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Michel Houellebecq, amore e decadenza


«Ecco come muore una civiltà, senza seccature, senza pericoli né drammi e con pochissimo spargimento di sangue, una civiltà muore semplicemente per stanchezza, per disgusto di sé», Serotonina.

Michel Houellebecq è forse il più importante scrittore francese contemporaneo.

Scorretto, cinico, crudo e, tuttavia, drammaticamente realista.


Houellebecq fa discutere, sempre e comunque. Fanno discutere le sue dichiarazioni sull’islam, sul declino dell’Occidente, il linguaggio esplicito e il ruolo primario che la sfera sessuale occupa nei suoi romanzi; la critica progressista ha più volte tentato di ridurlo ad un vecchio depravato.

Eppure, in un modo o nell’altro, la parola di Houellebecq riesce sempre a superare la soglia di attenzione dell’uomo medio, anche in un mondo come il nostro dove si legge poco e ancora meno ci si cura della letteratura.


Ritengo che ciò che rende Michel Houellebecq così imprescindibile nel panorama letterario odierno sia la sua capacità di individuare dei tópoi del contemporaneo: vede, cioè, quelle che sono le ferite, i punti dolenti del presente.

Difatti, possiamo dire che la sua intera produzione artistica si basi su un’intuizione che teorizza, ancora acerba, nel suo primo romanzo Estensione del dominio della lotta, e coll’andar del tempo, via via che la stessa intuizione matura nella sua mente, la definisce sotto varie angolature nelle opere successive.


Il primo elemento fondamentale che Houellebecq coglie è la lotta, da cui poi il titolo del libro. La lotta è ciò che caratterizza il mondo in cui i suoi personaggi si muovono.

Tutto è lotta, competizione e volontà di sopraffare il prossimo. Non c’è spazio per altro nella realtà che circonda gli uomini contemporanei.

La lotta che prima era relegata ad un ambito strettamente economico, competizione tra aziende per il predominio sul mercato, ora si è espansa; si è estesa, riuscendo a permeare e ad intaccare la sfera più intima dell’essere umano: quella delle relazioni.


L’effetto del liberismo è stato, infatti, quello di applicare la medesima legge del mercato non più solo all’uomo in quanto lavoratore, dividendo la società in individui con un lauto stipendio e individui che vivono di stenti, ma all’uomo nella sua totalità e la lotta diviene anche lotta per il primato sessuale: ci sono uomini che riscuotono un notevole successo con le donne, e vivono una vita erotica varia e appagante, mentre altri che vengono abbandonati alla solitudine.

Questo è l’effetto devastante della società liberale: la legge del mercato come legge che regola l’intero universo umano.


All’interno di questa realtà i personaggi che Houellebecq descrive sono come delle monadi, che fluttuano disperse, senza più punti di riferimento. Sono generalmente uomini di mezza età, alter ego dello scrittore per certi versi, che hanno riscosso un discreto successo nella vita, troviamo un professore universitario, un programmatore informatico, o anche semplicemente un uomo che ha avuto la fortuna di ricevere una cospicua eredità.

Questo successo, seppur discreto, è tale da permettere ai protagonisti di potersi tirare fuori dalla lotta, e di osservare, con occhio cinico e spietato, le dinamiche dell’attualità.

Sono, poi, personaggi incapaci di relazionarsi agli altri, incapaci di rompere la propria solitudine e comunicare, non hanno amici o affetti, neppure familiari. Inerti, lasciano che la vita scivoli loro addosso, senza opporsi agli eventi ma accettando ogni cosa con una silente passività.


Il tipico protagonista di Houellebecq lascia che il mondo gli cammini a fianco senza toccarlo. Eppure, io credo che questa estrema accettazione di tutto celi un ben più profondo rifiuto: l’uomo colpito e sopraffatto dalla brutalità della vita, del mondo che si ritrova ad affrontare, decide volontariamente di non volerne più fare parte.

