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Milano sotto attacco: il caldo e polemizzato agosto milanese del 1943


Per approfondire: Breda M.A., Calini A., Padovan G., Bombardano Milano. Rifugio Antiaereo N° 87, Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano, Milano 2020.

 

Bombardano Milano:

 

Un evento drammatico va raccontato, diviene storia, va approfondito. Andrebbe considerata ogni versione, per meglio comprendere non tanto che cosa effettivamente sia avvenuto, dal momento che l’oggettività è facilmente desumibile dai dati. Si deve comprendere, invece, come sia stata pilotata l’opinione pubblica nei giorni immediatamente successivi e, principalmente, come nei decenni successivi all’evento, a guisa di onde lacustri, le “informazioni” siano dirette ora in un verso ora nell’altro.

 

L’anno 1943 ha fatto registrare a Milano gli attacchi aerei più micidiali subiti nel corso della Seconda Guerra Mondiale. L’8 agosto 1943, tra l’una di notte e l’una e venti vengono attaccate quasi simultaneamente le città di Genova, Torino e Milano con effetti devastanti.

 

Cinque giorni più tardi, ovvero a cavallo del 12 e 13 agosto, viene avviata una nuova operazione del Bomber Command inglese, coinvolgendo varie città non solo italiane:


«Il bombardamento di Milano cominciò all’1 e 11, un minuto prima del previsto, mentre un fortissimo vento d’alta quota proiettava letteralmente le prime ondate d’apparecchi sulla capitale lombarda» (Bonacina G., Commando Bombardieri Operazione Europa. Secondo volume 1943-1945: le tempeste di fuoco, Longanesi & C., Milano 1977, p. 35).

 

Di primo acchito le informazioni sui conteggi delle persone ferite e uccise, nonché sui danni subiti, sono poco chiare. Ciò è comprensibile perché molti civili sono rimasti intrappolati nei così detti “rifugi casalinghi”, ovvero le tristemente note “cantine puntellate” (talune cantine erano invece prive di qualsivoglia rinforzo delle volte) e si cerca di estrarne i cadaveri dei quali, ovviamente, non si conosce il numero. Molti edifici stanno ancora consumandosi o cadendo pian piano a pezzi. Inoltre, in rapida successione, Milano è bombardata altre due volte, a cavallo del 14 e 15 nonché del 16 sul 17. Il Governo è chiaramente preoccupato e non vuole diramare comunicati allarmanti. Queste sono tutte cose che, in una guerra, in una qualsiasi guerra anche odierna, avvengono di continuo.

 

Da parte inglese il Night Raid Report n. 402 dirama entusiasticamente una stima dei disastri inflitti a Milano.

 

La realtà dei fatti:

 

In realtà il bilancio delle calde notti dell’agosto milanese presentava danni ben maggiori di quelli strombazzati delle stime inglesi. Una fonte per tutte ci viene dalle indagini di Giorgio Bonacina il quale, lo si rammenta, già negli Anni Settanta si è recato nel Regno Unito a consultare negli archivi militari quei documenti da poco desecretati. Lo storico scrive che si tratta di un «panorama incompleto delle devastazioni provocate a Milano dai quattro bombardamenti del 7-8, 12-13, 14-15 e 16-17 agosto» (Ibidem, pp. 43-44).

 

Difatti, soggiunge che «in quattro notti Milano era stata rasa al suolo quasi al 25 per cento, e per un altro 35 per cento aveva subito danni così gravi da richiedere una lunga opera di ricostruzione. Letteralmente spariti 1400 fabbricati. Semidistrutte altre 9400 case, delle quali 6600 in modo irreparabile. Lesionate meno gravemente circa 15.000 case; 260.000 i senzatetto secondo le statistiche, in realtà più di 400.000 e forse addirittura mezzo milione.


Ben poche città della Germania, strutturalmente più vulnerabili, ma anche assai più strenuamente difese, erano ridotte, verso la metà di agosto del 1943, nelle condizioni di Milano. Che tuttavia, a dispetto degli spaventosi colpi incassati, denunciò in un certo senso i limiti dell’area bombing. La facilità con la quale in quattro notti 869 bombardieri, su 916 inviati, avevano infierito su Milano, lanciando 1429 tonnellate di ordigni esplosivi e 1010 tonnellate di bombe e spezzoni incendiari, non era bastata a porre veramente in ginocchio una città di dimensioni europee» (Ibidem, p. 44-45).

 

Gli scritti di Bonacina, unitamente a quelli di altri seri studiosi, si possono utilmente raffrontare con le stime contenute nel libro Milano in guerra della Cederna e colleghe. Si veda, difatti, come in tale lavoro, senza dubbio di stampo politico, si sottostimano, e di parecchio, i danni subiti dalla Città di Milano nel corso dell’ultimo conflitto (Cederna C., Lombardi M., Somaré M., Milano in guerra, Feltrinelli, Milano 1979).

