Nel libro Valori corporativi, pubblicato nel ‘84, Rutilio Sermonti offre un’illuminante riflessione riguardo agli effetti del capitalismo e della produzione di massa sull’ambiente. La Destra, in particolar modo quella italiana, ancora scevra da contaminazioni liberal-liberiste, aveva già colto allora le problematiche ambientali che solo oggi sono sotto ai riflettori, seppur affrontate in maniera ideologica dalle sinistre mondiali, che tentano di imporre le loro logiche globaliste sfruttando un tema così delicato come il rapporto ambiente-uomo.
A cura di Filippo Guarienti
Riproponiamo qui il capitolo La rivolta dell’ambiente:
«Una minaccia dalle dimensioni apocalittiche si addensa all'orizzonte del mondo civilizzato. Un problema di portata colossale che comincia appena ad essere affrontato dai legislatori e dai governi, e ancor meno dalle organizzazioni di collegamento internazionale già esistenti, mentre dovranno appositamente crearsene, prima che la tremenda catena di cause ed effetti acquisti il carattere della ineluttabilità: il tanto decantato progresso tecnico, che fu causa ed insieme effetto del capitalismo e dei suoi sottoprodotti collettivistici, il vantato dominio sulla natura, fonte di luciferico orgoglio per legioni di «camici bianchi» che presentano ancora, con sempre maggiore insistenza, la loro candidatura al dominio del mondo, si ritorce con fatalità spietata contro l'umanità che lo ha creato.
L'allarme suonato con angoscia da alcune fonti più coscienti e responsabili cade nell'indifferenza dei più, presi dalla ubriacatura del «comfort», artatamente mantenuta e alimentata da migliaia di strumenti di condizionamento mentale, azionati da coloro che vi hanno interesse, soprattutto finanziario. Ma basta soffermare l'attenzione sui preoccupanti sintomi già oggi palesi per acquistare la certezza che non passeranno molti anni prima che tutti coloro che possiedono un minimo di cultura e di buon senso si rendano conto con drammatica chiarezza che la stessa sopravvivenza dell'uomo, oltre che di gran parte delle forme di vita conosciute, è in gioco.
Non è questo opuscolo, ovviamente, la sede per un approfondimento del problema. Ma esso deve esservi quando meno enunciato, perché qualsiasi considerazione di natura politica riguardante l'avvenire sarebbe soltanto un'infantile e velleitaria esercitazione e una esibizione di astratto e deleterio utopismo se non si tenesse presente la realtà sociale e addirittura biologica dei grandi fenomeni che stanno investendo il mondo, da quello del mescolamento delle razze, a quello dell'aumento galoppante della popolazione, a quello che appunto ora poniamo, della massiccia e dissennata distruzione, ad opera dell'uomo, della propria stessa biosfera, nell'illusione cretina a potersene creare un'altra più comoda e «asettica» grazie alla «tecnica».
Sta di fatto che, soprattutto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, si è impresso in tutto il mondo, e particolarmente nei paesi a maggiore sviluppo tecnico industriale (che vengono costantemente presi a modello da tutti gli altri) a immettere sul terreno, nell'acqua e nell'atmosfera centinaia di milioni di tonnellate di prodotti chimici artificiali, di sostanze di rifiuto e di particelle radioattive. Ciò è dovuto in parte a incuria e trascuratezza, come si verifica per le scorie radioattive delle sempre più numerose pile atomiche ad usi civili (per tacere del «fall out» degli esperimenti militari); per gli scarichi industriali immessi pressocché liberamente nei corsi d'acqua e, attraverso di essi o direttamente, in mare o nei laghi; per i venefici prodotti di combustione del carburante delle auto e delle centrali termiche immessi nell'atmosfera, ai quali si comincia appena studiare e applicare qualche modesto riparo tecnico; per la putrefazione dei rifiuti organici dei sempre più vasti agglomerati urbani, solo in minima parte neutralizzati in modo efficiente.
