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La seduzione della lingua

La cultura come arma di conquista dei popoli e la minaccia dell’anglocrazia

«I libri in lingua originale svolgono all’estero un ruolo talvolta più importante di quello dei cannoni».

Se vogliamo indagare il nesso tra egemonia linguistica e potere politico militare, le analisi del generale Jordis von Lohausen nel suo Les empires et la puissance possono rivelarsi molto utili. Ma davvero la diffusione di una lingua in uno spazio geografico può rivelarsi più efficace di qualsiasi altra espansione? «Poiché la spada può solo delimitare il territorio e l’economia sfruttarlo ma la lingua conserva e riempie il territorio conquistato».


Il paradigma dell’Impero romano ci dimostra quanto la diffusione del latino infatti è stata uno dei fattori che ha contribuito alla sua potenza in maniera profonda e consolidata. In poco tempo divenne la seconda lingua del mondo antico insieme al greco, usata dai popoli dell’Impero perché sedotti dal prestigio di Roma non per costrizione. Il latino serviva inizialmente alle popolazioni sottomesse per comunicare con i soldati e i funzionari mentre in seguito divenne qualcosa di universale e indispensabile. È sopravvissuto nei secoli come lingua di cultura della res publica clericorum. In un Medioevo frammentato e caotico fu luce di unità e civiltà nella sua continuazione ideologica del Sacro Romano Impero e costituì la radice dalla quale si sono sviluppate le principali lingue romanze come l’italiano, il francese, lo spagnolo e il portoghese. Eppure i successivi imperi europei in particolare Francia e Spagna, pur essendo eredi di Roma, dimenticarono gli insegnamenti di quella esperienza. Furono capaci si di esportare la civiltà latina al di fuori del continente, ancora oggi gli stati sorti dalle ceneri dell’Impero delle Americhe non hanno spezzato il legame culturale con gli invasori, tuttavia schiacciarono i particolarismi costringendo i popoli assoggettati a parlare una sola lingua, la loro, senza considerare l’eredità culturale che stavano soffocando.


Al contrario, altri imperi, pur imponendo una lingua prioritaria, sono riusciti a conservare nei secoli il proprio dominio sulle terre conquistate rispettando proprio le identità locali. È il caso del russo, il quale è parlato da oltre 250 milioni di persone nell’area più vasta del pianeta. In molti paesi dell’ex Unione Sovietica costituisce una varietà etnico-linguistica quasi maggioritaria, la quale ha peraltro un’influenza diretta sulla politica interna di questi. Inoltre la Costituzione del 1992 garantisce il diritto alle 200 etnie, ripartite nei 22 stati della Federazione Russa, di parlare la propria lingua legata alla loro nazionalità di origine oltre a quella russa ufficiale. Pertanto questa civiltà, che affonda le sue origini nel matrimonio tra slavi e tataro-mongoli, concepisce la lingua non solo come mezzo di comunicazione e commercio ma essa è l’anima di un patrimonio storico e identitario preciso e non é l’unica.


In Cina il mandarino è parlato da 920 milioni di madrelingua di etnia prevalentemente Han mentre le restanti 55 etnie parlano oltre 64 lingue diverse. Ma potremmo considerare l’hindi, il farsi, l’urdu e l’arabo tutte espressioni di imperi dalla cultura millenaria. «Que siempre fue la lengua companera del imperio» diceva nel 1492 il grammatico Elio Antonio de Nebrija. L’uso della lingua e della cultura come strumenti per la diffusione e il consolidamento di un potere ricopre tuttora un ruolo fondamentale nell’agenda strategica di vecchi e nuovi attori internazionali.


La loro espansione su scala planetaria infatti contribuisce ad aumentare il prestigio di uno Stato, accresce l’influenza culturale, politica e il suo predominio nella comunicazione ne conferisce un ruolo egemone. Se vogliamo darne anche un’accezione antropologica, l’ipotesi di Sapir-Whorf afferma che la lingua influenza lo sviluppo cognitivo dell’essere umano e la sua percezione della realtà adattandola alla cultura legata a ognuna. Perciò in un contesto geopolitico la sua diffusione e l’ascendenza che esercita, la trasformano in un’arma molto potente di irretimento e sottomissione.


Lo scrittore e uomo d’affari americano James C. Bennett ha coniato il termine «anglosfera» per descrivere il processo di dominio globale che gli Stati Uniti avrebbero guadagnato nel tempo. Anche se sarebbe più appropriato definirla anglocrazia. Approfittando infatti della deflagrazione dell’Europa durante la Seconda guerra mondiale, dell’Unione Sovietica dopo e grazie alla loro inarrestabile crescita economica e militare, sono riusciti a imporre l’inglese come lingua internazionale. Poi, attraverso fenomeni come la globalizzazione, hanno potuto proliferare e conquistare un incomparabile vantaggio davanti a tutti gli altri popoli, diffondendo nel mondo la loro ideologia liberale e l’inganno del sogno americano, insieme ai loro pretoriani: Coca-Cola, McDonald’s, Nike, Google e Microsoft per citarne alcuni. «Più l’inglese è parlato nel mondo più l’America può avvantaggiarsi della forza creativa straniera attirando a sé senza incontrare ostacoli le idee, gli scritti e le invenzioni altrui».


In questo spaventoso panorama il multipolarismo globale reagisce sfruttando le lingue come dighe per la globalizzazione, consolidando le proprie identità, favorendo nuove relazioni, scambi commerciali e culturali alternativi al modello americano. L’esempio della proliferazione degli Istituti Confucio è parte infatti della strategia cinese di attrazione e conquista globale attraverso la cultura (il tema è approfondito nel mio articolo: Cina, il mostro gentile) oppure CSI e BRICS come antitesi della NATO e per la riduzione della dipendenza dal dollaro del FMI.


L’egemonia americana costituisce un fatto e la stessa diffonde la sua ideologia basata sull’individualismo, la schizofrenia della cancel culture, la società fluida e la solitudine del consumismo come verità universali, rappresentando una minaccia per le civiltà del mondo. La sua miope strategia unipolarista anziché costruire un impero solido in una armoniosa convivenza, cannibalizza i popoli più deboli e rifiuta i particolarismi.


Ed è proprio grazie a questi auto sabotaggi che il gendarme planetario negli ultimi anni ha contribuito a indebolire progressivamente se stesso e il suo fascino, starà a noi europei decidere se affrancarci dal ruolo di vassalli o restare delle nullità politiche.


Cesare Taddei



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