittadino meno confortevole per i temerari studenti.


Parliamoci chiaro, la protesta è più che legittima nella tesi, ma sbagliata quanto mai nelle argomentazioni e nei commenti di difesa avanzati da alcuni esponenti politici. Il problema esiste ed è grave: canoni fuori dalle normali condizioni di mercato, vincoli folli, disagi, truffe online e agenzie immobiliari che chiedono in cambio addirittura il 10-15% del canone annuo. (Per rendere una dimensione dei costi, se il canone mensile per una stanza è di €600, le commissioni di servizio si aggirano attorno ai €1.000). Le residenze universitarie sono private, quindi troppo costose per buona parte delle famiglie italiane, oppure riservate agli studenti borsisti; la soglia reddituale massima per accedere ai sussidi erogati dalle Regioni, però, è talmente bassa da escludere, in senso opposto, i ragazzi che provengono da famiglie con reddito medio. Questa è una delle battaglie storiche di Azione Universitaria, la lista di rappresentanza studentesca legata a Fratelli d’Italia, portata avanti sia in sede di CNSU, sia a livello di Governo, ma torniamo al punto.


Chi protesta ha mai guadagnato un euro con le proprie mani? La domanda deriva da un sospetto puramente personale: non è che a parlare sono proprio quei ragazzi che vivono solo sulle spalle dei genitori, godendosi a pieno le millemila occasioni di divertimento, e che magari sono pure fuori corso perché “è difficile stare al passo con gli esami”? Il diritto allo studio è santo, non c’è dubbio, ma deve essere diritto allo studio, non diritto alla bella vita in età da studenti. Se questa protesta vuole essere solo un altro modo per lamentare la “condizione” di studente, che muove dalla scarsa o mancante voglia di impegnarsi e fare sacrifici, allora noi di Gioventù Nazionale non ci stiamo. Ci sono tanti ragazzi e ragazze, consapevoli degli sforzi economici che le famiglie sostengono per concedere loro di realizzare i propri sogni, che allo studio - serio e puntuale - affiancano semplici lavoretti occasionali, per provvedere da sé a qualche uscita con gli amici. Chissà perché, però, nessuno di loro sta dormendo in tenda in questi giorni, né è stato intervistato per portare un diverso punto di vista sul tema.


Il caro-affitti non è una novità appunto, ma oggi pare una questione ridicola in ragione del fatto che le critiche arrivano da chi, fino a ieri, pur avendo il potere di trovare una soluzione, ha preferito chiudere gli occhi e strapparsi le vesti per difendere i diritti di categorie ben più marginali. Restando entro i confini della nostra città, il Sindaco Sala ha di recente affermato che “magari gli studenti hanno più voglia di stare nelle città di centrosinistra che non di centrodestra perché accolgono la loro complessità e le loro problematiche". Tralasciando la (mal riuscita) battuta, cosa avrebbe fatto di concreto il Comune di Milano per aiutare gli studenti in affitto? È possibile che, come riporta il Corriere della Sera, a fronte di una popolazione studentesca che conta circa 65.000 fuorisede, le residenze pubbliche coprano appena il 15% dei posti letto necessari? Anche ammettendo che ci siano progetti, più o meno realistici, per ampliare questi spazi in futuro, l’amministrazione non avrebbe potuto quantomeno sviluppare un portale web dedicato agli annunci, attraverso il quale vigliare sui canoni di locazione e sulle condizioni di affitto, creando così un luogo sicuro di contrattazione?


Invece che attaccare il Governo, che anzi ha sempre agito in prima linea per tutelare i diritti dei fuorisede, dal diritto di voto al medico di medicina generale, e tuttora sta facendo quanto possibile per dare risposte rapide e concrete, i Sindaci delle città universitarie dovrebbero intervenire con misure pratiche e gli studenti accampati dovrebbero tornare sui libri, dato che tra poco iniziano le sessioni d’esame e non vorremmo sentire altre lamentele di chi non sa (vuole) stare al passo con lo studio.

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