In parte si tratta addirittura, sebbene ciò sembri a stento credibile, di avvelenamento massivo e volontario sotto forma di irrorazioni con ogni mezzo terrestre ed aereo di insetticidi e disinfestanti in genere e di erbicidi di alto o altissimo potere tossico per un numero di piante e di animali mille volte più vasto delle specie che forsennatamente quanto vanamente si vorrebbero sterminare, e addirittura per l'uomo.
Dinanzi ai dati e ai risultati di questa che potremmo chiamare la pazzia chimica dell'umanità, si stenta a credere che nella nostra epoca cosiddetta scientifica, in cui si proibisce l'uso delle castagnole a Capodanno perché «pericolose», si consenta di spargere liberamente sui campi e sulle acque migliaia di tonnellate di potenti veleni come l'endrina, la dieldrina, il toxafene, il clordano, il DDD, l'aldrina, il parathion, rispetto ai quali il velenoso DDT di cui si è cominciato così tardivamente a diffidare può quasi considerarsi innocuo, e dei quali una concentrazione di pochi milionesimi basta a provocare la distruzione totale della vita animale che con essi sia venuta direttamente o indirettamente a contatto. Veleni che si fissano nei tessuti e negli organi (compresi quelli dell'uomo) e che possono far sentire le loro funeste conseguenze addirittura ad anni di distanza dal loro assorbimento.
Ma le conseguenze dirette degli inquinamenti colposi e dolosi cui tutta la Terra è sottoposta con ritmo crescente (sterminio della selvaggina e dei pesci, che hanno abbandonato quasi del tutto le acque costiere italiane, minacce per la salute e la stessa vita dell'uomo e degli animali domestici, impoverimento della vegetazione, manomissione del paesaggio e delle bellezze naturali in genere) sono di molto inferiori alle conseguenze indirette, e cioè a quelle della rottura dell'equilibrio biologico creatosi mirabilmente nei milioni di anni che hanno preceduto il cosiddetto dominio dell'uomo sulla natura.
Pochi sanno che esistono nel terreno miliardi di miliardi di piccoli organismi, dai vermi, ai collemboli, ai protozoi e ai batteri che potrebbero essere definiti “i fabbricanti di humus”, in quanto con la loro incessante attività di elaborazione chimica e meccanica del terreno consentono che su questo si sviluppi la vegetazione, che, a sua volta, elaborando le sostanze inorganiche, consente la vita al mondo animale che di essa si nutre. Ed esistono mezzo milione di specie di insetti superiori la vita di molti dei quali è attivamente e passivamente connessa con quella della microfauna terricola e delle piante fanerogame (impollinazione, distruzione dei parassiti). Pochi sanno che se l'Italia è abitabile ciò è dovuto — tra l'altro — alle formiche del gruppo Formica rufa che conducono una quotidiana e spietata lotta contro i parassiti degli alberi. Pochi sanno che, senza gli umili batteri che vivono negli intestini degli erbivori e vi digeriscono la cellulosa, nessun animale superiore (uomo compreso) potrebbe esistere sulla Terra o sopravvivervi.
Ora tutte le piccole e grandi forme di vita animale e vegetale così intimamente connesse una all'altra, necessitano di determinati rapporti numerici reciproci, cui la natura incessantemente le riconduce: e questo è l'equilibrio biologico. Ebbene, l'immissione continua e massiva nell'ambiente di potenti veleni, ed anche di sostanze sempre artificiali e estranee anche se apparentemente innocue (si pensi ai milioni di tonnellate di detersivi) cui stiamo assistendo dalla fine della seconda guerra mondiale in poi spezza incoscientemente tale equilibrio; distrugge mille per eliminare uno, che è semplicemente incomodo; accumula effetti irreversibili e vuoti incolmabili che la natura non è preparata a riparare; sottopone tutti noi al continuo assorbimento attraverso i cibi, l'aria che respiriamo, la pelle, di sostanze in casi limiti addirittura letali, ma che comunque si accumulano nel nostro organismo, favoriscono i tumori, indeboliscono il sistema nervoso e le qualità riproduttive, minano in mille altri modi la salute e la resistenza di masse sempre crescenti di uomini.
