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La torcia di Washington: Aaron Bushnell si è donato per la Palestina


Sono tempi duri per la metafisica. In altri anni la mia destra, che è qualcosa di più di quella che si intende comunemente, avrebbe reso onore al sacrificio di Aaron Bushnell in pompa magna. Lo posso dire perché lo statunitense non è solo, ha dei compagni che lo hanno preceduto: Jan, Alain e Venner sono solo alcuni di essi.


Quando era onesta, l’avversione della destra al tipo statunitense era mossa dal rifiuto del suo supposto egoismo e dell’orizzonte materialista che sembra animare le sue azioni. Probabilmente quest’immagine che i critici europei hanno costruito non ha mai corrisposto al vero o, ancor più probabilmente, il tipo dello statunitense moderno in nulla ha mai davvero differito dal suo contemporaneo europeo.


Ora è un fatto che la torcia umana degli anni ’20 del secondo millennio venga dal Massachusetts. Aaron Bushnell è stato un Leonida piuttosto che un Catone, come qualcuno ha tentato – meno raffinatamente – di sminuirlo: lui non si è tolto la vita per sottrarsi all’ingiustizia, questo soldato statunitense si è donato per la Palestina e per la redenzione dell’Occidente.


Si, un soldato. Lo si è scritto e letto, ma si è posta troppa poca enfasi su questa cosa. Bushnell era un soldato in servizio dell’aviazione statunitense, non un atomo di quella amorfa moltitudine woke che si è appropriata del termine «pace», a cui è bene contrapporre «giustizia», e alla quale, però, si deve riconoscere di essersi mobilitata. I "giusti" poltriscono e godono dei manganelli sui manifestanti. Dicevo di Bushnell, era un patriota di venticinque anni, aviatore da quattro, e, raggiunta la capitale Washington, si è immolato in divisa. Non un egoista, non un woke, non un matto. Un lucido, ancorché, magari, inconscio, metafisico:


«sono un membro in servizio attivo dell’aeronautica degli Stati Uniti e non sarò più complice del genocidio. Sto per intraprendere un atto di protesta estremo, ma rispetto a ciò che la gente ha vissuto in Palestina per mano dei loro colonizzatori, non è affatto estremo. Questo è ciò che la nostra classe dirigente ha deciso che sarà normale».


Si, metafisico proprio alla maniera di Platone, Aristotele e Plotino, metafisico come Benedetto e i bonzi di Saigon e, quindi, come gli uomini d’azione: l’anima è fissa sul bene e la volontà è disposta a tutto perché qualcuno, dopo di sé, lo possa esperire.


Penso che se il soldato fosse vivo e leggesse questo scritto, pur riconoscendosi nella descrizione tratteggiata, arriverebbe a questa frase infastidito: lui si è donato per la Palestina e per l’Occidente, è bene onorare il suo gesto parlando di ciò. Penso anche, però, che mi perdonerebbe, il mondo ha bisogno di uomini come lui e ricordare che gli eroi esistono è una prima vittoria contro il male.


«Genocidio» ai danni del popolo palestinese, di cui gli Stati Uniti, e quindi noi alleati atlantici, sarebbero co-responsabili. «Genocidio» è un termine tecnico, scientifico, giuridico, quindi costruito a tavolino per un fine concreto, per l’Onu significa: «gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».


Netanyahu è un malvagio colto: il suo gioco è che lo Stato di Israele, che ha ucciso più di 30.000 palestinesi tra il 7 ottobre e il 29 febbraio (Ministero di Gaza) e 11.000 bambini tra i soli 7 ottobre e 25 gennaio (Save the Children), sta combattendo una guerra contro Hamas, un’organizzazione terrorista, per la liberazione di ostaggi israeliani e, magari, anche nell’interesse del popolo palestinese.


Quelli di Hamas sono senza dubbio almeno altrettanto malvagi, ma sono anche armati peggio e soprattutto molto più stupidi: «Hamas non lotta contro gli ebrei perché sono ebrei, ma lotta contro i sionisti che occupano la Palestina», recita l’articolo 17 dello statuto del 2017, mentre, poco dopo, l’articolo 20 afferma: «Hamas rifiuta ogni alternativa alla piena e totale liberazione della Palestina, dal fiume al mare. […] considera la creazione di uno Stato palestinese pienamente sovrano e indipendente, con Gerusalemme come capitale, sulla falsariga del 4 giugno 1967».


