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Questo mondo non mi renderà progressista

Controrecensione dell’ultima serie di Zerocalcalare

Una riflessione, non una recensione:


È necessaria una premessa in apertura di questo contributo: chi scrive non è un esperto del mondo dei fumetti, né un appassionato, né tantomeno un tecnico del settore; e lo stesso vale per il mondo dell’arte cinematografica, latamente intesa.


Nonostante ciò, o proprio per questo, ho ritenuto di condividere tramite queste colonne la mia opinione sull’ultima serie di Zerocalcare, uscita lo scorso 9 giugno sul colosso dello streaming Netflix: è il punto di vista di chi, a sera, accende il televisore e intende guardare una bella serie tv o un film ben fatto, e invece si ritrova di fronte all’ennesimo prodotto del laboratorio del Pensiero unico.


Nessun pregiudizio:


Credo sia giusto non avere alcun pregiudizio nella vita, nei rapporti umani, e persino nei confronti degli artisti che dominano il panorama musicale e televisivo di questo principio di secolo: semplicemente, è importante distinguere i piani – quello politico/ideologico e quello artistico, appunto. Se uno è bravo, è bravo e basta. A prescindere dal voto che esprime in cabina elettorale.


Con questa libertà mi sono approcciato alla prima serie targata Zerocalcare (Strappare lungo i bordi, rilasciata sempre su Netflix nel 2021), nonostante fossi consapevole del fatto che l’autore del fumetto animato sia distante anni luce dalla mia visione del mondo e della società.


In effetti, si è rivelata una serie interessante, una riflessione sincera e diretta sulla vita e sulle sue ombre, scanzonata e seria al contempo, pur non avendo condiviso, comunque, il messaggio sotteso: la retorica nichilista del “filo d’erba” – «Ma non te rendi conto di quanto è bello? Che non porti il peso del mondo sulle spalle, ma che sei soltanto un filo d’erba in un prato? Non ti senti più leggero?», chiede la coprotagonista a Zero; alla quale si potrebbe obiettare quantomeno che ogni filo d’erba, nella sua realtà, per quanto piccola e fragile possa apparire, porta comunque «il peso del mondo» sulle proprie spalle, e che l’esserci o non esserci in quel prato non è indifferente né per gli altri fili d’erba né per l’ecosistema in cui è inserito (che poi questo peso non debba schiacciarci, fuor di metafora, è un altro conto; ma la teoria sostenuta nella serie non suona proprio così).


La trama della nuova serie:


Incuriosito da questa prima esperienza e dall’eco mediatica che ne ha accompagnato il lancio, ho guardato il nuovo prodotto del fumettista romano dal titolo Questo mondo non mi renderà cattivo. In pieno stile Zero e coerentemente con la prima serie, anche la nuova intende offrire spunti di riflessione sui rapporti umani vissuti da uomini e donne al limite tra la giovinezza e l’età adulta in un mondo spietato perché indifferente ai loro destini. La trama ruota intorno al ritorno nel quartiere che fa da sfondo alle vicende (chiamato nella serie Torstaceppa) di un amico d’infanzia del protagonista Zero, rincontrato dopo vent’anni trascorsi dal primo in una comunità di recupero per tossicodipendenti: egli «fatica a riconoscere il mondo in cui è cresciuto» e «Zero vorrebbe fare qualcosa per lui ma si rende conto di non essere in grado di farlo sentire a casa» – si legge nella presentazione che Netflix fa della serie.


Insomma, le premesse apparivano molto buone.


Sennonché, sin dal primo episodio, risulta evidente il messaggio politico che accompagnerà lo spettatore fino alla fine.


Tutte le vicende, infatti, si intrecciano con un gruppo di nazisti – così vengono definiti senza mezzi termini nei primi episodi – che intraprendono una lotta più o meno accesa contro l’apertura di un centro di accoglienza a Torstaceppa, aizzando i cittadini residenti contro i migranti lì ospitati con il solo scopo di evitare che i “nuovi arrivati” li sostituiscano o comunque interferiscano con la loro gestione delle piazze di spaccio del quartiere.


A questo punto si rende necessaria un’ulteriore precisazione prima di proseguire, e cioè che non si mettono in dubbio tre aspetti che emergono da questa narrazione: che alcuni gruppi attivi nelle periferie romane, e in generale delle grandi città, non disdegnano di essere definiti nazisti o fascisti, e che spesso si comportano come tali; che i migranti, tutti i migranti, sono effettivamente «uomini, donne e ragazzini che sono sbarcati dalla Libia un mese fa (…) buttati dentro a sto centro», come dice la voce narrante, e quindi prime vittime del perverso sistema migratorio affidato a scafisti senza scrupoli; che certamente spesso le azioni dei gruppi cui poc’anzi si faceva riferimento sono strumentalizzate per perseguire interessi diversi da quelli della collettività, tutt’altro che leciti e che certamente devono essere denunciati in ogni sede.


Ma tutto questo non legittima di certo la predica sull’immigrazione che Zero ci regala nei sei episodi della serie.


La retorica sull’immigrazione…


«N’è così il mondo vero, è un po’ più complesso (…) non è tutto bianco o nero» dice il protagonista della serie in uno degli episodi, anche se in un altro contesto. E come dargli torto?


Senonché l’approccio concreto della serie alla questione immigrazione parte da una premessa diametralmente opposta: da un lato ci sono i nazi-razzi-fascisti che sputano veleno sui migranti, dall’altro i “buoni” a priori.