Così è il caso del protagonista di Estensione del dominio della lotta, programmatore informatico, totalmente in balia degli eventi, che però chiuso com’è nella sua insensibilità, non ne viene toccato mai.

Ecco, i personaggi di Houellebecq paiono totalmente anestetizzati.

In un quadro del genere appare chiaro come le relazioni umane, interpersonali siano impossibili.

L’uomo, nel mondo della lotta, viene a contatto con l’altro solo per scontro o con la donna per soddisfare il bisogno sessuale.


Se l’uomo è completamente passivo, la donna adulta, invece, per sopravvivere alla competizione e affermare il proprio ruolo nel contesto lavorativo è stata costretta a spogliarsi di tutti quei tratti che appartengono alla femminilità, quali la dolcezza, l’accoglienza o l’accudimento materno, per indossare abiti tipicamente maschili. Le donne, cioè, sono descritte come fredde, respingenti e fortemente aggressive e nessun uomo ha interesse ad interagirvi, a entrarvi in relazione.

La sofferenza profonda che intride ogni cosa, ogni parola e ogni gesto che i personaggi compiono è frutto della mancanza di equilibrio tra energia maschile e femminile nell’universo, della disgregazione di tutto ciò che un tempo era un’isola di salvezza all’interno del tremendo mare della vita: la religione, la famiglia, i valori della tradizione, tutto soccombe sotto i colpi del materialismo.


Infine, il grande assente dai romanzi di Houellebecq è l’amore.

L’amore come unica in grado di lenire le ferite, di alleviare la sofferenza e permettere di sopportare la tragicità della vita, con cui tutti ci scontriamo riamane, tuttavia, inafferrabile, un labile fiore di poesia.

Nel mondo della lotta, nessuno può permettersi di mostrare le proprie debolezze senza che l’altro le usi per affermare il proprio predominio.

Perciò l’amore risulta impossibile ed può entrare nella vita dei protagonisti solo per assenza: attraverso la dimensione del ricordo, un’illusine di giovinezza, uno spazio incontaminato di ingenuità, quando ancora la donna, tenera, non era stata toccata dalle feroci dinamiche della realtà.

L’assenza dell’amore, e di qualunque forma di coinvolgimento sentimentale o emotivo lasciano un vuoto profondo, che l’autore enfatizza descrivendo scene di sesso in maniera esplicita, non lesinando particolari e con una grande crudezza.

E per quanto trovi tutto ciò a tratti brutale e certamente lontano dal mio gusto personale, lo riconosco reale: chi voglia narrare l’amore, per come viene concepito nella nostra società, deve per forza raccontarne l’assenza, altrimenti sta semplicemente scrivendo l’ennesima favola d’amore, bella certamente, ma del tutto irrealistica.


Come l’amore, così anche la famiglia subisce lo stesso destino. La famiglia si è dissolta, lasciando il posto all’indifferenza. Indifferenza nei confronti dell’altrui sorte, anche quando l’altro è un consanguineo. Il protagonista di “Sottomissione”, ad esempio, si ritrova a chiedersi che fine abbia fatto suo padre, Paul di “Annientare” si accorge di non sapere assolutamente nulla sulla vita dei fratelli, di non essersene mai curato, come se tra loro non vi fosse alcun legame.

A tal punto la legge del mercato è riuscita a corrodere i rapporti umani.


Da qui nasce la frustrazione che permea e attraversa i romanzi di Houellebecq, dalla distanza insanabile tra il bisogno di essere amato, ancestrale e intrinseco all’uomo, e un mondo in cui questo bisogno, un bisogno dello spirito, al contrario di tutti i bisogni materiali, è irrealizzabile.


La decadenza dell’Occidente forse si trova proprio in questo assunto: l’incapacità di concepire i bisogni dello spirito.

Il materialismo, ci dice Houellebecq, ha ucciso lo spirito, lasciando gli esseri umani orfani a vagare in un mare troppo vasto, senza più né famiglia, né amore né religione che possa salvarli.

Bianca Marzocchi

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