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Paolo Mieli, il suo nulla non avrà Ernst Jünger


La vita e il pensiero di Ernst Jünger avrebbero dovuto essere tema di una puntata di Passato e Presente, la trasmissione di Rai Cultura condotta da Paolo Mieli. Il condizionale è d’obbligo perché, nonostante l’episodio sia effettivamente andato in onda (martedì 16 aprile), cosa ospite e ospiti abbiano realmente trattato risulta davvero complicato dirlo.


Prima su Rai 3 (ore 13:15) e poi su Rai Storia (20:30), a essere trasmessi, al di là dei – pochi – dati storico-biografici e dei – sempre pochi – riferimenti alle opere, sono stati 36 minuti di chiacchiera sul nulla.


Concorda sicuramente con me – si, lo so per certo senza che egli ne abbia fatto parola – il professore Emilio Gentile, per l’occasione interlocutore del conduttore, che, unico, ha tentato di liberare Jünger dal piattume-pattume in cui, invece, Mieli ha lottato con tutte le forze per trascinarlo.


Come intuendo l’andazzo della trattazione, il professore premette, a pochi minuti dall’inizio, che una trasmissione su Jünger non sarà sufficiente, 35, ironizza, sarebbero un inizio. Il problema qui è che quella offerta non è neppure un’introduzione.


Il prussiano diventa mera pedina del burattinaio Mieli, il quale ha una tesi, “la guerra è una cosa brutta”, e tenta, alternando, di infilarla prima nella bocca del filosofo e poi in quella del professore: Mieli accosta l’Ernst Jünger post Nelle tempeste d’acciaio, di cui null’altro viene detto se non che fu capace di affascinare destra e sinistra, quasi fosse un pentito, al Remarque di Niente di nuovo sul fronte occidentale. Questo mio scritto potrebbe concludersi qui.


Al giovane Jünger, che parte volontario per il fronte, non è riservato un trattamento migliore: per Mieli è un giovane borghese, annoiato dalla Bell’époque, che vive il trauma della guerra e, romanzando, si costruisce un nome propagandandola alla borghesia germanica e, così, prepara il terreno per l’ascesa di Adolf Hitler.


Nessun afflato metafisico, nessun tentativo di comprendere l’uomo nell’integrità della sua vita o nell'integralità del suo pensiero organico. Solo pezzi di Jünger, posti l’uno contro l’altro, e spiriti, come tecnica e modernità, evocati dallo stregone Mieli, in vero piuttosto assonnato.


«Krieger», dice qualcuno, e la lingua di Prussia in Rai non può che suscitare emozioni, ma la potenza del vocabolo si dissolve negli spazi egualitari e democratici: Jünger è un uomo da sottrarre alla Destra, allo studio delle comunità militanti, all’editoria non conforme, alla lettura dei singoli. Jünger per Mieli è un involucro (il nulla violenta anche i corpi) da farcire a fondo con quella retorica viscida il cui fine è produrre castrati.


L'Operazione Mieli non è certo iniziata martedì scorso, toccò a Julius Evola e già allora qualcuno salutò con favore lo sdoganamento in Rai temendo, giustamente, il settarismo di un certo mondo. Le parole scritte allora dai discepoli del Barone (per il quale, è lo stesso per Jünger, destinatari della riflessione sono solo i singoli, le comunità e, quindi, le elitè,) rimangono vere e d'aiuto anche in questa occasione:


«è bene chiarire che la logica del “purché se ne parli” non ci è mai appartenuta. Non abbiamo queste fisime anche perché, per il suo tramite, si è spesso giustificato il condividere il testimone di Evola con ambienti tutt’altro che in ordine e in linea con gli insegnamenti della Tradizione. 


Il nostro compito è e sarà sempre quello di fare luce sul pensiero di Evola, diradando le nebbie della mistificazione, e renderlo fruibile a tutti coloro che, animati dalla ricerca del Sacro, vorranno trasmutarlo in concreta azione di rettificazione di sé: (meta)politica, esistenziale, dottrinaria.»


Pochi paragrafi di sfogo, un grido che sproni alla rivola culturale, soprattutto nell’ora della destra di governo, sotto la bandiera di un aforisma del «combattente», dell’«operaio» e dell’«anarca», che Pangea ha riscoperto per noi: «le farfalle sono più forti dei demoni».

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