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Razzia dei razzisti (di Giovanni Papini)


Introduzione:

Pubblicato per la prima volta, nel 1936, sulle pagine de Il Frontespizio, Razzia dei razzisti è la stroncatura, ad opera del cattolico e fascista Giovanni Papini, di razzismo e antisemitismo scientifici e del supposto primato della razza germanica.


Ripubblichiamo oggi questo testo, scritto e pensato contro l'ideologia razzista così come sviluppatasi in Germania e nel secolo scorso, il quale, però, pone quesiti validi universalmente e offre strumenti fondamentali per rifiutare ogni revival dell'ideologia razzista.


Riteniamo importante notare come le tesi esposte in questo articolo, che avversano il razzismo in quanto espressione di un'impostazione moderna, atea e materialista, risuonano nei testi e negli autori il cui pensiero è spesso messo al bando perché definito "neo-fascista". Il mito del sangue, di Julius Evola, ne è un buon esempio.


In giorni in cui le dispute sull'acquisizione della cittadinanza e le follie ideologiche del centro e della sinistra provocano, occasionalmente, risposte confuse a "destra" e, soprattutto, in un tempo in cui l'identità è o rifiutata o definita malamente, ovvero sulla base dell'irrigidimento di caratteristiche triviali e, alla volte, addirittura posticce; Razzia dei razzisti ci pare un testo che è utile ripubblicare.


Matteo Respinti



Razzia dei razzisti:


Di solito si parla soltanto di Gobineau, che di fatti fu il maggior compare del pangermanesimo, specialmente attraverso i circoli wagneriani. Ma il primo responsabile del mito germanico è, purtroppo, un latino: il vecchio Tacito.


L’anticesareo storico, forse per censurare indirettamente la corruzione romana, rappresentò i Barbari del nord, nella sua famosa Germania, con tinte spesso ideali e con mal celata simpatia. E molto dopo di lui si fecero apologisti dei Barbari settentrionali il gallo Salviano nel De Gubernatione Dei e lo spagnolo Orosio nelle sue Historiarum adversus paganos.


E nei tempi moderni Gobineau non fu il primo a fabbricare la leggenda della superiorità germanica. Ebbe almeno due precursori e tutt’e due francesi: il Conte di Boulainvilliers (11658-1722) e il Conte de Montlosier (1755-1838). Il Boulainvilliers, infatuato dai privilegi e diritti dell’aristocrazia, sosteneva che essa discendeva dai conquistatori franchi (germani) e che ad essa, come superiore alla razza conquistata, spetta l’assoluto dominio, anche contro il re. Teorie simili sostenne il Montlosier, un secolo più tardi.


L’altro massimo profeta del pangermanesimo, dopo il francese Gobineau, fu l’inglese Houston Stewart Chamberlain, nato a Porrtsmouth, educato in Francia e in Inghilterra, autore dell’opera famosa: Die Grundlagen des XIX. Jahrhunderts, uscita nel 1899 e che ebbe ai suoi tempi una popolarità simile a quella che ha oggi il Mythus del Rosenberg.


E c’è, in questa filza di precursori non tedeschi del razzismo, perfino, ahimè, un italiano: Francesco Montefredini, nato a Spinazzola (Bari) nel 1892, discepolo del De Sanctis. Secondo una sua «legge fatale» i popoli invecchiano e tutto quel che di grande s’è fatto in Italia dopo Roma reputava dovuto all’infusione del fresco e sano sangue germanico.


E scriveva: «Con quanto desiderio da questa morta gora guardo al nord, ove si agita tanto progresso, tanta forza di pensiero e opere! Tutta la società, uomini e donne, ivi cammina di gran lena…» (3). Ammirava, insomma, come i razzisti, anche la moderna Germania.