 

Posso solo aggiungere il mio personale pensiero: gli Inglesi sottostimarono il disastro causato a Milano in quanto le spie e i rilevamenti fotografici aerei non furono in grado di comporre un quadro reale; da parte italiana non trapelarono le stime effettive per ovvi motivi tattici e per non aggravare il morale della popolazione. Il lavoro di Cederna & Compagne, per quanto interessante, ricalca approfondendo il solco della distorta conoscenza perché, comunque, se il disastro rimane innegabile, il numero dei morti e delle distruzioni è risibilmente basso, per ovvi e politici motivi post-bellici e che ancora oggi “vanno per la maggiore”.


Una “nuova trovata”: il “terror bombing

 

Praticamente dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale si discute sull’utilità di avere bombardato le città e avere quindi colpito i civili. Ma non solo. I bombardamenti contro la popolazione avevano molteplici scopi: punitivo, dissuasivo, fiaccante. Ma anche temporeggiatore perché, quando non si era in grado di risolvere a breve le situazioni, necessitando tempo e mezzi per preparare delle azioni militari di una certa consistenza, si utilizzava l’arma aerea per i logoranti bombardamenti a tappeto.

 

Detto tra parentesi, secondo le “convenzioni” anteguerra, era vietato bombardare i civili e le città che non presentassero installazioni militari. Ma questo (detto con molto sarcasmo) è solo un “dettaglio”.

Veniamo ai dati di fatto.

 

Il “Terror Bombing” era il programma inglese e statunitense per poter vincere la guerra. Sostanzialmente prevedeva:


  • indurre la popolazione civile allo “stress” e alla ribellione al proprio governo;

  • eliminare quanti più civili possibile;

  • eliminare il patrimonio storico, artistico e culturale della nazione da conquistare.

 

Per l’Inghilterra uno dei fautori del Terror Bombing è stato Arthur T. Harris, capo del Bomber Command dal febbraio 1942 al settembre 1945. Rimane invece meno nota la figura del professor Solly Zuckerman, docente all’Università di Oxford, consigliere scientifico del generale Dwight Eisenhower (poi presidente degli U.S.A. dal 1953 al 1961) soprattutto per quanto riguarda i bombardamenti sull’Italia e in particolare sui centri abitati privi d’installazioni o fabbriche d’armamenti militari.

 

Scrive un altro studioso, Giuseppe Ghergo: «nel settembre del 1940 Charles Portal, capo del Bomber Command che raggruppava la forza da bombardamento della R.A.F., emanava un foglio d’ordine con il quale prescriveva che gli obiettivi da colpire dovevano essere scelti fra quelli situati all’interno di città densamente abitate, di modo che se non si fosse riusciti a centrarli le bombe cadessero sulle zone residenziali.


Fu questa la prima volta che si ammise che la popolazione civile costituiva un bersaglio delle incursioni, seppure ancora secondario e derivato» (Ghergo Giuseppe Federico, Il Terror Bombing 1940-1945. Parte 1a, in Storia Militare, n. 135, anno XII, dicembre, Parma 2004, p. 6 [pp. 4-16]. Vedere utilmente anche: Id., Il Terror Bombing 1940-1945. 2a parte, in Storia Militare, n. 135, anno XII, dicembre, Parma 2004, pp. 17-29).

 

A Palazzo Morando, durante la mostra Milano, storia di una rinascita. 1943-1953 dai bombardamenti alla ricostruzione” (Milano, 10 novembre 2016 – 12 febbraio 2017) lo storico Valentino Scrima ha tenuto la conferenza pubblica Milano muore sotto le bombe (sabato 14 gennaio 2017 ore 15.00) in cui senza mezzi termini ha dichiarato che la maggior parte degli ordigni sganciati su Milano è stata concentrata nella zona oggi indicata come “Area C”, ovvero nel centro storico, dove è comunemente noto che non vi fossero industrie.

 

Difatti, ogni studioso di Milano sa che il centro storico milanese, ovvero quello racchiuso nella cerchia bastionata rinascimentale, non possedeva industrie, ma al più piccole fabbriche. Ma il “programma” anglo-statunitense prevedeva che Milano fosse la prima città europea ad essere cancellata mediante la “tempesta di fuoco” (come subì, ad esempio, Anversa) già nell’ottobre del 1942. Dato che la qualcosa non riuscì si riprovò nell’agosto del 1943.

 

Bombardamenti su Milano: ciò che ancora si nega

 

I bombardamenti effettuati su Milano dall’aviazione inglese e americana sono stati rivolti soprattutto a colpire la popolazione civile e le opere monumentali, non già la produzione industriale.

 

Scrive lo storico militare Filippo Cappellano, a proposito dei bombardamenti inglesi e statunitensi subiti dall’Italia nel corso della Seconda Guerra Mondiale, riportando lo stralcio di una relazione dell’Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore del Regio Esercito e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali in riferimento al periodo che va dall’aprile al settembre del 1945:

 

«Praticamente tutte le fabbriche della zona di Milano sono intatte. Danni di lieve entità causati precedentemente da bombardamenti aerei sono già stati riparati da lungo tempo. Poiché tutte le informazioni ricevute concordano nell’affermare che le centrali idro-elettriche della regione sono indenni si ha ragione di ritenere che le industrie potrebbero riprendere a funzionare e raggiungere la loro normale produzione base qualora si riesca a far fronte alla necessità di carbone» (Cappellano Filippo, L’industria bellica dell’Italia Settentrionale alla fine del conflitto, in Storia Militare, n. 135, anno XII, dicembre, Parma 2004, pp. 27-28 [pp. 17-30]).