Vale la pena quantomeno sottolineare che, nella realtà, le cose non stanno così.


I problemi che gli abitanti delle periferie italiane si trovano a dover affrontare sono infatti diversi, tutti seri ed estremamente complessi. Fra tutti il problema sicurezza.


Sono i dati e le notizie di cronaca a dimostrare che all’aumentare del numero di migranti irregolari nelle periferie italiane aumenta anche la criminalità e l’insicurezza[1]: e questo, per stroncare alla radice ogni accusa di razzismo, non dipende affatto dal loro colore della pelle, quanto piuttosto dal fatto che essi vengono inseriti in contesti già di per sé difficili e nella maggior parte dei casi degradati, senza alcuna seria possibilità di integrazione – spesso mancano le condizioni minime perché gli stessi “indigeni” possano vivere serenamente, figurarsi se sia possibile integrare in questi contesti i nuovi arrivati. Alla disperazione dei residenti, quindi, si aggiunge quella dei migranti, concentrati in centri di accoglienza per lo più al collasso, senza alcun controllo né possibilità di riscatto, per gli uni e per gli altri: e questo non può che provocare tensioni etnico-sociali.


Dall’altro lato, i cittadini inseriti in tali contesti restano troppo spesso inascoltati, privi di conforto e di speranza che le cose possano cambiare (in meglio). Le forze politiche tendenzialmente nicchiano e piuttosto che concentrare gli sforzi per riqualificare l’ambiente fisico e sociale di queste terre nullius – consegnate, appunto, a manipoli di migranti irregolari, per lo più uomini in forze tra i venti e i trent’anni, abbandonati a loro stessi (o alle grinfie della malavita), occupati per lo più in attività di spaccio o di pericoloso bivacco, in condizioni di degrado e di pericolo, per loro e per gli altri – aggiungono disperazione a disperazione, dando vita a polveriere pronte a esplodere in qualunque momento, per qualunque ragione.


Nella serie, invece, tutto viene banalizzato e ridotto al racconto della persecuzione da parte dei nazisti contro i migranti, uniche vittime della situazione, perpetrata aizzando i cittadini-burattini (perché così appaiono nella serie gli abitanti di Torstaceppa: individui senza coscienza e senza senso critico – si consideri che fa da sfondo alla storia un talk show fittizio chiamato ironicamente A na certa show, che ospita nel primo episodio il Signor Mario, «cittadino incazzato preso a caso tra la folla» come recita il sottopancia in sovraimpressione –, un concentrato di luoghi comuni mortificante per gli italiani che vivono situazioni simili a quella descritta nella serie): è un messaggio errato e fuorviante, che ha l’unico effetto di polarizzare ulteriormente le posizioni sul tema, a danno innanzitutto degli stessi migranti; esattamente come quei progressisti, che credono di salvarli mantenendo i porti aperti agli scafisti.


…e sul Fascismo


La ragione per la quale, nella serie, si parla di nazisti è spiegata nel terzo episodio: Zerocalcare dichiara che in «sto’ Paese» non si può più parlare di Fascismo, allora bisogna traslare il discorso sul piano del Nazismo, unica possibilità per “smuovere le coscienze” degli italiani. Eccallà, l’anticonformismo di Zerocalcare si scioglie, di nuovo, come neve al calore di uno dei ricorrenti dogmi progressisti: che gli italiani sono nell’essenza fascisti, e che l’Italia rischia di incappare in un nuovo Ventennio se non si ripete ad ogni piè sospinto che il Fascismo va combattuto in tutte le sue forme, che la Costituzione è antifascista, che Dio, Patria e Famiglia vanno distrutti – culturalmente e fisicamente – perché concetti fascisti. Una narrazione che tace una verità, però: che per il mondo progressista la democrazia va bene finché le elezioni le vince la sinistra, che la libertà di parola e di pensiero va bene finché si dicono e si pensano cose di sinistra, che la libertà è sacrosanta ma solo se significa libertinaggio (con buona pace di San Giovanni Paolo II, per il quale, invece, «la libertà consiste nell’avere il diritto di fare ciò che dobbiamo»).


Questo mondo non mi renderà progressista


Insomma, è una serie che mi ha deluso. E non perché sostenga tesi opposte a quelle per cui mi batto io: sarebbe stato, anzi, interessante guardare una serie coraggiosa a tal punto. Se fossero state quantomeno originali.


Si è rivelata essere, invece, l’ennesimo megafono del Pensiero unico, che presenta una narrazione trita e ritrita – che ormai, a dire il vero, convince poco gli italiani, e non funziona più –, una serie in cui la trama appare piegata al messaggio e che vuole più convincere che stimolare una riflessione.


Gli artisti popolarissimi tra i giovani, come Zerocalcare, hanno una grande responsabilità, di questi tempi: quella di parlare a ragazzi e ragazze a cui non parla più nessuno, di cose di cui non parla più nessuno, in una società fatta di individui che, come tali, restano nessuno (l’uomo è relazione, altrimenti non è).


Mi sarei aspettato lo stesso coraggio della prima serie, lo stesso spessore comunicativo, lo stesso senso. Invece mi sono ritrovato un prodotto che ben potrebbe essere proiettato nelle campagne elettorali del Pd (che ha un approccio identico ed egualmente superficiale al fenomeno migratorio). Peccato.


Romano Carabotta


[1]Ai seguenti link sono presenti le notizie più recenti, selezionate casualmente tra tante altre del medesimo tenore: ilsceoloxix.it, ilgazzettino.it, torremaggiore.com.

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