La quale può vantarsi, se lo vuole, di aver ricavato le teorie che la proclamano dea suprema dell’uman genere da tre conti francesi, da un nobile britanno e da uno storico pugliese. Ai quali si potrebbe aggiungere un altro francese, il Vacher de Lapouge, che in due notissime opere: – L’Aryen et son ròle social (1889); Les sélections sociales (1896) – già sosteneva alla fine dell’Ottocento le antropologiche stravaganze che, secondo il Rosenberg, sono il nuovo mito del Novecento.


I tedeschi, insomma, son talmente poco superiori agli altri popoli che non sono stati neppur buoni d’inventare la teoria che fa di loro il fiore dell’umanità e l’hanno presa pari pari da scrittori per la maggior parte di lingua e di cultura latina.


2.


Tutti i popoli hanno creduto, in un certo momento della loro storia, a una divina missione ad essi assegnata: signoreggiare o salvare gli altri popoli.


Gli Ebrei affermavano di essere la stirpe eletta e che tutte le nazioni avrebbero portato tributi, un giorno, a Gerusalemme; i Greci, dopo Alessandro, credevano d’essere destinati a incivilire l’Asia, l’Africa e l’Europa; i Romani si ritenevano chiamati a reggere tutte le genti; i Francesi della Rivoluzione si consideravano i redentori politici dell’Europa feudale; i panslavisti russi (come Dostojevski) avevan fede che dalla Russia (e in particolar modo dal mugik) sarebbe venuta la salvazione spirituale del mondo; i Polacchi, durante l’oppressione, fantasticarono d’una Polonia come Cristo della Nazioni, che avrebbe salvato perfino i suoi oppressori.


Il Messianismo è, in una forma o in un’altra, comune a tutti i popoli: talvolta nel momento dell’apogeo, talvolta in quello della oppressione. Ora è la volta dei tedeschi. Passerà anche questo, come passarono gli altri.


3.


I razzisti all’ingrosso van cicalando di razze come se l’etnologia fosse una scienza precisa e certa da quanto la geometria.


Di quali razze intendon parlare? In quante razze è spartito il genere umano? Secondo l’antropologo Hochstetter le razze umane si riducono a 3 sole; secondo l’antropologo Crawford non sono meno di 60. E, prima di tutto, esistono razze pure?


Uno dei più grandi storici tedeschi moderni – Edoardo Meyer – scriveva di essere «assolutamente certo che tutte le razze umane si mescolano continuamente, che non si possono definire, tutte, che a potiori, che una distinzione netta fra l’una e l’altra è de tutto impossibile».


Lo stesso Rosenberg, il ninfo razzista del Terzo Reich, ammette che in Germania esistono cinque razze differenti, benché, si capisce, la prima sia la nordica, alla quale l’Europa deve tutto. E allora dove mai riposa e scorre puro il sangue ariano in nome del quale codesti frenetici vociatori perseguitano gli Ebrei e decretano l’incurabile decadenza del «caos etnico» dei popoli neolatini?


4.


Molti antropologi tendono, oggi, a confermare la Genesi, cioè l’unità d’origine del genere umano, non può concepirsi dunque, una razza divinamente privilegiata, più perfetta di tutte le altre. Ma se anche si volesse sostenere l’ipotesi di più ceppi originari, indipendenti fra loro, rimane sempre l’evidenza storica, confermata dall’etnografia e dall’antropometria, delle innumerevoli e continue mescolanze di razze negli ultimi millenni.


Mescolanze che hanno attenuato le differenze, confuso i sangui, moltiplicate le varietà sì da far ritenere assurda la pretensione d’una razza pura. E quand’anche una tal razza si volesse ad ogni costo riconoscere non si potrebbe dedurne la superiorità totale e permanente. Ogni razza ha il suo meriggio e il suo crepuscolo, un’età d’ascensione, una d’impoverimento e discesa, spesso un’altra di rinascita e di resurrezione.


Eppoi: dov’è, nei limiti d’una stessa razza, la continuità di valori? Un figliolo padreggia, un altro dirazza; un genio genera figli mediocri; da una coppia di nullità può nascere uno spirito sovrano, un creatore. In qualunque modo si faccia, da qualsiasi teoria si parta, la deificazione d’una razza non può esser altro che la frenesia di rivalsa d’un popolo vinto.