Negli Stati Uniti, dove il fenomeno ha assunto prima che altrove aspetti allarmanti, il dottor Price, dirigente del Servizio Salute Pubblica Federale ebbe a dichiarare nel 1965: «Noi tutti viviamo sotto l'ossessionante paura che qualcosa possa guastarsi nel nostro ambiente fino al punto in cui l'uomo scomparirà come scomparvero a loro tempo i dinosauri; e ciò che rende questa prospettiva ancor più angosciosa è il sapere che il nostro destino potrebbe essere segnato già venti e più anni prima del manifestarsi di qualsiasi sintomo». Ed è nota l'espressione ancora precedente del famoso medico, musicista e filantropo Albert Schweitzer: «L'uomo ha perduto la capacità di prevedere e di prevenire. Andrà a finire che distruggerà la Terra».
Altri lustri sono passati, e l'andazzo omicida del consumismo capitalistico non soltanto non è cambiato, ma si è accelerato.
Tale essendo la natura e la portata del problema, senza alcuna allarmistica esagerazione ma attenendosi alla semplice e drammatica evidenza dei fatti, dobbiamo chiederci la causa politica che consente il perpetuarsi di una simile attività autodistruttiva che non sappiamo se debba definirsi stupida o criminale o le due cose insieme. Come può accadere che, pur essendo ben noto a qualsiasi persona competente che cerchi di indagare su quanto si va perpetrando, il pericolo gravissimo (ben più della tanto paventata guerra atomica) cui l'umanità va incontro, si continui ad aggravare il problema stesso non solo da parte di organizzazioni private ma talora degli stessi Stati e pubbliche organizzazioni?
La risposta è purtroppo ben chiara, e deve ricollegarsi alla tara che ha inficiato tutto il progresso tecnico: che esso — come così bene intuirono il Sorel e il Sombart quando la discesa era ancora agli inizi — non è affatto al servizio dell'umanità ma semplicemente della produzione (o meglio nel profitto). I colossali interessi economici e finanziari che premono nel senso dello sviluppo illimitato della motorizzazione, o della fabbricazione e vendita massiva di prodotti chimici venefici come disinfestanti ed erbicidi, o della possibilità per le industrie di liberarsi con poca spesa delle scorie, o delle adulterazioni alimentari, o di tutte le altre attività nocive, sono gli stessi che muovono dietro le quinte gli uomini dei partiti, che sono, nel mondo moderno, gli unici veri titolari del potere. Costoro, gente di cultura più che mediocre, completamente dedita e immersa nel gioco dell'intrallazzo politico o — nel migliore dei casi — all'inseguimento delle fanfaluche ideologiche, sono i veri strumenti del persistente progredire della drammatica situazione che abbiamo denunziata verso il limite letale della irreversibilità.
In un libro di grande e meritato successo di una biologa americana, dedicato a mettere in guardia i suoi concittadini contro l'uso indiscriminato e massivo di antiparassitari ed erbicidi venefici, leggiamo questa frase significativa:
«Se sottrarremo anche una piccola frazione degli stanziamenti destinati ogni anno alla produzione di tossici sempre più distruttivi e la impiegheremo in una ricerca scientifica costruttiva, potremo forse trovare il modo di usare materiali meno pericolosi e di tenere i veleni al di fuori delle nostre acque. Ma quando i cittadini degli Stati Uniti diventeranno abbastanza consapevoli da esigere tale provvedimento?».
È chiaro? In uno stato di grave pericolo collettivo, in cui i governi di tutto il mondo, informati dai loro organi tecnici qualificati, avrebbero il dovere di attuare urgentemente tutto il possibile per arginare il fenomeno e porvi rimedio, nonché per educare in tal senso la coscienza dei cittadini, occorre attendere che tra i cittadini si formi per suo conto una maggioranza consapevole tale da esigere siffatti provvedimenti dai governi, la cui assoluta insensibilità per i problemi veri e del popolo è data per scontata!