Dalle carte, gli unici a operare attivamente per qualcosa di simile a un genocidio sembrerebbe risultare i miliziani di Hamas, a maggior ragione se si prende in esame lo statuto dell’88, che confondeva israeliani, sionisti ed ebrei. E come si potrebbe non menzionare la serie di operazioni terroristiche, perché fare scempio di civili – coloni o meno – certo non è un legittimo un attacco militare, nella quale hanno perso la vita 1.200 civili israeliani?


A tradire la narrazione machiavellica del malvagio Netanyahu sono i suoi sgherri, rozzi come Hamas e, come Hamas, piuttosto onesti: «niente elettricità, niente cibo, niente benzina, niente acqua. Tutto chiuso. Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza», ha dichiarato Yoav Gallant, il Ministro della Difesa.


In più, premettendo che la vita di ogni singola persona innocente non vale certo meno della somma di altre vite, va considerata questa brutale proporzione: 247 gli israeliani rapiti dalle brigate di Hamas, il 7 ottobre, e 30.000 i palestinesi morti “per liberarli” o, almeno, 11.000 i bambini palestinesi innocenti. Siccome è legittimo non dare credito al Ministero di Gaza, ma non si può ignorare il dato fornito da Save The Childern. Una proporzione, sia chiaro, che serve a sottolineare l’improbabilità che le intenzioni dell’invasione di Gaza siano realmente quelle espresse da Netanyahu e non a suggerire una qualche spendibilità dei cittadini israeliani tuttora ostaggio dell'organizzazione criminale.


Si è fatto un bilancio sommario, quasi intuitivo, ma, credo, onesto. Permettetemi ora una presa di posizione netta, ancorché lontana dalla tifoseria da stadio. Il sionismo è stato un errore della storia o, meglio, l’esito orrendo degli orrori della storia, ma “riunita” la diaspora ebraica in quella terra, santa ai tre monoteismi, certo non si sarebbe potuto pensare a una “soluzione” che non contemplasse uno stato ebraico. Caso quasi unico nella storia, si può affermare quasi pacificamente che, per una volta, la risoluzione Onu in materia, quella del ’48, fu ponderata e, tutto sommato, condivisibile. Eppure, personalmente, risulta difficile non simpatizzare con i patrioti, quelli dello Stato arabo di Palestina, che poco hanno a che vedere con Hamas; quelli che, aizzati, e poi traditi, dalle menzogne degli inglesi e dalla umma araba e, più in generale, mussulmana, insorsero contro la risoluzione stessa.


E, ancora, come non rivedersi in quei fieri soldati di Davide? Nati generazioni dopo la fondazione, essi difendono con una violenza oltre-umana l’unica casa che conoscono, quella casa che è anche casa di quello che dicono essere l’unico dio.


Nessuna equidistanza, è semplicemente il tentativo di elaborare, brevemente e in maniera incompleta, una complessità dalla quale, però, emerge, almeno in questo momento storico, una sola verità: il popolo palestinese è la vittima maggiormente colpita dal fuoco incrociato degli opposti, e uguali, malvagi.


È impossibile negarlo, l'Occidente, o, se si vuole, i governi occidentali, hanno avuto un ruolo, e quindi una colpa, nel generare e nel successivo alimentare il conflitto israelo-palestinese.


Da prima gli inglesi, incapaci di arrestare e regolamentare efficacemente l'immigrazione di religione ebraica, ben disposti a mentire per assicurarsi il favore di entrambi i popoli e poi incapaci di sorvegliare sull'attuazione della risoluzione del '48. Successivamente gli Stati Uniti che hanno progressivamente barattato un utile avamposto nel Medio Oriente con l'appoggio incondizionato alle follie di Israele, che pure, c'è da dirlo, coloni a parte, non sempre è mai stato l'unico male assoluto del Medio Oriente.


E ancora nel 2006, l'ingenuità colpevole: si tenta di tagliare le gambe al patriottismo palestinese arabo e socialista attraverso l'uso delle elezioni democratiche che, però, finiscono per assicurare il governo di Gaza ad Hamas. Da ultimo, e questo ci vede coinvolti tutti, Stati Uniti quanto Europa, l'incapacità di denunciare i crimini di Hamas senza prestare sostegno al massacro dei palestinesi che Israele va operando nell'invasione di Gaza.


Che lo si voglia o meno, l'Occidente è il centro del mondo e in quello che del mondo va male, se si scava fino in fondo, la nostra responsabilità si trova sempre: sia essa negligenza, danno attivo o errore di valutazione. Bushnell lo aveva capito perfettamente, Israele nulla può senza la copertura occidentale: i palestinesi uccisi, così come gli israeliani, pesano sulla nostra coscienza di occidentali.


Questa è la convinzione che spinto il martire, questo il monito che la Torcia di Washington ha lanciato all'Occidente.


Matteo Respinti

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