5.


La storia universale, l’esperienza, il buon senso e il senso comune insegnano che in tutte le cosiddette razze nascono uomini superiori ed uomini inferiori. Dinanzi a questo dato millenario e quotidiano non restano, ai razzisti arrabbiati, che due attitudini.


O asseriscono che i geni di nome e di paese italiano, francese, russo ecc. sono, in realtà, di origine tedesca, – e allora vanno contro la storia, contro l’etnografia e contro i documenti. O negano addirittura l’autenticità e la qualità dei geni non tedeschi, – e vanno contro l’evidenza.


I razzisti son ricorsi a tutti e due i metodi, col risultato che tutti immaginano, cioè, di provare a riconfermare l’ignoranza loro e, più che l’ignoranza, l’invreconda malafede.


6.


Se fosse vero quel che a faccia franca pretendono vecchi e nuovi razzisti, cioè che la genialità dei popoli latini nel Medio Evo è dovuto all’apporto di sangue germanico in seguito al diluvio barbarico, verrebbe a provarsi falsa un’altra delle loro fantasie: cioè che soltanto dalle razze pure escono uomini superiori.


Come mai, infatti, la razza germanica, purissima, non ha dato al mondo in quei secoli, geni comparabili a quelli che ebbero l’Italia e la Francia nel XII, nel XIII, nel XIV secolo?  Una delle due: o solo la mischianza delle razze è feconda, oppure non è vero affatto che i geni latini medievali discendessero da invasori germanici. In tutt’e due i casi la fallacia della romanzeria razzista salta agli occhi.


7.


Per mortificare l’oltracotanza germanica basterebbe ricordare che molti «grandi» tedeschi sono d’origine non tedesca o avevano, almeno, anche sangue non tedesco. Chamisso, La Motte Fouqué, Du Bois Reymond provenivano dall’odiata Francia; Mendelssohn, Heine e Marx erano ebrei; Kant aveva antenati scozzesi; i Brentano discendevano da famiglia italiana; Nietzsche si vantava di aver sangue polacco; Keyserling ha in sé qualche elemento slavo. Lo stesso archimandrita del razzismo, il famigerato Rosenberg, è nato a Reval, in Estonia, e durante la guerra fu cacciato dai russi perché tedesco e dai tedeschi perché russo.


8.


Un freudiano potrebbe dire, e con più sicuro fondamento del solito, che il razzismo d’oggi è «un fenomeno di compenso».


Disprezzati generalmente da tutti i popoli civili, fin dal Medio Evo, i tedeschi sentono fortissimo il prurito, per consolante reazione, di affermarsi superiori a tutti. È la psicologia slava, degli «umiliati ed offesi» di Dostojevski.


Il più vecchio manifesto del primato germanico – i Discorsi alla Nazione Tedesca di Fichte – venne subito dopo che Napoleone ebbe vinto, disfatto e asservito i tedeschi; il Mito del XX secolo del Rosenberg è uscito pochi anni dopo la sconfitta tedesca del 1918. Dopo la guerra vittoriosa del 1870-71 il pangermanesimo fu, soprattutto, opera di francesi e d’inglesi (Gobineau, Houston Chamberlain).


Quando i tedeschi perdono le guerre non credono ai loro sensi: si ribellano, si gonfiano, di rizzano contro l’universo. E pur di avere una rivincita, impossibile subito colle armi, sognano, per loro uso, una rivincita filosofica o scientifica.


Il popolo tedesco è il primo popolo del mondo. Fuor dai tedeschi non c’è salute. Se n’hanno buscate è colpa d’una coalizione d’invidiosi e la stessa sconfitta è controprova della loro divina predestinazione al dominio.


9.


Anche il Razzismo non è che una camuffatura – col cienciume di scienza sbagliata e di storia falsificata – della eterna superbia germanica. Quell’accozzaglia di tribù predaci, che neppure Bismarck riuscì a unificare, è sempre malata di mania della grandezza.