E ciò quando la popolazione è sottoposta ovunque ad una massiccia e suadente propaganda che sospinge, con parole e immagini festose e rassicuranti, che tutti ben conoscono, all'impiego sempre più vasto dei mezzi di avvelenamento ecologico. È questa d'altronde la logica ineluttabile dei regimi basati sul dogma della sovranità popolare e sulla fictio iuris della rappresentanza di volontà. Ed è ragionevole prevedere che in avvenire il quadro già così preoccupante mentre scriviamo si presenterà in modo ancor più fosco, dato che i termini della questione non accennano a mutare, e in particolare le curve dei fattori negativi che abbiamo enunciati non mostrano affatto di scostarsi dall'andamento ascendente.
Una tecnica sempre più potente e sistemi di persuasione sempre più raffinati sono al servizio degli interessi economici cui abbiamo accennato, sì da mettere a disposizione di essi tale massa di opinione pubblica non qualificata da potersene solennemente infischiare di quella qualificata. La sempre maggiore artificializzazione della vita quotidiana dei singoli e dei gruppi aumenta dal canto suo l'insensibilità delle folle per il ritmo e l'equilibrio naturale con il quale esse non hanno più contatto diretto se non «turistico». Esse si preoccupano più dell'esito del campionato di calcio che della sorte dei loro fiumi e delle loro foreste.
L'acutizzarsi della tragica crisi, in avvenire, è quindi inevitabile, per il continuo aumento delle cause che l'hanno provocata. E abbiamo toccato soltanto uno — anche se forse il più grave - dei problemi urgenti che attendono al varco l'umanità del prossimo domani. Come la concezione parlamentare della politica si dimostra ontologicamente insufficiente per approntare un qualsiasi rimedio organico alla trasformazione in atto dell'ambiente terrestre in un nemico della vita, altrettanto impotente e per gli stessi motivi essa si dimostra infatti a fronteggiare gli altri e più evidenti aspetti patologici della civiltà moderna (ammesso che di civiltà moderna possa ancora seriamente parlarsi), aspetti che minacciano di fare di questa l'ultima civiltà umana.
Così dicasi, ad esempio, per la diffusione e pubblicizzazione di una medicina impostata in prevalenza sulla continua ricerca e immissione in vendita di surrogati chemioterapici alle difese organiche dell'uomo, con il conseguente lento ma continuo affievolimento di queste ultime.
Lo stesso può dirsi per la sempre maggior generalizzazione dell'uso di stupefacenti, allucinogeni e tranquillanti anche nella gioventù.
Né diversamente si presenta la situazione per quanto riguarda l'incremento impressionante dell'urbanesimo e della motorizzazione, con le conseguenze sociali, psicologiche ed anche biologiche ben note a chiunque abbia soltanto sfiorato il problema dal punto di vista umano. E che dire poi di quella che è stata definita «economia di rapina (Raubenwirtschafft)», e cioè del saccheggio frenetico e indiscriminato, ai fini del consumo, delle risorse biologiche, minerali, idriche del nostro pianeta, quasi che esse fossero illimitate, sfruttamento che già da molti anni, grazie al perfezionamento delle tecniche, ha largamente superato il ritmo, talora lentissimo, con cui la natura provvede a ricostituirle?
È davvero stupefacente che uomini all'apparenza normali ed equilibrati accompagnino un tale sistematico e folle sperpero con grida di orgoglio e di esaltazione dell'efficienza delle industrie estrattive e delle altre aggressioni al patrimonio naturale che vanno dalla pesca di pesci e cetacei effettuata coi noti sistemi superdistruttivi (reti a strascico, radar, cannoncini lancia-arpioni, ecc.) al disboscamento industriale e al consumo delle risorse di acqua potabile superiore al ritmo con cui essa torna ad affluire alle falde freatiche.»
Rutilio Sermonti