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Natale in trincea

Il Natale è arrivato anche in trincea.



A luglio Kiev ha deciso di anticipare le celebrazioni al 25 dicembre, per smarcarsi dalle tradizioni russe: l’impaziente Zelensky vuole scartare in anticipo i regali (per quanto si possano definire tali) che continuano ad arrivare dalla Casa Bianca, a dispetto della capienza degli arsenali ucraini e l’opposizione dell’opinione pubblica statunitense.


Se ancora qualche ucraino si chiede per quale causa è disposto a sacrificare la propria vita, suonerà forse come un ridicolo paradosso sentire qualcuno che dice di combattere per la propria patria. Quanta ingenuità nelle sue parole! A meno che per patria non intenda quella dello zio Sam. Il massacro di civili e giovani soldati obbedisce ad una logica che va ben al di là del semplice patriottismo. Il patriottismo ha fatto la muffa sugli scaffali della storia. È stato sostituito dai ben più concreti interessi economico-materiali.


Gli ucraini hanno intenzione di combattere per una patria che essi stessi hanno contribuito a disgregare uniformandosi ai dettami d’oltreoceano: la classe dirigente è disposta persino a riformare cultura e tradizioni per continuare a fare la corte all’Unione Europea e agli USA. Ma una volta che un popolo perde la propria identità culturale non può che predisporsi ad essere fagocitato dagli altri. È stato il caso della cultura europea post-bellica, sarà il caso di quella ucraina nel caso le sorti del conflitto dovessero volgere a favore del fronte occidentale. Lo sviluppo della cultura di un popolo e il suo stato di salute coincidono inequivocabilmente.


Non è la prima volta che dei soldati si trovano a fare i conti con la fredda desolazione di un Natale in trincea: memorabili sono le Note dal fronte russo del fondatore del Partito Rexista belga, Léon Degrelle. Se in apparenza l’azione patriottica ucraina e quella di Degrelle possono sembrare animate dagli stessi ideali, in principio ben diverso è il sogno che ha infiammato il cuore del belga.


«Avevo sognato un secolo di Cavalieri, forti e nobili, dominatori di sé prima che dominatori di altri. Duro e Puro dicevano le mie insegne». [1] p.15


Qual è l’utopia degli ucraini invece? Dormire sul comodo guanciale della mediocrità di importazione statunitense.


Degrelle sognava un’Europa unita che potesse da sola contrastare le forze atlantiste e sovietiche: egli è stato smentito dalla sua disfatta, noi non smettiamo di credere in questo ideale nel suo ideale.


Quell’impavido sognatore scriveva: «Gesù avrebbe potuto nascere nel nostro rifugio. Candore delle brave bestie del presepio, che facevano tutto quel che potevano…

Candore del cuore dei pastori, che non hanno dubitato un attimo, che non hanno fatto calcoli, e che hanno immediatamente portato tutto…». [2] p83


Righe che ci fanno riflettere su cosa significhi il Natale per chi lo vive in guerra e assaggia quotidianamente l’amarezza della vita; un monito feroce per noi europei che viviamo le festività correndo da un centro commerciale all’altro.


Degrelle sopportava il suo martirio perché era consapevole di combattere per la salvezza dell’Europa, soltanto ciò lo spingeva a opporre resistenza ad ogni fatica, a donarsi senza riserve. Cosa resta invece ai soldati ucraini, se non il simulacro di una patria in cui nessuno crede più? Cosa resta oltre alla fatica che appesantisce le tasche degli speculatori bellici?


L’esempio di Degrelle, soprattutto a Natale, continua a suggestionare: noi europei siamo chiamati a donare tutti noi stessi per cambiare qualcosa in un mondo insensibile agli slanci più nobili. Il donarsi non deve essere inteso soltanto nel senso cristiano: vuol dire innanzitutto mettersi a disposizione della comunità e delle sue tradizioni per preservarci dall’oblio storico.


Forse ci troviamo davanti ad un appello, a riscoprire la nostra identità e la nostra cultura, che non può più essere ignorato: questa riscoperta richiede forza e sacrificio.


Se la neve continua a scendere copiosa e a soffocare il vigore della nostra fiamma, sarà soltanto l’occasione per ardere più intensamente.


Gabriele Pannofino

[1] L. Degrelle, Militia, Padova, Edizioni di Ar, 1996, p.15.

[2] ibìdem, p.83.

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