 

Tornando ai bombardamenti subiti dalla Città di Milano, molti ancora oggi si chiedono per quale ragione si sia penalizzata la popolazione civile, causando invece danni limitati ai centri di produzione industriale come, ad esempio, il polo di Sesto San Giovanni, situato appena a nord di Milano. Qui erano concentrate varie acciaierie e industrie d’importanza nazionale come, ad esempio, la Falck (Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck).

 

Il dott. Giuseppe Vignati che lavorava all’I.S.E.C. (Istituto per la Storia dell’Età Contemporanea) di Sesto San Giovanni, a suo tempo mi ha confermato che in effetti Sesto aveva subito pochi bombardamenti, se si eccettuava quanto avvenuto alle Acciaierie Breda, pesantemente colpite. Mi disse, più o meno testualmente, che “eccettuato l’azzeramento della Breda, sull’intera Sesto San Giovanni non erano cadute più di 15-20 bombe d’aereo”.

 

In particolare mi aveva dichiarato che in uno dei due stabilimenti delle Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck lavoravano due ingegneri americani e questi asserivano che non sarebbe stato necessario spendere tempo e soldi per realizzare i rifugi antiaerei per il personale, in quanto lo stabilimento non sarebbe mai stato bombardato.


Nello specifico mi disse che “nel 1942 un gruppo di operai diretto da una squadra di tecnici cominciò a scavare per la realizzazione di due rifugi antiaerei; i due ingegneri americani che lavoravano alla Falk li videro e li presero bonariamente in giro asserendo che stavano perdendo il loro tempo, perché la Falck non sarebbe mai stata bombardata”.

 

E così è stato: le grandi aree industriali Falck non vennero né mitragliate, né “spezzonate” e tantomeno bombardate. In ogni caso, come mostrano i documenti qui presenti, la “voce” che inglesi e statunitensi non conoscessero con precisione il numero e la consistenza delle fabbriche, nello specifico milanesi, è totalmente falsa.

 

Nella documentazione Americana “TOP SECRET” (desecretata), di cui vi presento alcuni documenti (tre dei quali inediti), viene indicata la posizione delle fabbriche milanesi, la tipologia di produzione e il numero di operai. In pratica l’intelligence avversaria sapeva perfettamente quali obbiettivi industriali non andassero assolutamente colpiti, come negli eclatanti casi di Legnano, Saronno, Sesto San Giovanni, Como e in tutti gli altri centri lombardi dov’erano presenti le industrie accuratamente preservate.

 

Concludendo… o principiando?

 

Concludo con un “simpatico” quesito riferito a Milano, ma estensibile a tutta l’Italia:

 

1. Quanti morti tra la popolazione civile hanno causato i bombardamenti e i mitragliamenti “a bassa quota” (di cui nessuno vuol parlare) della Seconda Guerra Mondiale?

 

2. Idem come sopra: quanti sono stati i feriti e gli invalidi permanenti?

 

Dichiaro che la risibilissima cifra compresa tra i mille e i duemila morti meneghini che ancora vergognosamente gira come clown nei nostri libri storici va definitivamente cassata: che si dia dignità a coloro che morirono sotto le bombe, ricordandoli tutti.

 

Il mio pensiero? Se il Popolo non sa, non può valutare e così domani lo si rimanda in guerra non già per la difesa della Patria, ma per gli interessi delle Banche e delle Industrie.

 

E ora mi rivolgo ai giovani: care Ragazze e cari Ragazzi, sarà il caso che capiate che cosa sia stata per l’Italia la Seconda Guerra Mondiale e in tale frangente per la Città di Milano. L’albero della Conoscenza va tenuto diritto, altrimenti non dà frutti.


Gianluca Padovan

 

***


Testo di riferimento:


Breda M.A., Calini A., Padovan G., Bombardano Milano. Rifugio Antiaereo N° 87, Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano, Milano 2020.

 

Didascalie:

  


1. Milano: desolazione ovunque, dopo i bombardamenti (Comune di Milano, Sui cieli di Milano è passata la Raf, supplemento a Milano, marzo, Milano 1943-XXI, p. 38).

 

 

2. Scorcio del centro di Milano dopo un bombardamento (Comune di Milano, Sui cieli di Milano è passata la Raf, supplemento a Milano, marzo, Milano 1943-XXI, p. 14).



3. Via Torino, anno 2004: parte di un isolato è ancora nelle medesime condizioni del tempo di guerra, ovvero sventrato dalle esplosioni (foto G.P.).





4. Documenti statunitensi desecretati, tratti dalla cartella: «NO. 3644 MILAN NI».

 


5. Sesto San Giovanni, ex Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck: ecco uno dei due modesti rifugi antiaerei del tipo “tubolare”, capace di contenere poche decine di persone (foto del gennaio 2005, di Gianluca Padovan).

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