Non avendo più, da un pezzo, uomini di primo ordine – i tedeschi ultimi di fama universale sono ebrei: Freud, Einstein – si son buttati a deificare l’intero popolo. Ogni tedesco, per il solo fatto d’esser tedesco, è una particola d’Iddio, d’un Dio fisiologico terrestre, ma ch’è, secondo loro, l’unico Dio che veramente esista.


L’ultimo contadinaccio della Pomerania è, in forza del superior sangue che stagna nelle sue vene, più degno d’ammirazione (e di venerazione) di un genio nato in Italia e in Russia. Un germano imbecille è un semidio in incognito; un latino geniale è un ciarlatano fortunato (a meno che non discenda dai barbari invasori).


10.


Il razzismo, considerato metafisicamente, è l’ultima forma, per ora, che ha preso l’ateismo germanico: una guerra contro Dio, contro il Dio personale e trascendente della perennis philosophia. L’uomo è divino e il tedesco è la più alta manifestazione della divinità, dunque destinato a sottomettere gli dei minori e deteriori che s’incarnano nelle altre razze. Siamo ancora ai vecchiumi di Strauss e di Feuerbach coll’aggiunta di un corollario pangermanista.


È dunque una nuova, per modo di dire, offensiva contro il Cristianesimo e specialmente contro il Cattolicismo. Non più trascendenza, non più Dio, non più capo visibile e soprattutto non più Vangelo: Cristo non era che un piccolo giudeo anarchico, che ha corrotto il sangue tedesco. (Alcuni, più timidi, ne fanno un ariano biondo, ma che dev’essere separato da tutti i suoi seguaci, specialmente Paolo).


Nella rivista Hochwacht si potevan leggere, poco fa, queste dichiarazioni: «il Nazionalsocialismo è una religione, la nuova, la sola vera religione, nata dal sangue, dalla terra, dallo spirito nordico e dall’anima ariana. Il Cattolicismo ed il Protestantismo devono scomparire al più presto possibile o, se non vogliono dissolversi, dovranno essere vietati dallo Stato… Chiunque vede chiaro che Nazionalsocialismo e Cristianesimo sono nemici irreconciliabili».


E in un canto della gioventù hitleriana si possono udire queste graziose strofette:


«Passarono i tempi, rimasero i preti – A rubare al popolo l’anima. –  Sia con Roma, sia con Lutero – Essi insegnarono la dottrina ebraica.

«Ma ora son finiti i tempi della Croce. – Ora s’inalza la rota solare. – E finalmente liberi, con Dio, - Daremo alla patria il suo onore.


La svastika, rozzo geroglifico primitivo del sole, deve sostituire la croce, simbolo di vergogna e disonore.


Al sangue di Cristo, che fu sparso per tutti gli uomini d’ogni razza e condizione, i giovani tedeschi propongono il “sangue nordico” che son pronti a spargere per compier la strage e ottenere la soggezione degli altri popoli, e per questo nobilissimo scopo rinnegano Dio in cielo e Roma in terra.


11.


In verità il razzismo è l’ultima battaglia germanica contro Roma.


L’insurrezione e l’invasione dei Germani contribuì al disfacimento dell’Impero di Roma. La Riforma fu un’altra ribellione germanica contro il primato di Roma. Ma, nonostante tutto, era rimasto in Germania qualcosa di romano: sia nel protestantesimo, che non s’era potuto liberare del tutto dal pensiero agostiniano, cioè greco-latino; sia nel diritto, nell’arte, nella cultura (dove si trovano profonde tracce della secolare influenza di Roma, dell’Italia e della Francia).


