È stato impossibile non imbattersi in questi scorsi giorni sul recente dibattito relativo alla maternità surrogata. E, trascorso il clamore mediatico, quello che ci rimane è come sempre un nulla di fatto, che non aiuta invece a definire una situazione di fondamentale importanza sia per gli noi come attori politici, sia per noi come cittadini ed esseri “agenti”.
La questione della maternità surrogata coinvolge tutte quelle annose questioni che intersecano libertà e diritti individuali, nonché problemi pratici che ci troviamo ad avere nel regolamentare (e spesso inseguire) una realtà che di fatto c’è e che ci troviamo a dover coniugare con la nostra etica e con il nostro concepire la vita, così fondamentale nell’indirizzare il nostro agire politico.
Il casus belli che ha rilanciato il dibattito è stata la richiesta da parte del ministero dell’Interno al Comune di Milano di non registrare automaticamente all’anagrafe figli di coppie omogenitoriali. Il caso ha poi fornito l’assist perfetto per una passerella elettorale al Sindaco Sala che è addirittura volato fino al Parlamento Europeo nel dichiarato tentativo di denunciare questo fatto davanti alle sensibilità europee.
In realtà, la questione era (ed è) ben più complicata di quel che Sala e la sinistra voleva far passare in seno all’emiciclo di Bruxelles e che possiamo tristemente riassumere nel banale solito slogan “il cattivo governo di centro-destra nega i diritti ai bambini e alle coppie omosessuali” e lo è perché – come tutte le questioni di bioetica – coinvolge la sfera morale e la sfera giuridica.
Sulla prima però, la politica non ha potere: la filosofia ancora si interroga su quali siano, se ci siano, universali morali. Se la morale non sia niente più che una questione di costume, relativa in base al tempo ed allo spazio, differente tra individuo ed individuo, le cui metriche morali personali sfumino in infinte gradazioni o seppure coinvolga valori trasversali che accomunano diverse culture, diverse realtà, e che trascendono tempo e spazio. La letteratura è ricca a questo riguardo.
Al contrario, la politica è conscia di dover guardare all’etica come metro per orientare le proprie scelte ma nella certezza che le sfide che si trova a compiere sono ben più terrene: legate alle circostanze e con tutti i difetti che la realtà impone. Nella politica non c’è giusto o sbagliato, anzi, c’è una costante sfida a capire cosa sia giusto e cosa sbagliato, a seconda dei contesti e delle situazioni.
E le questioni bioetiche sono così: non esistono “giusti assoluti” o “sbagliati assoluti”. Non ci sono perché banalmente, generalmente, coinvolgono più soggetti.
Ci sono i diritti di coloro che diventeranno genitori, ma ben più, ci sono i diritti di coloro che diventeranno figli. E sono proprio quest’ultimi che creano incertezza, poiché sebbene noi possiamo sapere quali siano i desideri dei futuri genitori, non possiamo certamente sapere quali saranno quelli dei figli. Ed in questo caso, il desiderio dei primi, potrebbe andare a ledere il possibile desiderio dei secondi.
Dove regna l’incertezza, il primo dovere come politici è il diritto della tutela. Tutela che si estende a coloro che ancora non hanno facoltà di espressione ma che per questo non sono meno meritevoli di altri di essere ascoltati, soprattutto in possibili situazioni laddove il giusto per uno sia sbagliato per un altro.
Dove regna l’incertezza, imperativo morale che si ha è quello di adottare una disposizione di prudenza, di rispetto delle parti, nonché il più possibile affine all’ordine naturale delle cose (anche se alcuni obbiettano su proprio che ci sia un ordine naturale delle cose) piuttosto che lanciarsi in agende progressiste che cercano ossessivamente di affermare che “nuovo” sia sinonimo di buono.
Per questo, a monte sul casus belli – meramente dal punto di vista giuridico – è giusto difendere l’attuale legge in vigore in Italia. Se non altro, per una questione di metodo (appunto poiché quella di merito rimanda alla più grande questione etica).
Innanzitutto poiché è assurdo pensare di discutere una legge nazionale, che vede sensibilità e culture nazionali coinvolte, nell’emiciclo europeo che vede invece come rappresentanti, cittadini di altri stati. A maggior ragione, poiché lo si voleva fare in barba ai trattati che gelosamente dichiarano che proprio per le ragioni di cui sopra, queste sono questioni di competenza nazionale.
Ciò detto, l’attuale legge italiana consente la fecondazione assistita omologa (ovvero da gameti della coppia) ma vieta la fecondazione assistita eterologa (ovvero da gameti di soggetti esterni alla coppia), sia essa praticata da coppie omosessuali o eterosessuali. Dunque l’obiezione mossa dal sindaco e dalla sinistra rispetto ad una presunta ostilità verso le coppie omosessuali è rimandata al mittente.
Si noti poi che questa legge non cambiata nemmeno con la sinistra al governo ed a ben ragione, poiché anche la sinistra si rendeva conto che non fosse giusto normare genericamente questa materia, senza prendere in considerazione caso per caso. Difatti, a questo riguardo è bene ricordare che la richiesta del ministero dell’interno riprendeva una sentenza della corte di cassazione dello scorso dicembre che stabiliva che i bambini nati all’estero con maternità surrogata sono riconosciuti in Italia come figli di entrambi i genitori soltanto su previa sentenza di un giudice e non tramite semplice atto amministrativo.
Sentenziando dunque che il riconoscimento di entrambi i genitori non è escluso a prescindere, ma che al contrario, è materia di giudizio da parte della corte. A beneficio, a tutela e rinforzo, ancora una volta, dei più deboli, dei bambini.
Pertanto anche il giudizio della commissione Politiche europee del Senato che ha bocciato la proposta di regolamento Ue per il riconoscimento dei diritti dei figli anche di coppie gay e l’adozione di un certificato europeo di filiazione è stato sostanzialmente giusta. Sebbene infatti sia vero che ci sia un problema di normazione europea – che consente ai cittadini di aggirare le regole tra uno Stato all’altro – la proposta rischiava di ridurre una questione che vede coinvolti infiniti casi, sfumature e sensibilità, ad un banale automatismo.
Automatismo, evidentemente e tristemente, concorde alla concezione della vita che alcuni poveri disillusi hanno. Coloro che non vedono, o non percepiscono, quanto di magico ci sia nel miracolo della vita e che si ostentano piuttosto a credere che “generare” non sia nulla più che una banale transazione, alla stregua di qualsiasi compravendita, sia essa tra un bambino o una macchina.
Silvia Pasquini