Ed ecco, ora, l’ultimo rifiuto, l’ultima espulsione. Tutto ciò che non è tedesco è rinnegato. Voglion tornare alla primitiva civiltà (?) delle selve germaniche e rigettano perfino gli eroi più famosi del loro passato. Carlo Magno era troppo cattolico, Lutero troppo giudaico, Goethe troppo ellenico. A Carlo Magno contrappongono Vitukind il pagano, a Lutero il semindiano Meister Eckart, a Goethe il predicante Schiller.


I tedeschi non possono sopportare la grandezza, l’idea, la visione, la legge di Roma, sia la Roma di Augusto come la Roma di Gregorio VII. Avviso quegli italiani che ancora ospitassero qualche illusioncella nell’immemore organo cogitativo.


Giovanni Papini



Per una breve biografia di Giovanni Papini:


Giovanni Papini (1881-1956) è stato uno degli intellettuali italiani più complessi e contraddittori del XX secolo. Nato a Firenze, si formò da autodidatta e mostrò fin da giovane un'acuta intelligenza e una vasta curiosità che lo spinsero a esplorare diverse correnti culturali e filosofiche. La sua carriera fu caratterizzata da una continua evoluzione intellettuale, segnata da radicali cambiamenti di ideologia e fede.


Papini iniziò il suo percorso intellettuale con una visione fortemente anti-clericale, scettica e individualista. Aderì inizialmente alle correnti filosofiche del pragmatismo e del nichilismo, rifiutando il cattolicesimo e ogni forma di trascendenza. Fu tra i fondatori di riviste di avanguardia come Leonardo (1903) e Lacerba (1913), attraverso le quali diffuse un pensiero critico verso la modernità, il positivismo scientifico e il materialismo. Le sue prime opere, come Il Crepuscolo dei Filosofi (1906), stroncavano i grandi del pensiero occidentale moderno, segnando l'inizio di un percorso intellettuale provocatorio e irriverente.


Il libro Un uomo finito (1913), una sorta di autobiografia spirituale, riflette le sue crisi personali e la sua volontà di superare il fallimento esistenziale attraverso la ricerca di un significato più profondo.


Nel 1921, avvenna la svolta cruciale : si convertì al cattolicesimo, un passaggio che ebbe un impatto profondo e duraturo sulla sua produzione letteraria. Da quel momento, le sue opere furono dominate da temi religiosi e spirituali. Storia di Cristo (1921), una delle sue opere più conosciute, fu un tributo personale alla figura di Gesù Cristo e al cristianesimo, che Papini vedeva come una risposta alle crisi esistenziali dell'uomo moderno.


Questa conversione segnò un cambiamento profondo nel suo atteggiamento verso la vita e la società, portandolo ad abbracciare valori morali e trascendenti che in passato aveva deriso.


Negli anni Venti e Trenta, Papini si avvicinò al fascismo, vedendo nel regime di Benito Mussolini un'opportunità per risolvere le crisi politiche e culturali dell’Italia. Credeva che il fascismo potesse rigenerare spiritualmente il Paese, allontanandolo dalla corruzione morale e dall’individualismo esasperato.


In questo contesto, collaborò attivamente con il regime fascista, scrivendo articoli per riviste e giornali allineati e partecipando alla costruzione del dibattito culturale del tempo.


Papini mantenne una posizione critica rispetto a molte delle sue manifestazioni più radicali, soprattutto il razzismo biologico e antisemitico. Pur essendo fascista, non condivideva l'ideologia razzista nazista e la teoria della superiorità ariana. In molte delle sue opere e articoli, Papini criticò il razzismo grezzo, opponendosi alle derive razziali e sostenendo una visione cristiana dell'umanità, basata sulla comunione spirituale.


In Storia di Cristo e in altri scritti successivi, propose una visione del mondo che trascendeva le divisioni etniche e razziali, rimanendo fedele a una prospettiva universalista tipica della tradizione cristiana.


Negli ultimi anni della sua vita, Papini intensificò il suo impegno religioso. Profondamente segnato dalla sua conversione, nel 1952 divenne terziario francescano, scegliendo di seguire un cammino spirituale ancora più profondo all’interno della tradizione cristiana.

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